L’Impero Ottomano e gli Armeni: breve storia di un grande massacro

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«E nel settimo mese, il diciassettesimo giorno del mese, l’arca si fermò sulle montagne di Ararat».1

I più lontani cenni storici del “Paese di Ararat” e del “Regno di Ararat” si trovano nei primi libri della Bibbia, ma il termine Armenia è entrato nell’uso comune fra il II e il V secolo d.C.

Una sintetica quanto incisiva descrizione delle miserrime condizioni di quelle terre agli inizi del XIX secolo ci è offerta da Gabriel Aivarovskyi che negli Anni ’30 dell’800 dirigeva a Parigi una rivista franco-armena dal titolo La Colombe du Massis, Messager de l’Arménie definita una

«Terra misconosciuta, in gran parte deserta di popolo, devastata, ruinata del tutto. Gli abitanti vivono nella più squallida miseria, ovvero dispersi nel mondo poco meno degli Ebrei …  popolo… chiuso tra barbare genti …»2

Solo a partire dalla prima metà del XIX secolo, quelle terre recondite e montuose cominciarono a destare la curiosità del mondo occidentale, ma le notizie pubblicate erano poco numerose e frammentarie.

In Italia la prima opera circostanziata sulla materia fu quella di Giuseppe Cappelletti, dedicata a Carlo Alberto e redatta sulla scorta degli scritti di P. Luca Iugigì, monaco armeno di S. Lazzaro in Venezia e di alcuni classici armeni.3

Nel 1839 La Nuova Antologia pubblicò, a firma di Attilio Brunialti, un lungo e minuzioso articolo dal titolo L’Armenia e gli Armeni, molto esauriente sotto l’aspetto storico, etnografico e geo-politico.4

 

Il territorio armeno era ripartito all’epoca fra la Turchia, la Persia e la Russia, ma non si conosce neppure in via approssimativa il numero delle anime che vi abitavano.

La dislocazione geografica fra quei tre Paesi è rappresentata in una cartina tratta da una pubblicazione del 1918.5

Ai piedi del monte Ararat, sempre innevato e simbolo del popolo armeno, si uniscono ancora oggi le frontiere di quei tre Paesi.

Comunità armene si erano stabilite da secoli anche in altre parti del mondo ma il principale centro di cultura rimaneva sempre Costantinopoli.

Dopo la separazione, per insanabili dissapori, dalla chiesa latina, gli armeni modellarono una loro chiesa nazionale separata e indipendente, professante una sua forma di cristianesimo.

In mezzo a una nazione musulmana e sempre visti come un corpo estraneo, gli armeni sono stati oggetto, nel tempo, di vessazioni, rapine e orribili massacri, come quelli eseguiti dalle orde selvagge dei Mamelucchi nel 1862 e nel 1863, la cui notizia echeggiò sulla stampa francese.

Alla fine del secolo l’intero mondo occidentale aveva piena cognizione di quella che i turchi definivano la “questione armena” ma prima ancora c’era stata per i Turchi la questione greca, quella bulgara e quella serba, tutti nomi che individuano un solo obbiettivo: quello cristiano, di tendenze separatiste e degno di essere schiacciato.

Nella convinzione che i popoli europei sottomessi si sarebbero quanto prima emancipati, la Turchia ha volto il suo sguardo verso la popolazione cristiana più numerosa nel suo interno, quella armena, al grido: «La Turchia ai Turchi, vale a dire far disparire l’elemento non musulmano, se non fisicamente, almeno moralmente, rendendolo nullo od, almeno, riducendolo ad una quantità disprezzabile, per guisa da garantire ai Turchi un’azione libera».

Questa la lucida previsione degli eventi futuri fu fatta da Felice Santini nel 1905, dieci anni prima del suo compimento.6

Gli armeni nel mondo erano stimati in circa cinque milioni di cui approssimativamente due e un quarto nella sola Turchia, spesso industriosi, bravi commercianti, artigiani e agricoltori.

Non dissimile da quello turco fu il significato attribuito pochi anni dopo dal terzo Reich alla “questione ebraica”: l’eliminazione fisica di un corpo, dichiarato improvvisamente estraneo a quella società.

Il Governo, al momento (1905), aveva già adottato una serie di misure governative contro gli armeni, consistenti nella soppressione dei diritti ordinari e nelle privazioni delle cose, mentre i ladrocini e gli assassini, per i quali le orde Kurde andavano fiere, si moltiplicavano, il tutto sotto lo sguardo dell’Europa che rimaneva impassibile e inoperosa.

Stava per calare sull’Europa una lunga notte di tenebre, una densa caligine quale non s’era mai vista prima.

La rapidità degli avvenimenti fu impressionante: Serajevo, invasione tedesca del Belgio e della Francia, intervento inglese, bagliori di guerra sul fronte orientale, disfatta della Russia, entrata in guerra dell’Italia e così avanti nella prima carneficina che coinvolse il mondo intero.

L’impero ottomano che all’inizio della guerra si presentava morente entrò in guerra, sin dalla prima ora, a fianco della Germania.7

Il 5 novembre 1814 la Russia dichiarò guerra alla Turchia, seguita il giorno successivo da Gran Bretagna e Francia. Iniziò così, per il plurisecolare Impero Ottomano, l’ultima fase del suo disfacimento.

La Nuova Antologia tornò ad occuparsi del popolo Armeno alla fine dell’anno di guerra 1815, con un articolo di denuncia del genocidio degli Armeni perpetrato dai Turchi.8

Il Governo di Enver Pascià aveva intrapreso la distruzione sistematica dell’Armenia turca.

Si cominciò coll’arrestare tutti i capi politici ed intellettuali del popolo armeno a Costantinopoli e nel resto del paese. Poi si costituì un corpo di polizia speciale, formato di oltre 30 mila tra criminali e forsennati, per organizzare i massacri.

Ecco come si procedette. Si radunarono, nelle città armene, tutti gli uomini adulti che non erano nell’esercito e vennero trattenuti come ostaggi, poi si ordinò la consegna di tutte le armi. Infine, condotte le popolazioni nelle montagne, si procedette elle fucilazioni di massa.

Avvenne infine il saccheggio delle case, la scelta delle donne adatte agli harem e la deportazione dei vecchi e dei fanciulli.

L’articolo, a firma di Felice Santini, riporta alcuni frammenti di due rapporti americani sugli avvenimenti, datati 26 giugno e 11 luglio.

In quegli scritti compare, al di là di ogni possibile immaginazione, tutta la crudeltà degli aguzzini e la straziante disperazione delle vittime, soprattutto delle donne, che, per evitare il vituperio del corpo, spesso si toglievano la vita.

«Con questi mezzi i giovani Turchi profittano della guerra, che tiene impegnata l’Europa, per eseguire il loro programma, l’unificazione dell’impero in una sola fede e legge».

In quei terribili giorni era di stanza nell’impero ottomano un infermiere militare tedesco, Armin Theophil Wegner (1886 - 1978) che ha reso una fondamentale testimonianza fotografica sulla deportazione e il genocidio.

In un volume edito da Guerini e Associati sono riprodotte circa 200 fotografie di quegli avvenimenti, scattate da Wegner, che costituiscono un documento storico di primo rilievo.9

La Nuova Antologia fu in Italia uno dei pochissimi fogli che all’epoca si interessarono al tema degli Armeni, intrattenendosi ancora con ulteriori articoli nel 1915, 1917 e 1918.10

Il nostro Giacomo Gorrini, console italiano nella città di Trabzon sul Mar Nero dal 1911 al 1915, fu testimone oculare della deportazione e dei massacri della popolazione armena e tentò invano di salvare alcuni dei perseguitati ma nell’agosto del 1915, con l’entrata in guerra dell’Italia, dovette abbandonare in tutta fretta il Paese.

Oggi esiste sulla materia una letteratura molto vasta, anche divulgativa, come l’articolo di Maurizio Chierici su Storia Illustrata.11

Non è stato mai possibile accertare il numero delle vittime, 200.000 secondo i Turchi, da 500.000 a 2 milioni e mezzo secondo gli storici.

Oggi gli Armeni ricordano il 24 aprile, data d’inizio delle deportazioni, come la loro giornata della memoria ma, nonostante ogni evidenza, molte nazioni rifiutano ancora di riconoscere quel genocidio, e finanche gli Stati Uniti hanno nicchiato per tutti questi anni (la Turchia fa parte della NATO), sino a che la Camera dei Rappresentanti ha deciso, con voto bipartisan (403 a 13) di riconoscere quel genocidio, scatenando le ire di Erdogan.12

Uno dei pochi deputati americani che si è rifiutato di votare la risoluzione, è la rappresentante Democratica Ilhan Omar, di origini somale, una delle prime donne musulmane a servire per il Congresso americano.

I Turchi hanno sempre tentato di negare o anche di mascherare il misfatto, sostenendo che gli eccidi compiuti dall’impero ottomano erano una risposta all’insurrezione degli Armeni.

Di fatto quel popolo era molto fragile, anche se molti armeni militavano nelle fila dell’esercito russo, visto come liberatore e in Anatolia il malcontento si palpava con le mani.

La realtà è però ben diversa e va ricercata nelle fondamenta della fede islamica, che divide il mondo in due campi nemici.

 

«Il jihad è un sistema teologico, politico, giuridico, ed economico di guerra perpetua che la comunità musulmana, l'umma, è obbligata a fare contro i non-musulmani. Secondo questa ideologia, l'umanità è divisa in due campi nemici: il campo in cui governa la legge di Allah (la shari'a), cioè il dar al-islam, regione di pace e di giustizia; e il campo dei non-musulmani che non obbediscono alla shari'a. Questa regione è quella del male, dell'idolatria, ed è chiamata dar al-harb, regione della guerra (harb) perché i musulmani sono costretti a conquistarla per imporvi la shari'a.

Gli abitanti del dar al-harb sono chiamati harbi, quelli a cui si fa la guerra. Non sono divisi fra loro da nazionalità o religione, tutti insieme costituiscono il mondo dei non credenti. Il diritto di vivere degli harbi non è riconosciuto. Il musulmano può ucciderli o prenderli in ostaggio o ridurli in schiavitù.

Alla base del jihad c'è la credenza che tutta la Terra appartiene ad Allah e che lui la destina soltanto alla sua comunità di fedeli. Quando i musulmani prendono un Paese del dar al-harb, di fatto riprendono un bene che era loro e che i miscredenti possedevano illegalmente.

Quando fanno la guerra, dunque, si tratta di una guerra di difesa per riprendere il bene a loro destinato da Allah e se il miscredente si oppone, l'aggressore è lui.

Quando una porzione del dar al-harb è conquistata e diventa parte dal dar al-islam, i suoi abitanti (harbi) sono considerati prigionieri di guerra.

L'imam può condannarli al massacro, alla schiavitù, all'esilio, oppure trattare con i loro rappresentanti e concedere loro un patto di protezione (dhimma), che conferisce loro lo stato di dhimmi.

Poiché la condizione di dhimmi è il diretto risultato del jihad, essa è legata al contratto che sospende l'originario diritto del vincitore sui vinti, in cambio dell'accettazione da parte dei dhimmi del pagamento di un tributo e della loro sottomissione all'islam».13

 

La Turchia era (e rimane) dar-al-islam, dove i non musulmani avevano lo stato giuridico dei vinti, chiamati dhimmi, soggetti quindi all’autorità suprema e indiscutibile dei conquistatori.

Il Corano, nel merito, ordina una lotta senza quartiere ai politeisti (ebrei seguiti a ruota dai cristiani e da tutte le altre religioni del mondo) e i seguenti versi ne sono una pratica dimostrazione.14

 

Sura

Verso

Testo

8

12

Getterò il terrore nei cuori dei miscredenti: colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!

8

17

Non siete certo voi che li avete uccisi: è Allah che li ha uccisi.
Quando tiravi non eri tu che tiravi, ma era Allah che tirava …

8

39

Combatteteli finché non ci sia più politeismo, e la religione sia tutta per Allah.

8

55

Di fronte ad Allah non ci sono bestie peggiori di coloro che sono miscredenti e che non crederanno mai;

9

3-5

Allah e il Suo Messaggero disconoscono i politeisti… Annuncia, a coloro che non credono, un doloroso castigo…  Fanno eccezione quei politeisti con i quali concludeste un patto, che non lo violarono in nulla e non aiutarono nessuno contro di voi: rispettate il patto fino alla sua scadenza. Allah ama coloro che [Lo] temono. Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso.

9

29

Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati.

9

73

O Profeta, combatti i miscredenti e gli ipocriti, e sii severo con loro. Il loro rifugio sarà l'Inferno, qual triste rifugio!

Nota: La “gente della Scrittura” sono gli ebrei e i cristiani (S. III v. 65)

 

 

 

 

Note

1. Genesi. 8:4 dalla versione Riveduta della Bibbia, Firenze, 1969.

2. G. Ayvazovsky  - M. Aghavni, La Colombe de Massis. Messager de l'Arménie.

3. G. Cappelletti, L’Armenia, in 3 volumi, Fabris, Firenze, 1841.

4. A. Brunialti, L’Armenia e gli Armeni, in «La Nuova Antologia», Vol. XVII, Tipografia Barbera, Roma, 1879, pagine 309 a 360.

5. Cartina dell’Impero Ottomano all’inizio della guerra (1914).

 

 

6. F. Santini, La questione armena e gli armeni in Turchia, in La Nuova Antologia, Vol. CXIX, Direzione della Nuova Antologia, Roma, 1905.

7. Cfr. C. Bertacchi, L’Armenia, collana quaderni geografici diretta da Mario Baratta, anno 1 n. 2, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1918.

8. La distruzione di un popolo, in «Nuova Antologia», Nov-Dic. 1915, vol. CLXXX, pagine136 a 138.

9. AAVV, Armin T. Wegner, e gli Armeni in Anatolia, 1915, Immagini e testimonianze, Guerini e Associati, Milano, 1995.

10. «La Nuova Antologia», Nov-Dic. 1915, pagg. 241 a 250 e pag. 642-643; Sett.-Ott. 1917, pag. 312-321; Gen-Feb. 1918, pagg.81-89.

11. M. Chierici, Giorni di sangue su Mussa Dagh, Storia Illustrata n. 143, ottobre 1969, Mondadori, Milano.

12. G. Stabile, Schiaffo USA alla Turchia, in «La Stampa», 31 ottobre 2019.

13.  Intervista di F. Borgonovo a Bat Ye'or su «Libero», 29 febbraio 2016, pag. 14.

14.  Il Corano, versione aggiornata V edizione, tradotta da Hamza Piccardo, UCOII, 2017.

 

 

 

In copertina, dalla rivista "L’Asino" di domenica 5 dicembre 1915. Vi è rappresentata l’offerta di un macabro regalo (teschi di Armeni) al Kaiser Guglierlo II.

 

 

 

 Carta geografica dell’Armenia

 

Queste poche righe sono il meno che potessi scrivere per onorare più che un amico: un fratello armeno proveniente dalla Siria, frequentato in gioventù, sempre presente e sorridente nei passaggi più ardui della vita e di cui - per ovvi motivi - non posso fare il nome. Andava fiero delle sue origini e sognava i meravigliosi, grandi occhi delle ragazze di Aleppo. Ho sempre sperato con tutto il cuore che non abbia subito la furia devastatrice dello Stato Islamico.(ndr)

 

 

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