La funzione della Scuola oggi
A parte l’ovvia funzione di preparazione e formazione generale per la futura attività lavorativa, che non significa addestrare lavoratori nell’ottica del risultato immediato e del profitto e divenire agenzia di collocamento, e a parte la funzione di acquisizione di un metodo di studio e di elaborazione creativa di un progetto di cittadinanza, la Scuola odierna ha un solo immenso difficilissimo compito da svolgere: l’educazione all’argomentazione critica, cioè alla riflessione critica, alla critica intellettuale e sociale. Solo se essa ritorna a tale approccio critico ha un futuro. Ma tale ritorno alla dimensione critica, ovviamente, non vale solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa, meglio ancora per la UE, l’Unione Europea. E’ inutile e dannoso illudersi che le ricette manageriali, aziendali, tecnologistiche, autonomistiche, federalistiche, localistiche e nazionalistiche possano ricondurre la Scuola alla sua essenza, esistenza e resistenza educativa.
In verità, prima di giungere a tali formulazioni terapeutiche, si è tentato di tutto negli anni scorsi e ancora oggi per ridimensionare il valore e l’importanza della cultura e quindi del suo asse di trasmissione e rielaborazione critica, la Scuola e l’Università. Ci si è accorti, però, che questa impostazione politica non conduceva da nessuna parte, incrementando i livelli di ignoranza in una società già di per se ulteriormente impoverita materialmente, ma soprattutto culturalmente e, conseguentemente, anche educativamente, da una profonda e devastante crisi economica. Inoltre proprio l’ottica aziendalistica costantemente perseguita ed esaltata, imperversante e dominante, ha dovuto fare i conti con la dura e ostica realtà della concorrenza commerciale e industriale asiatica che, proprio avvalendosi di un rinnovata e tenace riproposizione e riaffermazione del valore strategico e geopolitico della cultura e dell’educazione, si imponeva e si impone sulle merci continentali . Certo, lo stesso conseguente ridimensionamento e notevole riduzione degli investimenti statali nell’istruzione, educazione, formazione e cultura è partito anche dalla volontà politica, non sappiamo quanto imposta anche dalla crisi economica, di dirottare altrove, in immediata funzione strettamente e ciecamente produttivistica, molti fondi prima appannaggio della Scuola e di incentivare l’ingresso dei privati, in cerca di remunerazione dei loro capitali, battuti e decurtati dalla travolgente avanzata asiatica, in settori dell’economia protetti e difficilmente scalfibili dagli Asiatici. Oggi è ritornata al centro del dibattito nazionale ed europeo la necessità geopolitica e strategica della cultura , dell’ educazione e della formazione. Ma si ha l’impressione che l’accento posto sull’apparente formale parità interdisciplinare scientifica e umanistica, nella sua ansia asiatica, non sia quello più opportuno e migliore. Si corre il rischio gravissimo di porre sullo stesso piano in modo falsamente e ipocritamente ambiguo, nel progetto educativo delle Scuole, scienza, tecnologia e discipline umanistiche e sociali. Queste ultime soprattutto sono state ridotte però a un ammasso indistinto amorfo e superficiale di scienze umane e sociali, come è accaduto e accade in numerose Università americane e asiatiche. Il ridimensionamento, la ridenominazione vaga e omnicomprensiva delle discipline umanistiche e sociali e la loro riduzione a Studi umanistici e sociali, a cominciare non solo dalla storia e dalla filosofia, fondamenti dell’approccio critico, basato sullo studio e l’analisi della comunicazione ed espressione linguistica e argomentativa e quindi trasversale, sembrano quasi aver ghettizzato e marginalizzato l’argomentazione discorsiva e critica, propria di quella che una volta, in un modo non sempre positivo, veniva definita retorica. Il tutto a vantaggio esclusivo dell’approccio scientistico – tecnologistico, utilitaristico (la Storia e la Filosofia, in questa logica, non essendo spendibili e utilizzabili immediatamente nel mercato imperialcapitalistico), considerato falsamente e ipocritamente neutrale e quindi, come si usa dire oggi, politicamente corretto. L’ansia del risultato immediato, visibile e quantificabile, la corsa drogata a ostacoli del punteggio e la didattica patologica delle Competenze addestratrici di origine aziendale e militare e del Quiz, inserite nella logica della Lotteria Nazionale della Fortuna, della Memoria e della Coazione ripetitiva, hanno massacrato gli ultimi scampoli del ragionamento discorsivo e critico. E se oggi giovani e adolescenti delle nostre scuole sembrano aver perduto ogni centro di gravità e ogni punto di riferimento, manifestando una sorta di spaesamento e di alienazione e di angoscia esistenziale, lo si deve in gran parte proprio all’abdicazione critica della Scuola. E se qualcuno oggi, in mala fede, ha creduto così di depotenziare e controllare il malessere e il dissenso critico di studenti e allievi delle nostre Scuole e dell’Università, oggi si trova nella infelice condizione di far gravare sulla propria coscienza tutto l’enorme peso e la tremenda responsabilità della sconfitta morale e politica di intere generazioni destinate a brancolare nel buio fitto della Selva oscura della deprivazione critica e politica.
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