Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Una cronaca del '600 in un antico canto

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Giuseppe De RiberaLe origini di un antico canto dedicato alla Madonna del Carmine sembrano risalire ad un fatto realmente accaduto nella Napoli del XVII secolo.

Il riferimento è alla tormentata storia d’amore tra la figlia di un apprezzato pittore dell’epoca, Giuseppe de Ribera, noto anche come lo Spagnoletto per le sue origini ispaniche e per la bassa statura fisica (3), ed il futuro Viceré Don Giovanni d’Austria (figlio naturale di Filippo IV di Spagna ed omonimo del vincitore di Lepanto).

Costui, appena diciottenne, era stato inviato a Napoli nel 1648, al comando di un’armata, per reprimere i tumulti seguiti alla rivolta di Masaniello e per riportare l’ordine nella capitale. In seguito vi era rimasto fino a quando era stato nominato Viceré di Sicilia.

Una volta giunto in città, secondo cronisti dell’epoca, Don Giovanni aveva conosciuto la bellissima figlia del pittore de Ribera, Maria Rosa (la maggiore delle due femmine, la minore pare che si chiamasse Annica), e rimastone colpito, aveva con questa istaurato una relazione amorosa nel corso della quale la fanciulla, sedotta ed illusa con lusinghe e con ricchi regali, era stata condotta nel palazzo vicereale, contro la volontà del padre, per abitarvi con l’amante. Successivamente, caduta in disgrazia ed abbandonata da quest’ultimo, era stata rinchiusa in un monastero a Palermo.

In tal modo era stata seguita una consuetudine (quella del ricovero, più o meno volontario, in un monastero) già familiare a Don Giovanni, dato che anche sua madre, l’attrice Maria Calderòn, era stata rinchiusa in un convento da Re Filippo IV di Spagna, padre naturale del futuro Viceré.

 

Il padre di Maria Rosa, Giuseppe de Ribera (sempre secondo i biografi suoi contemporanei), per il dolore provocato dalle umiliazioni subite dalla figlia, era quasi impazzito e, partito da Napoli per Gallipoli in Puglia (città nella quale aveva dei parenti), era misteriosamente scomparso senza dare più sue notizie.

In realtà la fine del celebre pittore è stata un tantino romanzata dai suoi biografi.

Egli, al contrario, è morto a Napoli nel 1652 ed è stato sepolto (come risulterebbe dal certificato di morte rinvenuto) nella chiesa di S.Maria del Parto a Mergellina. Senonché, a seguito dei restauri subiti dalla chiesa, attualmente non è rimasta traccia dei suoi resti mortali.

La bella Maria Rosa, a sua volta, aveva dato, forse, alla luce un figlio nato dalla relazione con Don Giovanni.

Dopo, era rientrata a Napoli lasciando, alla morte, tutti i suoi averi al fratello Antonio de Ribera, il quale, sfruttando a suo favore la relazione della sorella con il Viceré, sarebbe stato nominato Regio Uditore Provinciale in Terra d’Otranto (secondo alcuni addirittura Preside, ossia governatore della provincia).

E’ probabile, quindi, che proprio l’arrivo nel Salento di Antonio de Ribera, per prendere possesso dell’ufficio di Regio Uditore,  abbia favorito la conoscenza di questa storia nelle nostre contrade ed abbia stimolato la fantasia e l’estro dei cantastorie locali.

Costoro, rielaborando liberamente la vicenda, ne avranno ricavato la canzone che, rappresentata nelle piazze in occasione della festa della Madonna del Carmine (16 Luglio), verrà  poi  diffusa in tutta l’area.

Ovviamente, si tratta pur sempre delle ipotesi e delle congetture di  alcuni studiosi locali, le quali non hanno il supporto di prove concrete. Tuttavia i collegamenti e  le analogie tra il fatto di cronaca seicentetesca ed il nostro canto sono veramente tante.

Del resto va detto che la vicenda amorosa ha goduto ancora di notorietà fino a tutto il 1800, venendo a formare l’oggetto di un romanzo intitolato “La figlia dello Spagnoletto racconto di don Francesco Pallavicino di Proto, Duca dell’Albaneto”, pubblicato a Firenze da Felice Le Monnier nel 1855.

La versione locale del canto, a differenza delle altre rinvenute in altre zone del Salento, si contraddistingue, però, per una maggiore fedeltà alla vicenda di cronaca appena descritta.

Giovanni d'AustriaInnanzitutto, nella versione nostrana è ben preciso il riferimento al Viceré, mentre in molte altre il secondo protagonista della storia (lo sposo della figlia del pittore) è denominato Luigi Re (secondo alcuni si tratterebbe di una forma dialettale corrotta, derivante dalla trasformazione delle parole “lu vigge Re”, proprie di taluni dialetti, che diventerebbero “Luigi Re”).

Per quanto riguarda il richiamo alla guerra contro i Turchi, presente soltanto nella versione di Manduria, osando un poco, sarei indotto a pensare e ad ipotizzare che essa sia frutto di una confusione, in cui potrebbe essere incorso l’autore, tra il Don Giovanni d’Austria protagonista del fatto di cronaca e l’omonimo comandante della flotta cristiana, che il 7 Ottobre 1571 sconfisse i Turchi nelle acque di Lepanto.

Inoltre, occorre rilevare che nel canto mandurino anche la figlia del pittore è accreditata come dilettante pittrice (“sapia ti pinnellu maniggiari”).

Da segnalare ancora, come curiosa combinazione, che Manduria si pregia di custodire una bellissima tela di Giovan Battista Azzolino (o Bernardino il Siciliano), suocero dello Spagnoletto e nonno materno della protagonista della storia, Maria Rosa.

E’  la tela, restaurata da qualche anno, raffigurante la Madonna con i Santi Francesco, Carlo Borromeo ed altri, che si trova nella Chiesa di S.Francesco dei Frati Minori (attualmente, alla destra di chi entra, nell’ultima arcata prima del presbiterio).

Infine, meritano attenzione per la delicatezza con cui illustrano il sentimento di trepidante attesa della protagonista della storia, condotta in carrozza dai “bravi” del Viceré alla volta della masseria di “Petrabianca”, i versi (esclusivi della nostra versione) “lunga è la strada e corta  la via”, mutuati dalla frase che tradizionalmente chiude i racconti fiabeschi: “Larga è la foglia e stretta è la via, dite la vostra che io ho detto la mia” (nella quale ultima, per un probabile errore di interpretazione del testo originario, foglia dovrebbe stare per soglia).

Per quanto riguarda l’origine del canto, dovrebbe trattarsi di un componimento realizzato per l’uso dei  cantastorie, da eseguire nelle piazze dei paesi in occasione della festa della Madonna del Carmine.

Il testo di dette storie, probabilmente veniva diffuso con un foglietto a stampa, distribuito al pubblico subito dopo l’esecuzione del canto e, in tal modo, è stato possibile tramandarlo, di generazione in generazione, nella tradizione orale.

Orbene, la conferma di tutto ciò rinviene dal fatto che in alcune lezioni del componimento (Statte, Massafra-Leucaspide),  compaiono dei versi finali in cui è riportato il nome di uno di questi poeti ambulanti ed il costo del foglietto a stampa in cui il canto era raccolto. Nella versione di Statte i versi sono i seguenti:

 

“Vulé sapì a ci à cunfermé la storie?

Gnazie de Tarde e cittadine d’Orie.

A ci no sèpe la storie che catte la ‘mbrése

ca no la pèje chiù de nu tornése”

 

Il cantastorie, quindi, si “firma” alla fine del canto: è Ignazio di Taranto, abitante a Oria ed attivo, a quanto pare, tra la fine del secolo XVII e gli inizi del XVIII.  Il suo nome chiude anche altri canti a tema religioso, tra cui uno dedicato a S.Giorgio raccolto nell’omonimo centro del tarantino.  

Credo, però, che non sia possibile stabilire con certezza se egli sia l’autore del componimento originario o, più semplicemente, di un arrangiamento che potrebbe aver messo in scena, girando per i vari paesi del Salento.

Molto chiaro è, invece, il riferimento al foglietto a stampa (“la ‘mbrèse”: l’impresa), messo in vendita dall’artista di strada dopo la sua esibizione al prezzo di un tornese napoletano.

Concludendo ritengo, invece, che restino problematici e non chiariti i collegamenti tra la storia della figlia dello Spagnoletto (sempreché ad essa, realmente, si ispiri il canto religioso) e la devozione per la Madonna del Carmine, a cui viene attribuito l’intervento miracoloso a favore della protagonista.

Secondo alcuni, ma la tesi non convince del tutto, l’autore potrebbe essere stato motivato dalla forte ripresa che le pratiche di culto ebbero a partire dal 1600 in tutto il Regno napoletano, compresa la nostra penisola salentina, e dal fatto che i tumulti, che causarono l’arrivo nella capitale del Viceré Don Giovanni d’Austria, ebbero inizio nel periodo dei festeggiamenti in onore della Vergine del Carmine e culminarono con l’uccisione di Masaniello proprio nel giorno della festa (16 Luglio) e nella chiesa a Lei dedicata (8).

Qui di seguito riporto la versione mandurina dell’antico canto. 

La trama parla di una giovane donna di umile origine (“fija ti nu miseru pittori”) che va in sposa ad un uomo potente (“lu Vicirei”) e che, per l’invidia e la gelosia delle cognate (le sorelle nubili dello sposo), cade in disgrazia.

Queste, approfittando dell’assenza del fratello, partito per la guerra contro i Turchi, complottano simulando l’infedeltà della giovane sposa. Il marito, al ritorno dalla campagna militare, convinto che la moglie lo abbia tradito, la punisce con la morte.

Tornata miracolosamente in vita, per intercessione della Vergine del Carmine a cui era devota (miracolo dell’abitino trasformato in barca), la protagonista del racconto viene ricondotta sulla terra per redarguire lo sposo.

Si presenta nella veste di un medico famoso ed accorre al capezzale del Viceré per curarlo da una grave malattia. Ottenuta la guarigione dell’infermo, all’offerta di ricompensa del marito risponde rivelando la sua vera identità e chiedendo che le sia fatta giustizia per il torto subito.   

Seguono la punizione esemplare delle colpevoli e la morale finale contenuta negli ultimi versi insieme ad una invocazione di chiusura rivolta alla Vergine.

 

 

LA CANZONI TI LA MATONNA TI LU CARMUNU

(Recitata in dialetto di Manduria (TA) dalla sig.ra Modeo Filomena ved. Mandurino, classe 1912, e trascritta dall'Avv. Giuseppe Pio Capogrosso   nell'anno 1986)

 

Ti sciroccu a lianti a tramuntana

tutti 'sti jenti li ulìa copriri

a mmienzu 'nc'é Maria Carminitana

quedda ca sarva e juta ogni cristiana.

 

Lu sabbutu e lu merculitia no' lu 'ncammarati

setti avemarii, setti paternostri e setti gloriapatri ha ricitari,

ci nui cun veru cori li ticimu

fumu ti Purgatoriu non n'itimu

a ci pi sorta an Purgatoriu sciamu

sabbutu eni Maria e ni caccia fora.

 

La fijia ti nu miseru pittori

sapia ti pinnellu maneggiari

suo patri pi lu troppu amori

lu scia cuntannu a tutti li signori.

 

Lu Vicirei l'ebbi già saputu

subbitamenti si lu mannou a chiamari

quannu é 'rriatu a palazzu riali

li faci la scappellata e la riverenza:

"Ce mi cumanni sacra eccellenza?"

"Oh no ti 'mpaurari ti nudda cosa

ca ju la tua fijia la oju pi sposa."

"La mia fijia no ti la pozzu tari

ca é fijia ti nu miseru pittori

ca ju pi lu troppu amori

lu scia cuntannu a tutti li signori."

"Ci no stasera nsinu a crammatina

la tua fijia dienterà regina,

cu sangu povertà, sangu riali!"

 

Quannu scera pi pijà la sposa

li Turchi sparaunu alla Turchia

lu Vicirei ebbi 'na chiamata

ti unu putinzanu assai ti iddu.

Ddo li siluri si ni volli andari:

"Ca la cunsorti no m'abbandonati!"

"Oh abbanni frati mia, abbanni scuscitatu,

ca mò jé ccappata a manu alli caniati!"

 

Eni lu sabbutu e si llava la testa,

si llea lu diamanti ti li mani

e lu ccommi sobbra alla buffetta.

Una ti li caniati si ni ddunou

subbutu 'na icchiaredda sci chiamou:

"No sai vicchiarella mia, no sai ce ha fari?

A quddu cran signori l'ha sciù dunari,

lu baggiamanu e la testa all'incrini,

tu tilli ca lu manna la reginella."

 

Lu Vicirei stava ca inia

cu lunghe scorte e cu cavalleria,

li siluri lu ozzira assiri a 'nanti

comu to patri missionanti:

"Oh frati, oh frati ti ce t'ha fatta la curona

e ti ce manera ti l'ha fatta fari,

ca lu diamanti tua ti li mani

l'é sci dunatu a 'n'otru cran signori

e cinque pi li mani otri ni teni!"

 

Lu Vicirei non bozzi sentiri a questo:

"Mi chiamati li quattru cchiù fitati ca tegnu,

mi armati la mia carrozza

e la purtati alla mia massaria.

Quannu a Petrabianca l'arriati

lu baggiamanu e la scittati a mari!"

 

Edda scia ticennu per la via:

"Lunga é la strada e corta é la via,

ddò ma t'ha purtari calissieri mia?"

"Ta m'ha purtari alla massaria

cussì cumanna vostro marito."

"Lunga é la strada e corta la via,

ddò ma t'ha purtari calissieri mia?"

"Ta m'ha purtari alla massaria

cussì cumanna vostro marito."

 

Quannu a Petrabianca l'arriara

li baggiara la manu e la scittara a mari.

Edda tre paroli ozzi furmari:

"Matonna ti lu Carmunu tu m'ha jutari,

ca é tantu tiempu ca ti portu a 'mpiettu

e non so degna ti 'sta morti fari!"

 

E l’abitinu ci sobbra purtava

si faci a barca e zzicca a navigari,

a 'nanzi li cumpari 'na piccola barchetta:

edda critiu ca erunu veri marinari,

inveci erunu ancili mannati ti Diu.

"Ddò ma t'ha purtari marinari mia?"

"Nui simu ancili mannati ti Diu,

ta m'ha purtari an cielu cu nui,

cussì cumanna la Matri Maria."

 

Quannu sobbra cielu l'arriara,

ti mietucu eccellenti la istera:

'ntra Napuli é calata 'na fiamma,

é calatu 'nu mietucu forestieru.

 

Lu Vicirei stava ca muria,

subbitamenti l'é mannata a chiamari,

li ttanta prima lu puzu e puei lu cori,

subbitamenti lu faci parlari.

Lu Vicirei, quannu si eddi buenu ti saluti,

no' sapia ce rigalu l'era a fari:

"Quale città, quale cosa,

tuttu cuddu ca uliti bi pijati!"

Edda risposi:

"No' boju ne premiu, né città,

sott'a tenenti ti Rei tu mi minti!

Lu primu ca n'ha assiri é lu pittori!"

"'Na fijia ibbi e no l'ha putii airi,

la tiessi pi mujieri a 'nu cra signori,

spusata l'ibbi e seppellita noni!"

"Mi fazzu 'na cranni meraviglia,

lu patri cu non canosci cchiui la sua fijia!

Mi sci chiamati li toi sorelli quani,

cussi finisci la mia vita!"

Li siluri risposira:

"No' ni la critiumu ca iniumu a questu!"

Alli toi siluri fuei la testa truncata,

alla ecchia li fuei fatta la stampata:

misa 'ntra la otti e minata a mari.

 

Maria lu teni scrittu allu suo velu:

ci faci beni an terra, uadagni an cielu,

Maria lu teni scrittu allu suo visu:

ci faci beni an terra uadagni  an Paraisu!

 

 

  Riporto la traduzione italiana, il più possibile aderente al testo ed alle espressioni dialettali usate:

 

 

CANTO DELLA MADONNA DEL CARMINE.

 

Da scirocco a levante a tramontana

tutti questi venti vorrei coprire

nel mezzo c’è Maria Carmelitana

quella che salva ed aiuta ogni persona.

 

Il sabato ed il mercoledì mangiate di magro

Sette avemarie, sette parter noster e sette gloria patri devi recitare,

se noi con devozione li recitiamo

fumo di Purgatorio non vedremo

e se per caso in Purgatorio andremo

sabato verrà Maria e ci caccerà fuori.

 

La figlia di un misero pittore

sapeva maneggiare di pennello

suo padre per il troppo affetto

lo andava raccontando a tutti i Signori.

 

Il Viceré lo seppe presto

subito se lo fece chiamare

quando è arrivato a palazzo reale

gli fa l’inchino e la riverenza:

"Che mi comandi sacra Eccellenza?"

"Oh non ti spaventare di nulla

io voglio soltanto tua figlia come sposa."

"Mia figlia non te la posso concedere

perché è figlia di un misero pittore

io per il troppo affetto

lo andavo raccontando a tutti i Signori."

"Fra questa sera e domattina

tua figlia diventerà regina,

con il sangue del povero, il sangue reale!"

 

Quando andarono per prendere la sposa

i Turchi sparavano dalla Turchia

il Viceré ricevette ordini

da uno più potente di lui.

Dalle sorelle volle andare:

"Non abbandonate la mia consorte!"

"Oh parti fratello mio, parti tranquillo,

che ora è capitata in mano alle cognate!"

 

Arriva il sabato e si lava i capelli,

si toglie il diamante dalle mani

e lo appoggia sopra alla credenza.

Una delle cognate se ne accorse

Subito andò a chiamare una vecchietta:

"Non sai vecchietta mia, non sai che devi fare?

A quel gran signore lo devi andare a donare,

dopo il baciamano e l’inchino,

tu digli che lo manda la reginella."

 

Il Viceré stava per tornare

con lunghe scorte e con la cavalleria,

le sorelle vollero andargli incontro

come due padri missionari:

"Oh fratello, oh fratello di che ti sei fatta la corona

e in che modo te la sei fatta fare,

giacché il tuo anello con il diamante

l’ha donato ad un altro gran signore

che ne tiene altri cinque!"

 

Il Viceré non volle più sentire :

"Chiamatemi i miei quattro servitori più fidati,

preparate la mia carrozza

e conducetela alla mia masseria.

Quando a Pietrabianca sarete arrivati

Dopo il baciamano buttatela in mare!"

 

Ella andava dicendo lungo la via:

"Lunga é la strada e corta é la via,

dove volete portarmi miei cocchieri?"

"Ti dobbiamo portare alla masseria

così comanda vostro marito."

"Lunga é la strada e corta la via,

dove volete portarmi miei cocchieri?"

"Ti dobbiamo portare alla masseria

così comanda vostro marito."

 

Quando a Pietrabianca la condussero

Gli fecero il baciamano e la buttarono in mare.

Ella volle pronunciare tre parole:

"Madonna del Carmine mi devi aiutare,

perché è da tanto tempo che ti porto al petto

e non sono degna di fare questa morte!"

 

E l’abitino che portava addosso

si trasforma in barca e comincia a navigare,

davanti le compare una piccola imbarcazione:

ella credette che fossero veri marinai,

invece erano angeli mandati da Dio.

"Dove mi dovete portare miei marinai?"

"Noi siamo angeli mandati da Dio,

ti dobbiamo portare in cielo con noi,

così comanda la Madre Maria."

 

Quando la portarono in cielo,

la vestirono di medico eccellente:

dentro Napoli è discesa una fiamma,

é arrivato un medico forestiero.

 

Il Viceré stava per morire

subito mandò a chiamarla

gli tocca prima il polso e poi il cuore,

presto lo rifà parlare.

Il Viceré quando si vide in buona salute,

non seppe quale regalo farle:

"Quale città, quale cosa,

tutto quello che volete prendetevi!"

Ella rispose:

"Non voglio né premio, né città,

vuoi trattarmi come un tuo sottoposto!

Il primo che devi liberare è il pittore!"

"Una figlia ebbi, e non ho potuta più averla,

la diedi per moglie ad un gran signore,

la ebbi sposata ma non  seppellita!"

"Mi faccio una gran meraviglia,

un padre non riconosce più sua figlia!

Mi andate a chiamare le due sorelle,

così finisce la mia vita terrena!"

Le sorelle (del Viceré) risposero:

"Non credevamo che si arrivasse a questo!"

Alle due sorelle fu troncata la testa,

alla vecchia fu fatta la “stampata”:

messa nella botte e gettata in mare.

 

Maria lo tiene scritto sul suo velo:

chi fa bene in terra, guadagna in cielo,

Maria lo tiene scritto sul viso:

chi fa bene in terra guadagna in Paradiso!

 

 

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