Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giuseppe Zurlo e l’eversione della feudalità nel Regno di Napoli

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Giuseppe Zurlo fu uno dei riformisti più avanzati nel Regno di Napoli, soprattutto nel corso del Decennio francese, durante il quale espresse più volte a  Gioacchino Murat la necessità di spingersi oltre nella legge eversiva della feudalità.

Nato a Baranello in Molise il 6 novembre 1759, il giovane Zurlo, dopo essersi trasferito a Napoli presso uno zio avvocato per completare i suoi studi, entrò in contatto con l’intellettualità del periodo aureo del riformismo partenopeo.

Nelle aule dell’Ateneo era ancora vivo l’insegnamento del Genovesi e lo Zurlo intrattenne rapporti di amicizia e di stima reciproca con i discepoli più eminenti tra cui Mario Pagano e Gaetano Filangieri. Inoltre, per quanto concerne le discipline economiche, gli furono maestri Giuseppe Palmieri e Giuseppe Maria Galanti.

Proveniente dal Molise, una delle regioni più povere e arretrate del Regno, lo Zurlo studiò con interesse i lavori che il Galanti e Francesco Longano avevano dedicato alla sua terra, riflettendo sulla necessità di un radicale cambiamento dell’amministrazione, con particolare riguardo ad una più equa distribuzione delle proprietà.

La visita in Calabria dopo il devastante terremoto del 5 febbraio 1783 segnò l’inizio della sua carriera nella pubblica amministrazione del Regno nella segreteria della Giunta, deputata a sopraintendere all’opera di ricostruzione.

 

Questo impiego fu la premessa per le sue aspirazioni, che ebbero un secondo importante riconoscimento con la nomina a giudice ordinario della Gran Corte della Vicaria Civile a soli trent’anni.

Il giovane magistrato non deluse le aspettative e da quel momento la sua carriera fu in costante ascesa, anche perché, come scrive Benedetto Croce, a Napoli allora la vita forense rappresentava la politica in quanto “nei tribunali si dibattevano le questioni tra Stato e Chiesa, tra feudatari e società civile, e vi si elaboravano nuovi istituti, resi necessari dagli avanzamenti della pubblica economia e delle dottrine correlative”.

Tramite queste esperienze, lo Zurlo assunse, proprio alla vigilia della Rivoluzione del 1799, con la nomina a direttore della segreteria d’Azienda, un ruolo di primo piano. Pur essendo molto amico di Mario Pagano e Giuseppe Albanese , durante la Repubblica Napoletana Zurlo non ebbe incarichi che invece ricoprì  più tardi nel periodo del Decennio francese, dal 1806 al 1815, offrendo il suo rilevante contributo alla modernizzazione dello Stato.

Fu con Gioacchino Murat, dall’anno 1808 che Giuseppe Zurlo, ministro dell’Interno, diede il suo notevole contributo al dibattito sulla legge di eversione della feudalità, che aveva tanto a cuore.

Come è noto, nel corso del decennio francese nel regno di Napoli, Giuseppe Bonaparte, con la legge n.130 del 2 agosto 1806, aboliva la feudalità.

Tuttavia, fu con la legge del 23 ottobre del 1809 che si giunse alla istituzione dei Commissari incaricati della liquidazione degli usi civici e con la legge 588-589 del 10 marzo del 1810 si davano disposizioni ai Commissari ripartitori per la divisione dei demani comunali.

Da ministro dell’Interno, Giuseppe Zurlo sollecitava Gioacchino Murat ad imprimere una svolta più radicale alle scelte effettuate per l’abolizione della feudalità. Nel Rapporto sullo stato del regno di Napoli dopo l’avvenimento al trono di S. M. il re Gioacchino Napoleone per tutto l’anno 1809, lo Zurlo scriveva:

«Vostra Maestà ha veduto fin dal suo primo avvenimento al trono di Napoli che i popoli di questo Regno, relativamente alle leggi sulla feudalità, non erano al livello delle altre nazioni […] La legge del 2 di agosto 1806 abolì le prestazioni personali, tutti i diritti giurisdizionali, le privative ma conservò ai baroni tutto ciò che essi possedevano per causa del dominio feudale, e di quello che si conservava non fu bastevole ad estinguere quello che la feudalità aveva di odioso, e di pesante per il popolo. La massima parte dei diritti feudali potendo aver l’impronta di prestazioni territoriali, tutto si sostenne come conservato dalla legge, e la feudalità parve per molto tempo abolita di solo nome».

Lo storico Pasquale Villani ha evidenziato che  il ministro, anche se non aveva risparmiato critiche alla legge eversiva, non poteva avvedersi che per superare il regime agrario feudale erano necessarie profonde trasformazioni dei rapporti di produzione e della struttura economica, che le leggi del Decennio avevano appena scalfite.

Nel suo Rapporto, lo Zurlo tornava sulla questione, scrivendo che «privare le popolazioni degli usi e dei diritti dei quali godono sarebbe stato empio ed assurdo. Conservare gli usi e le servitù dello stato attuale, sarebbe cosa distruttiva dell’agricoltura».

Per lo Zurlo, una volta divisi i demani del feudo, assegnandone una parte in libera proprietà al feudatario e l’altra parte al comune, quest’ultimo ente avrebbe dovuto provvedere a quotizzarli tra i cittadini più poveri.

Tuttavia, come ha osservato Villani, nonostante l’ottimismo, proprio nella trasformazione del regime agrario l’opera dei Napoleonidi non poté conseguire tutti i risultati che si proponeva, anche se il peso economico e sociale delle vecchia aristocrazia feudale subì un tracollo, dal quale non poté più riaversi.

Nell’azione volta ad ottenere la divisione dei demani comunali tra i contadini poveri, creando conseguentemente una nuova classe di piccoli e laboriosi proprietari coltivatori, lo Zurlo rimase isolato nel governo e nel Regno, anche se nella cultura meridionale, dal Broggia al Genovesi al Galanti , tali istanze erano state ben presenti.

 

 

 

Bibliografia :
Rapporto sullo stato del regno di Napoli dopo l’avvenimento al trono di S. M. il re Gioacchino Napoleone per tutto l’anno 1809- Napoli- 1811
Rapporto sullo stato del Regno di Napoli per gli anni 1810 e 1811 presentato al Re nel suo Consiglio di Stato dal ministro dell’interno- Napoli 1812
Pasquale Villani- Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione- Laterza- 1962

 

 

 

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