La crisi italiana nel ‘500 nel contesto europeo
L’Italia degli inizi del 1500 appare ancora florida dal punto di vista economico. Le sue corti rinascimentali cominciano ad accusare i primi colpi negativi dei radicali cambiamenti economico-finanziari, sociali e politici che sconvolgono l’Europa. La scoperta dell’America segna l’inizio dello spostamento dell’asse manifatturiero, commerciale e finanziario verso l’Atlantico. Venezia non riesce ad inserirsi in questo spostamento di interessi economici di portata storica. In Italia la Serenissima, una volta fallita la politica di espansione territoriale verso la terraferma, è costretta alla difensiva della coalizione delle principali potenze della penisola. Essa deve ormai combattere non solo contro l’impero l’Impero asburgico, ma anche contro i Turchi. Potenze europee, italiane e l’Impero turco impediscono a Venezia ogni possibilità di espansione territoriale in Italia o di espansione marittima nel Mediterraneo. D’altra parte i Portoghesi e gli Spagnoli scalzano i Veneziani dalle posizioni di primato commerciale acquisite nel bacino del Mediterraneo orientale. I concorrenti iberici della Serenissima attraverso la via delle Indie scaricano tonnellate di spezie in Europa, rompendo il monopolio commerciale Veneziano. I Portoghesi a loro volta si legano a filo doppio con la finanza fiammingo-tedesca che sta dietro alle rischiose e costose intraprese mercantili iberiche. La potenza finanziaria fiammingo-tedesca sostiene e alimenta anche l’Impero asburgico di Carlo V.
Il continuo flusso di oro e argento dei galeoni spagnoli provenienti dalle lontane Americhe non basta a coprire il deficit imperiale che si accresce sempre di più grazie alle continue guerre cui è costretto l’Imperatore. Nel frattempo gli Stati nazionali in Europa si consolidano grazie al duraturo e interessato sostegno della borghesia (vedi soprattutto la Francia). Gli stati cittadini italiani si trasformano in Stati regionali, le Signorie, ma oltre non procede. Gli Stati italiani bloccano Venezia, l’unica potenza italiana del Centro e del Nord non riesce a mettersi alla testa del processo di unificazione della penisola. Essa rimane corporativa: non riesce, cioè, ad andare oltre la miope difesa dei propri interessi ristretti di casta chiusa più che di classe sociale vera e propria, moderatamente intesa. Il capitalismo della borghesia italiana è un capitalismo si rapina: rapina nei confronti del contado che rimarrà sempre ostile ai “signori, di rapina al suo interno (borghesia cittadina contro altra borghesia cittadina in una reciproca politica di rapacità militare, di vessazione e devastatrici spoliazioni e saccheggi). La borghesia, già divisa, anzi dilaniata al suo interno da farci interessi economici, non riesce a coalizzare intorno a sé il contado e tanto meno riesce a prendere il sopravvento in modo definitivo sui gruppi feudali e clericali. Finita la sguinosa guerra dei Cento Anni, i concorrenti europei cominciano ad infliggere duri colpi alla preponderanza commerciale e manifatturiera italiana in Europa. Di fronte alla solida compattezza economica, sociale, politica, militare e territoriale degli Stati nazionali europei l’Italia non può opporre che la dilacerante divisione corporativa della propria borghesia che tra l’altro finisce con l’immobilizzare gran parte dei suoi capitali in investimenti fondiari e monumentali. Dall’altra parte la nostra borghesia, arricchitasi in spericolate avventure mercantili e quindi sviluppatasi su basi economiche non molto solide, aspira ad una tranquillità economica che dà garanzia di stabilità ai suoi profitti ormai intaccati anche dai continui fallimenti delle banche fiorentine e genovesi legate a filo doppio alla politica economica da bancarotta della corona spagnola. D’altra parte la stessa monarchia francese, forte della sua potenza politica e militare, spesso non restituisce i capitali prestati dai banchieri italiani. Alle stesse sollevazioni del proletariato urbano delle manifatture (vedi tumulto dei Ciompi) la borghesia italiana risponde con la repressione più feroce. Il colpo di grazia al periodo di relativa indipendenza attraversato dall’Italia nel Rinascimento viene dato dalla stessa borghesia italiana che per risolvere i problemi interni chiama nella penisola Spagnoli e Francesi che ridurranno il nostro Paese a un campo di battaglia. Il processo di feudalizzazione della borghesia italiana non conosce più limiti: il Papato e la Spagna appoggiano le nobili casate signorili che a loro volta ricambieranno nel momento del bisogno: durante il periodo della Riforma e della Controriforma le classi dirigenti borghesi feudalizzate degli Stati italiani rimarranno fedeli al Papato.
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