Il vero volto storico del brigantaggio meridionale: le ragioni di una firma

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Il vero volto storico, il vero scopo del brigantaggio meridionale furono: distruggere l'Unità e la Libertà dell'Italia (stelle polari del Risorgimento, pilastri della Repubblica e della Costituzione), accanto al rubare e all'assassinare, anche in modo atroce, cannibalesco.

L’indegna mozione del Consiglio Regionale della Puglia, approvata su proposta di 5 Stelle, con la corresponsabilità storica di altre forze politiche, di onorarlo è da rigettare decisamente.

Tra pochi innocenti, la quasi totalità dei briganti meridionali dal 1861 in poi era formata da delinquenti, assassini, che compirono atti di disumanità fino al cannibalismo ed erano sobillati e finanziati, insieme, dal sovrano borbonico Francesco II e dalla Roma papalina, clericale di Pio IX, che ospitava, proteggeva ed aiutava il re borbonico e la sua sposa, la bavarese Maria Sofia, degna erede della sanguinaria regina borbonica del 1799, l'austriaca Maria Carolina (entrambe sempre straniere e appartenenti, come i mariti, ai nemici secolari dell'Italia, di essa dominatori, come l'Austria, anzitutto, e la Spagna, da cui vengono i Borboni), che si erano rifugiati a Roma, dopo la caduta dell'ultima fortezza borbonica, quella di Gaeta, operanti a Palazzo Farnese con la loro piccola corte.

Essi sperarono invano tra il 1861 ed il 1865 di poter ripetere il 1799 e le sue stragi e riportare sul trono i Borboni, condannati da tutta Europa per il loro regime tirannico fino alla loro cacciata garibaldina e popolare (in particolare Palermo), sancita dai plebisciti, che ebbero, pur coi  limiti inevitabili dovuti alla situazione eccezionale, il valore epocale nella storia del Mezzogiorno di consultare il popolo (nessuna dinastia che ha occupato Napoli e il Mezzogiorno dai Normanni ai Borboni ha fatto plebisciti).

 

Questa volta si trovarono soli in Europa, perché non ebbero l'appoggio di nessuna potenza europea, tranne l'indegno Pio IX con la sua corte, compresi i vescovi fuggiti dal Sud italiano e libero e che erano in contatto costante in senso antiliberale e antiunitario con le loro diocesi.

Nel 1799 i tiranni borbonici vinsero e tornarono, perché ebbero il fondamentale appoggio degli inglesi di Nelson anglicano, di contingenti russi ortodossi, di turchi islamici, che furono decisivi più delle orde cattolico-clericali, feudali, brigantesche, reazionarie, ‘sanfediste’, lazzare del cardinale Ruffo.

Nel 1861 si trovarono di fronte l'Esercito "Italiano", non "i piemontesi' .

L’espressione  "i piemontesi" è una invenzione lessicale di falsità, per deformare e suscitare odio popolare negli incolti, di origine borbonico-clericale, come nel 1799 quella di "giacobini", altra falsità storica, perché essi non sono mai esistiti formalmente, storicamente, chiamandosi formalmente il Regno di Vittorio Emanuele II "di Sardegna " (che comprendeva con la Sardegna e il Piemonte, anche la Liguria, la Val d'Aosta, i territori oggi francesi della Savoia e di Nizza).

L'Esercito "Sardo" operò nel Mezzogiorno per pochi mesi, dopo la decisiva epopea garibaldina, da ottobre 1860, dopo la memorabile vittoria garibaldina del Volturno del 1-2 ottobre, al 17 marzo 1861, quando fu proclamato il Regno d'Italia e nacque formalmente l'Esercito “Italiano”.

L'Esercito "Sardo" (come sarà poi quello “Italiano”) di quei pochi mesi era formato ormai da militari anche di origine lombarda ed emiliana, romagnola, toscana, marchigiana e garibaldina, di ex borbonici, che non furono mandati al capestro o incarcerati o costretti all'esilio (come avevano fatto i Borboni nel 1799, nel 1821, nel 1848) dal Regno d'Italia, ma ebbero il riconoscimento delle carriere, a dimostrazione dello spirito aperto e fraterno, che si ebbe verso i meridionali, che seppero capire la svolta epocale dell'Unità e della Libertà.

L'Esercito "Italiano" dunque operò da marzo 1861, in collaborazione con la Guardia Nazionale, formata da migliaia e migliaia di meridionali liberali e unitari locali, con le giuste, doverose forme repressive verso un movimento di violenti assassini e grassatori e che volevano riportare tirannìe monarchiche e clericali, distruggere quella Unità e quella Libertà, che erano state le conquiste epocali del nostro Risorgimento, in un rispetto di garanzie giuridiche inimmaginabili nel mondo borbonico e vaticano (processi con avvocati e giudici indipendenti, come ad esempio nel processo del 1864 contro la banda borbonica dei fratelli La Gala, anche cannibali, al tribunale di Santa Maria Capua Vetere), in un regime di libera stampa e di dibattiti parlamentari, che discutevano di brigantaggio alla luce del sole, in tutti i suoi aspetti (quindi nessuna volontà o congiura di nascondere i fatti), quale mai vi era stato nella penisola su una questione così grave, come l'illegalità organizzata (cancro storico, che ancora oggi colpisce l'Italia).

La dura repressione che si ebbe ad esempio nei paesi di Pontelandolfo e Casalduni (nel Beneventano), richiamati costantemente dai neoborbonici e dai nemici dell’Unità,  fu preceduta da una strage atroce di soldati e carabinieri da parte dei briganti filoborbonici (si veda l’analitico, preciso, equilibrato articolo di Marco Vigna, apparso sul ‘Nuovo Monitore Napoletano’) e non implicò affatto il numero delle vittime civili e la distruzione dei due abitati, come si vuole imporre con “deformata narrazione”, lontana da ogni rigore scientifico, da ogni rispetto della verità storica.

Chi parla di "vittime meridionali" dell'Unità e vuole onorarle, come ha fatto ad esempio l'indegno Consiglio Regionale della Puglia, su proposta di mozione di una consigliera di 5 Stelle, che rivela così la sua vera natura inquietante incolta, populista, che converge con l'azione velenosa della Lega al Nord, in realtà vuole onorare sostanzialmente degli assassini e dei nemici della Storia nobile dell'Italia, colpire al cuore il Risorgimento, l'Antifascismo, la Resistenza, la Repubblica e la sua Costituzione, che hanno come fondamenti, come pilastri, l'Unità e la Libertà, scolpiti sul frontone alto del nostro Altare della Patria.

È una offesa inaccettabile e infame, che colpisce le centinaia di migliaia di morti che, dal 1794, dai primi martiri repubblicani innocenti di Napoli, come il nobile giovane pugliese Emanuele De Deo, fino ai 600 mila morti della prima Guerra Mondiale, ultima guerra risorgimentale di indipendenza, per riportare alla Patria Trento, Trieste, Gorizia, l'Istria, hanno dato la vita per l'Unità e la Libertà della nostra Patria, oltre le tante vittime militari e locali del brigantaggio.

È il tentativo di rivincita infame, sottile, di vari ambienti antiunitari e illiberali, qualunquisti, postfascisti, che si muovono pericolosamente e velenosamente dal punto di vista degli effetti civili, approfittando della libertà e della democrazia, conquistata contro i loro esempi storici, con la regia volpina, ora nascosta, ora esplicita del cattolicesimo-clericale, che ha giurato guerra eterna, lotta continua (ed è illuso e ingenuo chi non lo capisce e non lo tiene presente) contro l'Italia Unita e Libera, avendo essa posto fine al potere temporale e illiberale del papato il XX settembre 1870, pur sfruttando il Vaticano l’Italia unita, libera, democratica ieri e oggi in mille modi con privilegi inimmaginabili, di cui non è stata e non è mai riconoscente (oltre ad essere ingiusto e ingeneroso verso i tanti cattolici liberali, unitari, liberali, democratici, repubblicani, dal martire vescovo della Repubblica napoletana del 1799 Michele Natale ai sacerdoti Martiri di Belfiore, alle personalità di religione cattolica diffusamente protagonisti del processo unitario, dell’Antifascismo, della Resistenza, della Repubblica), e non a caso in tutte le operazioni culturali e politiche antiunitarie e illiberali vi sono singoli o precisi ambienti cattolico-clericali.

Ci si trova davanti  al tentativo di insidiare l'Unità del Paese, da Nord a Sud, per indebolirlo, per poterlo poi più facilmente e direttamente dominare, e con esso attaccare anche l'Europa Unita, miracolo storico, come l’Unità d’Italia, che ha basi liberali, democratiche, laiche, multireligiose, altro vero nemico delle forze secessioniste, qualunquiste, nazionaliste o come si dice oggi ‘sovraniste’, e dello Stato confessionale cattolico (ricostituito dal fascismo nel 1929), universalistico, monarchico assoluto, quindi antinazionale, antiliberale, antidemocratico, antieuropeo.

Come Italiani orgogliosi della nostra storia nobile, della nostra Unità e della nostra Libertà, del nostro Risorgimento, del nostro Antifascismo, della nostra Resistenza, della nostra Repubblica, della nostra Democrazia, della nostra Costituzione, del nostro Europeismo, dobbiamo reagire energicamente, duramente.

Non farlo, sottovalutare, minimizzare i fenomeni, che si stanno ripetendo, ci renderebbe sostanzialmente, oggettivamente, tragicamente corresponsabili di fronte alla storia, di fronte ai nostri figli.

 

 

Le ragioni di una firma ad una iniziativa popolare contro le falsità storiche filoborboniche, sostenute alla regione Puglia.

 

Altre ragioni di firme

 

-Il prof. Giuseppe Monsagrati, già ordinario di Storia del Risorgimento all’Università La Sapienza di Roma “Firmo perché il borbonismo, fondato sulla stretta alleanza tra il trono assolutistico e l'altare (con la benedizione dell'Austria), è una chiara anticipazione del clericofascismo. I neoborbonici ne vorrebbero una riedizione. Di giornate della memoria il Sud preunitario abbonda ma in senso antiborbonico, a partire dal 1796, dal 1799, dal 1828 quando il paese di Bosco nel Cilento fu raso al suolo a cannonate e le teste di 23 condannati a morte furono esposte entro apposite gabbie per terrorizzare la popolazione”

 

-La prof.ssa Renata De Lorenzo, docente di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli e presidente della Società Napoletana di Storia Patria ha scritto: “Analogo tentativo al Comune di Napoli è stato bloccato dalla Commissione cultura, che ha convocato per discuterne le storiche Renata De Lorenzo e Marcella Marmo. Perché Emiliano non consulta gli storici delle Università pugliesi prima di prendere una decisione in materia?”

 

-Il prof. Mario Isnenghi “Firmo come cittadino, come studioso della storia italiana e anche in segno di solidarietà, come veneziano afflitto da analoghi traumi della memoria, stavolta non 'meridionalista', ma 'venetista'.”

 

-Il dott. Mario Di Napoli ha scritto “Nell'Unità d'Italia il Mezzogiorno ha ritrovato l'emancipazione dall'assolutismo e la via per la civiltà europea. NO a patetici ed illusoriamente consolatori elogi di un buon tempo antico!”

 

 

 

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