Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

S. Maria Succure Miseris. Luci e Ombre napoletane

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Napoli ritrova un altro prezioso tesoro della sua memoria storica: la chiesetta di S. Maria Succurre Miseris ubicata nel cortile dell’Ospedale degli Incurabili.

Dopo anni di buio, finalmente uno squarcio di luce. Senza violarsi nel suo affascinante mistero, ogni sala ha rievocato i lunghi secoli della sua storia.

Storia di anime, storia di vita e lamenti di morte. Eterei e palpabili i Bianchi della Giustizia sembrano essere ancora tutti là,  curvi e incappucciati, lontani da ogni concupiscenza, profondamente immersi nel loro penoso ufficio.

Tornano stanchi e vivi nelle loro vesti candide, troppo spesso intrise di sangue.

Tornano e si raccontano nel silenzio delle loro cappelle, nei meandri di un tempio sacro, dove l’ingiustizia umana era appena farfugliata nell’affidarla alla clemenza di Dio.

Tornano le loro voci da scritture consunte dal tempo, tornano le “Luci e Ombre Napoletane” di Salvatore di Giacomo che oltre un secolo fa varcò la soglia di quel tempio e ne immortalò l'emozione.

 

- Un giorno mi venne  voglia di visitar di persona quella Congregazione de Bianchi della Giustizia  di cui avevo tanto udito parlare e che alla storia conclusiva de’ rivoluzionari del novantanove si connetteva pur  tanto […] –

- Un giorno mi venne  voglia di visitar di persona quella Congregazione de Bianchi della Giustizia  di cui avevo tanto udito parlare e che alla storia conclusiva de’ rivoluzionari del novantanove si connetteva pur  tanto […]  Il reverendo Sorrentino  appariva sulla soglia della  “sala de’ fratelli”. Uno di quei vecchi preti napoletani, signorili, benevoli, simpatici, de’ quali lo stampo si va sempre più perdendo e che serbano tutto il loro austero candore e la loro fede, che s’occupano ancora di studi e a cui piace chiacchierare bonariamente […]

Nel cavo di uno stipetto si ammucchiavano scapolari, piccoli crocifissi, libriccini di preghiere, dalla vecchia e logora rilegatura, borsettine di cuoio, de’ coltellucci, de’ fascetti di immagine tenute assieme da un pezzo di spago, insomma tutto quello che aveva accompagnato fino al patibolo i condannati, o era stato tolto ad essi nella stanzuccia dell’ultimo conforto.

-  Questo -  disse il custode -  è il teschio di un soldato spagnuolo che fu fucilato. Ebbe la palla in fronte. Ecco …  - E mise l’indice in un buco nero che aveva proprio forato quella fronte in mezzo.
-  Questi sono gli abitini che portavano i condannati, questi i libretti in cui leggevano le ultime preghiere, queste le armi che ancora nascondevano.

-  E’ vero – chiesi al canonico – che si conservano qui pure le corde che accorsero per appiccarli?
- No – rispose – Si è sempre detto così, ma non è vero. Le corde erano raccolte dai fratelli perché il boia non ne facesse commercio. Si è sempre fatto a questo modo da quando i carnefici le cominciarono a barattare e i popolani a comprare , per portarne addosso qualche pezzetto contro il malocchio. […] Le norme per assistere i condannati sono raccolte in un vecchio libro.

Salimmo alle stanze superiori. Il buon canonico aperse uno stipo e ne cavò un in quarto rilegato in cartapecora.
- Cominciamo da uno dei più noti manuali  - sorrise e mi mise il libro sottocchi, nell’altra stanzuccia che è usata dagli studiosi per le loro ricerche. Cominciai a leggere […]

Era ancora luce del giorno in quella piccola camera silenziosa quando finii di trascrivere le prime pagine di quel libro, composto, se non mi sovvengo male, su’ primi anni del secolo decimo ottavo, da un prete di provincia. Mi voltai. Non c’erano più né il buon canonico né il custode: mi avevano discretamente lasciato alle mie compulsazioni e forse mi aspettavano in basso.

Qualcosa era, fra tanto, squadernata sotto gli occhi miei: la pandetta del 1799, quella che certo raccoglieva i nomi di tante vittime della lor funesta pazzia e della reazione implacabile della tragica coppia che riacquistava il suo regno e si vendicava. Sfogliai quelle pagine, soffermandomi a quando a quando, su qualcuna delle più suggestive…  Ecco la relazioni del supplizio di Gabriele Manthonè, ecco quelle degli ultimi momenti d’Ettore Carafa, di Ignazio Ciaja, del duchino di Cassano, Gennaro Serra, dei due Pignatelli, di Eleonora Pimentel Fonseca…

Don Domenico Cirillo andava appresso a don Mario Pagano, con berrettino bianco in testa e giamberga lunga di color turchino, e stentò molto a morire. Andiede alla morte con intrepidezza e presenza di spirto…

-  La chiesa si chiude – mi viene a dire il custode.

Mi levo. E’ già quasi l’ombra nella stanza. Il custode raccoglie i libri e li va a rinchiudere nello stipo. Ridiscendiamo la scaletta chi ci riconduce nella chiesa. Ora tutto qui è quasi nell’oscurità”. [S. Di Giacomo, Luci e Ombre Napoletane, Napoli, 1995, pp.223-228]

Da oggi non più, possiamo aggiungere noi. Grazie all'impegno della Diocesi di Napoli e del Museo delle Arti Sanitarie, la Succurre Miseris ha ritrovato la sua luce, ridonando a Napoli un altro prezioso pezzo della sua secolare storia.

 

 

 

 

 

 

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