Il futuro tra Umani e umanoidi
Per millenni quasi tutta la popolazione era addetta all’agricoltura, fondata sulle braccia di contadini per la massima parte analfabeti e su pochi attrezzi e tanti animali. A partire dalla metà del Settecento ed allargandosi a cerchi concentrici dall’Inghilterra, epicentro della rivoluzione delle macchine, si è giunti a ridurre l’agricoltura al lumicino e a popolare il panorama di fabbriche e di operai, un pó meno analfabeti dei contadini, specialmente nelle aree urbane. Poi ci si è avvicinati al nostro mondo man mano dell’automazione, nel quale il peso operaio è diminuito ed è cresciuto e sta crescendo enormemente quello dei servizi, con una maggiore diffusione dell’istruzione a livello collettivo. L’attuale proporzione nell’Unione Europea nel campo del lavoro è di 74 per cento di addetti ai servizi, 24 per cento all’industria e manifattura, 4 per cento all’agricoltura. Oggi siamo, dunque, entrati e stiamo immersi (a partire dal 2011, con il supercomputer Watson della IBM) nella seconda, straordinaria rivoluzione della seconda età delle macchine, quelle fondate sull’intelligenza artificiale, quindi capaci di compiere non solo attività fisiche, ma anche cognitive, potendo rielaborare una quantità inimmaginabile di dati, superiori a quelli di una qualsiasi mente umana.
Nascono di conseguenza problemi inediti, ed anche sconvolgenti, sulla possibile fine o sulla riduzione forte del lavoro umano, sugli effetti in relazione alla vita individuale e collettiva quotidiana delle Persone, sulla loro convivenza con gli umanoidi, sulle forme della nostra collaborazione con essi, sulle modalità del loro controllo, sulle vie della ricerca scientifica. Problemi a dir poco inquietanti di cui nulla o poco si parla nella politica, nella pubblica opinione, nella scuola, con rischi e pericoli, che già incidono, già stanno incidendo pericolosamente sul modo di pensare e di vivere delle persone e di cui insidiosamente non siamo consapevoli.
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