Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Procida 1799. Cap. VI "Isole nel vento rivoluzionario''

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Non appena fece ritorno al quartier generale  gli venne incontro un giovane in divisa.

-  Commissario Alberini?

-  Sono io.

- Mi chiamo Leopoldo D’Alessandro e sono un Ufficiale del Comandante Francesco Buonocore. Ho una lettera per voi da parte sua. Mi è stato dato ordine di consegnarvela personalmente e di scortarvi fino al castello di  Ischia.

- Devo venire ad Ischia? Ora? Perché tanta fretta?

- Commissario, a me è stato dato questo ordine e lo sto eseguendo!

Fu un pugno nello stomaco per Bernardo: il tono della guardia non lasciava dubbi sul contenuto allarmante di quella missiva.

 

Cittadino Commissario dell’isola di Procida,

a seguito di allarmanti notizie giuntemi da Palermo, ho bisogno di incontrarvi prima possibile. L’Ufficiale D’Alessandro vi accompagnerà al castello d’Ischia ove vi attendo.

Comandante Francesco Buonocore

 

-Va bene, partiamo subito! -  fece Bernardo risoluto.

 

La preoccupazione galoppava, mentre a bordo di una barchetta a remi prendevano  il largo verso Ischia. Remarono ore avversati da onde così alte che a più riprese rischiarono di finire rovesciati. Nuvoloni grigi minacciavano un forte temporale, fecero appena in tempo ad entrare nel porto che iniziò a tuonare ed a piovere.

Il castello d’Ischia campeggiava imponente sul punto più alto dell’isola. Una volta a terra trovarono due cavalli sellati ad attenderli ed un freddo tagliente che osteggiava il passo. Il cuore di Bernardo andava a mille nello sfrecciare col suo destriero sotto una pioggia battente. Giunse al castello inzuppato di pioggia e con lui l’Ufficiale che lo aveva accompagnato.

- Commissario Alberini, che piacere rivedervi!

- Anch’io sono lieto di rivedervi Comandante Buonocore.

- Mi spiace che vi siete bagnato così tanto. Marzo è imprevedibile! Perdonatemi se vi ho mandato a chiamare con tanta urgenza, ma non potevo dirvi tutto quanto in una lettera. La situazione sta diventano molto pericolosa e gli uomini fidati sono pochi.

- Comprendo pienamente le vostre ragioni. Cosa succede?

- Purtroppo ho ricevuto delle notizie allarmanti da Palermo. Pare che l’infame ex re di Napoli stia organizzando con gli inglesi un ritorno a Napoli, ma prima ancora cercherà di recuperare le isole. Corre voce che per la fine di marzo saremo attaccati dagli inglesi.  Il cardinale Ruffo sta reclutando uomini  tra mercenari ed avanzi di galera ed una volta costituito l’esercito della Santa Fede punteranno su Napoli.  Ho disposto che questo castello venga fornito al meglio, essendo la batteria più forte che abbiamo sopra il mare. Purtroppo dobbiamo pensare solo a difenderci ed a contare sulle poche risorse che abbiamo.  Ischia e Procida sono state affidate a me ed a voi. Vi consiglio di tenere  sentinelle sulle torri notte e giorno così come sto facendo io. Teniamoci pronti al peggio, Commissario, sarà una dura battaglia.

- Lo avevo immaginato! Disporrò i miei uomini sulle torri e su tutte le alture,  pur se non abbiamo un grande esercito ci difenderemo a spada tratta. Cos’altro posso fare?

- Dovete trovare un modo sicuro di far arrivare la notizia a Napoli. L’Ammiraglio Caracciolo con la sua flotta dovrà tenersi pronto ad attaccare e difenderci. Purtroppo era prevedibile; quando ci sono state affidate le amministrazioni delle isole abbiamo dovuto fare tutto da soli e voi, come me, avete pochi uomini al seguito.  Per quanto ci sforziamo di imporre  le nuove leggi la gente ci osteggia e prega per il ritorno del Borbone. Dobbiamo chiedere rinforzi, il Governo deve sapere che la situazione sta precipitando. Marzo volge alla fine, non possono abbandonarci a noi stessi!

- Ci andrò personalmente, partirò domattina all’alba!

- Ve ne sarei infinitamente grato Bernardo, ne va della vita di tutti noi. Non abbassate la guardia e tenete gli occhi ben aperti. Noi rappresentanti siamo esposti più degli altri, viaggiare adesso è molto pericoloso. Portate con voi qualche guardia.

- Non temete, gli uomini fidati sono pochi, ma grazie a Dio ci sono. State tranquillo.

- Sono preoccupato, invece, sono molto preoccupato! Sapete molto bene che il nostro peggiore dramma non solo è la penuria di uomini e mezzi, ma la fitta rete di nemici che stanno tramando alle nostre spalle. Il nostro sacerdote Antonio De Luca ogni giorno riceve attacchi da altri preti  e dalla gente. Nessuno più frequenta la chiesa dello Spirito Santo da quando lui predica il catechismo repubblicano. Il popolo ci detesta e col popolo tutte quelle fazioni seguaci del tiranno, e questo significa che i primi avversari contro cui dovremo combattere già ci girano intorno e stanno aspettando il momento opportuno per insorgere. Temo per i miei soldati, la mia famiglia, mia moglie Francesca, i mie tre figli e del quarto che nascerà tra qualche mese. Temo per tutti noi! Con me Ferdinando sarà spietato. Per tanti anni lui e la corte avevano trascorso le vacanze nel palazzo della mia famiglia. Si fidava molto di noi….ed ora ci vede doppiamente traditori!

- Non dovete sentirvi colpevole per questo, Comandante, tanti nobili hanno frequentato il palazzo reale a Napoli ed hanno partecipato alle sue cerimonie. Se fosse stato un re saggio avrebbe dovuto ascoltare i nostri consigli, avrebbe dovuto aprirsi alle nuove idee illuminate, acculturarsi, ascoltare persone sagge e lungimiranti. E invece no! Ci ha perseguitati tutti! Gli avvenimenti della rivoluzione francese invece di fargli comprendere che era arrivato il momento di mettere in pratica dei cambiamenti  hanno scatenato in lui e Maria Carolina l’effetto contrario, costringendoci alle cospirazioni, alle logge massoniche, a premeditare congiure. Abbiamo vissuto senza respirare, continuamente vigilati dalle sue spie, censurati in ogni nostro gesto. I francesi sono venuti a liberarci quando lui era già scappato a Palermo con al seguito la sua degna corte. Non avete proprio nulla da rimproverarvi Comandante, avete fatto il vostro dovere da buon cittadino della Repubblica. Un giorno la storia vi darà ragione.

- Di questo il mio cuore ne è ben certo, caro Bernardo, e sono pronto a morire per la Repubblica, ma provo dolore per l’innocenza dei miei figli e dei figli degli altri patrioti, per le nostre donne che resteranno sole a patire sofferenze. Soffro al pensiero di coloro che lasceremo e su cui  quei dannati  scaglieranno vendette e persecuzioni. Noi combatteremo fino all’estremo delle forze  e la morte metterà fine alla nostra sofferenza, ma la loro sarà ancora più lunga!

- Cosa possiamo fare? Cosa ci resta da fare? Scappare sarebbe da vigliacchi e noi abbiamo indossato questa divisa per onorarla col nostro sangue, non per macularla con l’onta del tradimento!!

- E lo faremo, mio caro amico, combatteremo fino all’ultimo respiro. Qualunque sia il prezzo della libertà noi siamo già pronti a pagarlo!  Abbiate cura di voi e della vostra gente!

- Lo farò, così come voi. Domani vado a Napoli. Non possono non tenere conto di un pericolo così incombente. Chiederò aiuti, devono aiutarci!

- Conto su di voi, Alberini, e  mi ha fatto davvero piacere avervi rivisto.

- Anche a me e spero di rivedervi presto!

- Salute e rispetto Commissario!

- Salute e rispetto Comandante!

 

Lasciò il castello con la disperazione nel cuore, aveva smesso di piovere, ma il mare era ancora procelloso. Sfrecciò su un cavallo dal manto fulvo per le stradine di Ischia, di volata raggiunse il porto e  con due marinai al seguito si avventurò per mare con una barca a remi. Fu un viaggio terribile: imbarcarono acqua per le onde alte, uno dei marinai finì in mare e per poco non annegò, ed a tutto ciò si aggiunse quell’enorme fardello di inquietudine  che si trascinava dietro; aveva conosciuto il Comandante Buonocore anni prima, quando in gran segreto si riunivano a Napoli nelle loro società patriottiche, sognando la Repubblica, vagliando strategie, ed a quel tempo il fuoco della libertà ardeva vivo nel cuore di tutti, facendoli sentire pronti ad affrontare qualsiasi inferno, ma adesso che quell’ecatombe era alle porte la disperazione stava prendendo il sopravvento. Nel giro di qualche mese quei giovani uomini valorosi  sembravano tutti sfioriti, rosi dai problemi e dall’incombente minaccia della morte.

Giunse a Marina Grande bagnato fradicio e così tanto rabbuiato che non appena il marinaio Calise lo vide approdare, gli andò incontro e senza preamboli gli chiese:

- Siete stato ad Ischia perché sta tornando l’infame vero? Me lo dice la vostra faccia, commissà…. Sta arrivando, è così?

- Si,  per la fine di marzo dicono che arriverà la sua flotta e quella inglese!

-  Non riusciranno a riprendersi Procida, difenderemo la nostra isola con tutte le nostre forze. Dovrà ammazzare me prima di chiunque altro!!!

-  Si, Giacinto, lo faremo, ci difenderemo, ci batteremo da eroi perché noi abbiamo dentro un fuoco che loro non hanno: l’amore per la Patria e la libertà.

- Io starò sempre al vostro fianco, contate su di me, io non vi tradirò mai!

- Lo so, e nemmeno io lo farò.

- Ma da Napoli, cosa fanno? Perché non ci mandano aiuti,  rinforzi?

- Perché non li hanno nemmeno per loro stessi, questa è la verità, siamo in ginocchio. Il popolo non è dalla nostra parte. Se così fosse stato ora potevamo stare tranquilli. Ma noi sappiamo bene che non è così. Ieri è bastata una stupida lite per un gioco di carte a  far spuntare fuori il seguace borbonico.

- Si, ho saputo, e so anche che quel disgraziato sarà il primo a schierarsi contro di noi, e non solo lui. Siamo circondati da nemici che bramano di vederci appesi sulle forche! Lo so, stanno tramando… Ma io non mi do per vinto, Commissà, io voglio farmi impiccare piuttosto che tornare schiavo del Borbone!

- Domani devo andare a Napoli, Calise, e  solo a te posso rivolgermi con fiducia.

- Tutto ciò che volete, ditemi cosa devo fare, sono ai vostri ordini, sono pronto a tutto!

-  Devi trovare un’imbarcazione a vela, dei marinai fidati  e venire con me!

-  Lo farò, non temete, lo farò.

- Sono stato incaricato di informare il Governo dell’arrivo della flotta nemica. Abbiamo ancora qualche giorno, può darsi che l’Ammiraglio Caracciolo riuscirà a bloccarli prima.

-  Contate su di me, Commissario, domattina vi porto a Napoli, anche con il mare in tempesta!

-  Bene, allora ci vediamo qui all’alba.

Calava la sera e con l’oscurità un silenzio sinistro; le nuvole si erano spostate verso Sud, facendo riapparire  qualche stella nel cielo ed uno spicchio di luna che luccicava fioco sul tremolio delle onde. Seduto alla scrivania, Bernardo era esausto, teso;  teneva le labbra strette  in una morsa di rabbia, mentre vergava su un foglio bianco parole carche di nervosismo, smania di reagire presto e subito ad un destino impietoso ed imminente. Di tanto in tanto bagnava la piuma nel calamaio, alzava il capo, si passava la mano nei folti capelli chiari, raccogliendo pensieri e poi riprendeva a scrivere. Stava preparando una richiesta di aiuti al Governo della Repubblica da consegnare ad un rappresentante di Napoli, nel caso non gli fosse riuscito di parlare direttamente con il ministro della guerra Manthonè o con l’Ammiraglio Caracciolo.

Rimase fino a tarda notte seduto alla sua scrivania dagli intarsi dorati, con il capo chino in avanti, quasi nascosto tra faldoni imbottiti di carte, il calamaio ed un grosso candelabro, avvolto nella solitudine di una sala immensa, contornata da specchi dorati e pareti affrescate; qualche ciocco scoppiettava in un maestoso camino in marmo bianco, su cui troneggiava una seicentesca battuta di caccia.

Era talmente assorto che non si accorse della visita notturna di don Antonio Scialoja. La sua voce lo prese di sorpresa ed ebbe un sussulto nell’udirla  squarciare d’improvviso il silenzio.

- A quest’ora ancora lavorate?

- Oh, don Antonio, che ci fate qui? Come mai non siete a casa a dormire?

- In verità ho saputo che siete stato ad Ischia per un incontro lampo col Comandante Buonocore, e non ho resistito ad aspettare domattina per sapere. Suppongo vi abbia comunicato qualcosa di importante.

- Si, pare che il tiranno si stia organizzando con gli inglesi e per la fine di marzo salperanno con una flotta da Palermo e punteranno dritti su di noi!

- Santo Cielo! E da chi ha avuto questa notizia Buonocore?

- Non saprei, ma sicuramente da una persona fidata.

- E cos’altro vi ha detto?

- Mi ha chiesto di mettere al corrente il Governo a Napoli. E così domattina ci andrò personalmente!

- Non di andarci da solo?

- No, ho già chiesto a Calise di procurare dei marinai ed un’imbarcazione.

- Consentitemi di venire con voi!

- Se volete…

- Verrò con piacere e vi aiuterò a farvi ascoltare! Non possono non tenere conto di questa minaccia che incombe, e poi, in verità, a Napoli vorrei anche poter incontrare mio cugino Marcello Eusebio Scotti. Anche lui si sta dando molto da fare per la causa.

- Certamente, ma ora andiamo a dormire per qualche ora.  Vi aspetto domattina all’alba giù a Sent’ Co’.

- Non mancherò. A domattina Bernardo.

- A domattina don Antonio, buona notte.

Ma non fu affatto una notte tranquilla, in preda ad uno stato di concitazione, Bernardo la consumò quasi tutta  aggirandosi come un’anima in pena per le stanze del castello ed alle finestre che davano sul mare. Non aveva più pace, i pensieri più cupi erano divenuti martellanti, facendogli  presagire uno scenario orrendo: sangue, grida, persecuzioni e lo spettro del patibolo già allestito in quella piazza a lui tanto cara.

 

Procida 1799. La rinascita degli eroi. Introduzione di Renata De Lorenzo

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Procida 1799. Cap.III "Il dolce soffio della Libertà"

Procida 1799. Cap.IV "Luci ed ombre della Repubblica"

Procida 1799. Cap. V “Un posto nella storia”

 

 

 

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