Un “concilio cadaverico” per Vittorio Emanuele III
Il pontefice romano Stefano VI, successore e nemico personale del defunto papa Formoso, volle intentargli un processo post mortem. Egli fece riesumare il corpo del defunto dopo un mese dalla sepoltura, collocandolo sul trono vescovile nella basilica del Laterano. Poi diede inizio al processo, incaricando un tremante diacono a fungere da avvocato curiale ed assistere nel dibattimento l’imputato, ossia il cadavere. Il legale doveva anche rispondere a nome di Formoso. Il tutto avvenne fra gli scherni e gli insulti del pubblico, una claque appositamente riunita. Alla conclusione della macabra farsa, Formoso fu dichiarato dal suo successore quale papa illegittimo ed indegno, cosicché gli furono strappati i paludamenti episcopali, mozzata la testa ed amputate le tre dita della mano destra con cui i vescovi impartiscono la benedizione. Il cadavere fu infine trascinato lungo le strade per i piedi e gettato nel Tevere. L’ostilità irrazionale che ancor oggi si ritrova in interi ambienti sociali verso neppure la persona di re Vittorio Emanuele III, ma persino la sua salma, di cui s’osteggia il semplice ritorno nella madrepatria e nei confini di uno Stato di cui fu capo per quasi mezzo secolo, assomiglia proprio al sinodo cadaverico.
Essa è in verità una piccola manifestazione di quella epidemia collettiva della psiche che colpisce l’Occidente, in cui correnti (in)culturali e politiche si prefiggono di fare tabula rasa di tutto il passato, azzerando la storia, la memoria, abbattendo i monumenti e le opere d’arte, modificando la toponomastica, stravolgendo la lingua, cancellando tutti i popoli stessi e tentando di modificare la natura umana medesima a livello antropologico. Il progetto ha il dubbio onore di essere il più totalitario dell’intera storia dell’umanità, poiché giunge a vette, o per meglio dire ad abissi, a cui neppure Stalin e Mao erano pervenuti. Proporsi di distruggere il passato, che non è realmente tale essendo una realtà vivente ed attuale nelle sue conseguenze, è segare il ramo su cui si è seduti.
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