La restituzione del Museo Civico "G. Filangieri" alla città di Napoli
"La storia sviluppata in un sistema di civiltà, in un patrimonio grandioso, che va dal patrimonio tangibile dei monumenti, delle scoperte e delle invenzioni, a quello, sempre più sfuggente ad un apprezzamento economico, delle idee, della sensibilità morale, della coscienza giuridica, del gusto artistico, non può da noi essere apprezzato se non in un sistema e in un organismo. E' perciò sempre positiva, quale che sia l'incremento che noi vagheggiamo, e il nostro canone di valutazione: anche se il prezzo d'opere e di dolori d'ogni acquisto potè parer troppo alle passate generazioni; anche se ad esse potè essere doloroso il non conseguire quanto desideravano. Noi questa opera di civiltà la scopriamo interiore a noi, e ne prendiamo possesso, e la scopriamo ineliminabile." (Adolfo Omodeo, " Il senso della storia", 1955) In soli 75 giorni, dal I settembre al 14 novembre del 1884, ben settemila napoletani perdono la vita a causa dell'ottava epidemia di colera verificatasi in città fin dagli inizi del sec. XIX. Sono stati i soldati francesi rientrati dalla guerra per l'occupazione della regione vietnamita del Tonchino ad aver determinato, a Tolone, la prima insorgenza di quest'epidemia che, attraverso i traffici commerciali, non tarda a diffondersi in molte città europee. E Napoli, benché non goda più del prestigio tipico di una capitale di un regno, è l'unica città italiana che possa essere definita europea, grazie alle molteplici relazioni internazionali di cui continua a fungere da centro. Questa vivacità è però resa quasi vana dalle laceranti contraddizioni che caratterizzano la società napoletana di fine Ottocento: a fronte di una classe medio-borghese che inizia a dedicarsi ad attività dalla relativa produttività, e di una forza capitalista non ancora consapevole della propria funzione, vi è un popolo immenso che continua a soffrire e morire a causa delle condizioni di miseria in cui l'hanno gettato secoli di noncuranza e malgoverno. Sono memorabili le pagine che Matilde Serao, direttrice de "Il Mattino", dedica alla descrizione dei quartieri poveri della città ne "Il ventre di Napoli", già fatti oggetto di studio e di denuncia fin dai primi tempi dell'Unificazione. Scrive Marino Turchi, medico e consigliere comunale, in un rapporto presentato al Consiglio comunale nel 1862: "Scendi per Santa Lucia, per dove passando ogni dì innumerevoli cocchi e fastosi, insultano alla miseria, che quivi langue e marcisce: sosta un istante, non dico a guardare quelle luridi venditrici d'acqua sulfurea, e quelle sozze panche di crostacei e molluschi con quelle grosse tele [...] ma fermati e t'inoltra per poco, a dritta, se ti basta l'animo, in quei traghetti e viuzze, poste tra sperticate e fosche mura, e vedi quanta misera gente è agglomerata in quei lordi fetidi e tenebrosi covaccioli [...] e se più addentro muovi il passo, vedrai in quali umidi e tetri tugurii vivon sepolti i marinai e i pescatori di quella spiaggia ridente". Un inferno dantesco abitato da uomini vivi a cui, tuttavia, non tutti decidono di cedere. E' in questo panorama moralmente insostenibile che si inserisce, infatti, l'azione degli eredi di quell' aristocrazia ( "quella reale, dell'intelletto e dell'animo", come Benedetto Croce ne "La Storia del Regno di Napoli" la definirà nel 1924) che, pur con andamenti alterni, ha sempre avvertito l'obbligo morale di contribuire al progresso del Mezzogiorno. Le vicende del Museo Civico "Gaetano Filangieri" e la storia stessa del suo fondatore sono uno degli esempi più luminosi di questa forma di missione civile. Nipote omonimo del celeberrimo giurista che, insieme ad altre menti eccellenti, rende la Napoli della fine del XVIII secolo la città a cui l'Europa e i neo-istituiti Stati Uniti d'America guardano con ammirazione e speranza, Gaetano Filangieri junior nasce a Napoli l'8 novembre 1824, ultimo figlio nato dall'unione del primogenito di Gaetano Filangieri senior, Carlo, con Agata Moncada, principessa di Paternò. La condizione di figlio di un generale impegnato in modo più che attivo nelle dinamiche politiche del Regno delle Due Sicilie non sembra avere un ruolo determinante nella formazione del caratttere e delle aspirazioni del futuro principe di Satriano, titolo ereditato dai Filangieri nel 1817 per disposizione testamentaria del principe Filippo Ravaschieri Fieschi. Le Antichità e le Belle Arti sono le passioni a cui Gaetano Filangieri si consacra, e fin dalla giovane età inizia ad intraprendere numerosi viaggi in diversi Paesi del mondo attraverso i quali, accanto all'approfondimento degli studi storici, gli è possibile dar vita ad una collezione di opere d'arte e manufatti che, presto, gli conferiscono una fama notevole nell'ambiente artistico-culturale di Napoli, pervaso, in quegli anni, da un gusto estetico unito ad un rinnovato interesse verso l'elemento tecnico-pratico. E' una sensibilità che deve il suo sorgere alle politiche d'industrializzazione attuate dai primi governi unitari, ma è il risultato della ripresa della grande tradizione illuminista. E' nel sec. XVIII che, infatti, si afferma nel Mezzogiorno la necessità di creare dei musei che, oltre al dato estetico, tengano conto della valutazione tecnica per consentire occasioni di studio e di approfondimento alla classe degli artigiani: è nella diffusione delle innovazioni tecnico-scientifiche che viene individuato lo strumento privilegiato per lo sviluppo economico e per la fine della ghettizazione sociale. Negli anni precedenti l' Unificazione, altri tentativi di istituire dei "conservatori" per gli studi tecnici sono perseguiti da diverse personalità influenti. Tra questi, sono degni di memoria: il progetto per un " Conservatorio di arti e mestieri", propugnato da Vincenzo Cuoco nel 1806 sotto il governo di Giuseppe Bonaparte; gli studi preparatori per un "conservatorio" per le armi presentato da Carlo Filangieri negli anni Trenta dell'Ottocento; infine, il progetto per un " conservatorio" per le arti presentato nel 1848 dalla "Commissione Baldacchini", a cui bisogna attribuire l'alto merito di aver introdotto il concetto di "design" nel dibattito architettonico meridionale. L'incalzare delle guerre risorgimentali e i gli ostacoli procurati dalle gelosie degli ambienti della corte borbonica hanno sempre inibito lo sviluppo di ognuno di questi progetti. La nuova classe dirigente dell'Italia unita è invece libera da simili ostacoli, e riesce finalmente a dar vita ad importanti iniziative che ridanno alle Arti la loro intrinseca funzione civile. In seguito alla soppressione dei beni ecclesiastici, grazie alla quale la Certosa di S.Martino passa sotto la tutela del Demanio pubblico, il 1866 vede la nascita del Museo nazionale di S.Martino, che, sul modello del museo territoriale francese, viene affidato alle cure dell'archeologo Giuseppe Fiorelli con lo scopo di custodire le "patrie memorie" del Regno delle Due Sicilie; nello stesso anno, malgrado continui ad essere una residenza reale, il patrimonio artistico del Museo di Capodimonte inizia ad esser accresciuto di numerose opere d'arte la cui fruizione diventa accessibile a tutto il pubblico. La vera svolta si verifica a partire dal 1878, quando, su iniziativa di Gaetano Filangieri e con decreto del ministro De Sanctis, nella sede del Reale istituto di Belle Arti viene istituito il primo museo artistico-industriale della città di Napoli. "Museo ed Officine Artistiche Industriali" è il nome esatto di questo luogo sperimentale, ideato secondo il Museo londinese di Kensington, e la cui realizzazione è dovuta, in particolar modo, alle conoscenze ed all'esperienza acquisite dal patriota, nonché raffinatissimo esperto di Belle Arti, Demetrio Salazar. Queste iniziative sono sintomi che dimostrano quanto Napoli sia una metropoli caratterizzata da un gran fermento sotto il profilo artistico e culturale. Perfino le problematiche connesse ai "quartieri bassi" sono affrontate secondo un'ottica urbanistica all'avanguardia. Il primo progetto di "risanamento" della città risale al 1861, in occasione di un primo bando progettuale indetto dalla Sezione di Architettura dell'Associazione degli scienziati, letterati e artisti, vinto dall'architetto Enrico Alvino: è la Parigi progettata dall'architetto Haussmann per volontà di Napoleone III a fungere da modello, e fin da questo progetto appare evidente come sia indissolubile il legame che unisca la ristrutturazione urbanistica ed il miglioramento delle condizioni sanitarie dei quartieri più poveri. Un successivo concorso è bandito nel 1871, e prima che il colera del 1884 compia la sua disastrosa comparsa, il primo " Piano Regolatore della Città di Napoli" appare agli inizi del 1880: la costruzione di un "rettifilo" ed il risanamento dei quartieri Porto, Mercato e Pendino sono gli obiettivi principali da raggiungere, nonostante ciò comporti l'abbattimento di edifici storici, nel cui novero vi è un palazzo edificato nel Quattrocento secondo il coevo stile rinascimentale: Palazzo Como. Sito in via Duomo, una delle strade più antiche di Napoli, questo palazzo deve la sua costruzione alla nobile famiglia dei Como che lo destina a dimora di residenza fino al 1587, anno in cui, a causa di problemi finanziari dei Como, il palazzo viene venduto al vicino Convento di San Severo Maggiore; come accade per la Certosa di S.Martino, con la soppressione dei beni ecclesiastici del 1866 anche Palazzo Como è espropriato in favore del Demanio pubblico ed è quindi destinato a sede di uffici pubblici. La notizia del progetto di abbattere le secolari mura in piperno di Palazzo Como scatena un'immediata ed accesa protesta dei cultori d'arte che, oltre a cogliere di sorpresa gli autori del "Piano Regolatore", costringe la " Commissione dei Monumenti", istituita proprio con lo scopo di vigilare i piani di esecuzione, ad avanzare al Consiglio comunale la proposta di procedere allo smantellamento delle mura perimetrali per poter essere ricostruite sul perimetro del nuovo piano regolatore di via Duomo; il Consiglio comunale rilascia il proprio parere favorevole, e, a sue spese, procede alla riedificazione delle facciate murarie su di un perimetro arretrato di circa 20 metri rispetto alla posizione originaria. Per il principe di Satriano, l'intera vicenda di Palazzo Como è l'occasione ideale per fornire la città di Napoli di un museo civico, ed una volta terminati i lavori di riedificazione, si propone come finanziatore per la completa sistemazione degli ambienti interni del Palazzo,con lo scopo di farne il luogo di esposizione della sua prestigiosa collezione. Con un decreto reale del 16 agosto 1882 Museo Civico " Gaetano Filangieri" è riconosciuto quale "ente morale"; dotato di un patrimonio e di una rendita annua assicurata dallo stesso principe di Satriano, sei anni dopo il suo riconoscimento giuridico, l'8 novembre 1888 il museo apre, per la prima volta, le sue porte alle tante personalità accorse per questo evento straordinario. Quadri antichi, armi medioevali ed orientali, maioliche e porcellane provenienti dalle più importanti industrie italiane, avori, legni intagliati, vetri antichi, tappeti e miniature, pergamene e manoscritti originali di personaggi storici sono messi a disposione degli artisti, degli studenti e degli artigiani; inoltre, una ricca biblioteca ed un " Centro studi per il territorio", ideato da Gaetano Filangieri ma istituito solo successivamente, accompagnano le ricerche di tutti questi studiosi, rendendo il Museo Civico una fucina di iniziative senza pari. Fino alla barbarie della II Guerra mondiale. Su ordine del direttore di quel tempo, il conte Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga, nel 1941 quasi tutte le collezioni sono trasferite in una villa situata a S. Paolo Belsito, una picola località del napoletano, con la speranza che la lontananza da Napoli possa salvaguardare le opere d'arte dall'azione dei bombardamenti e degli atti incendiari delle truppe naziste. E' un rifugio che adempie alla perfezione questa funzione, ma dei soldati tedeschi, probabilmente venuti a conoscenza dell'immenso patrimonio custodito in quel lontano paesino e decisi alla distruzione totale in seguito all'armistizio, nella notte del 30 settembre 1943, con mine e bombe incendiarie distruggono gran parte del patrimonio artistico del museo civico. Così scompaiono nel fuoco di distruzione un " Ritratto di un personaggio di Casa Medici" del Botticelli, " La Sacra Famiglia" attribuita al Pollaiolo, una " Deposizione" del Pordenone, il " Ritratto del giurista Gaetano Filangieri" di Domenico Morelli, numerose opere di Luca Giordano, di Francesco Solimena e di Mattia Preti. Ancora una volta, a questa catastrofe reagisce con forza e determinazione l'aristocrazia dell'intelletto. Cessato il conflitto bellico, Riccardo Filangieri di Candida Gonzaga, in unione con il soprintendente alle Gallerie per la Campania, il prof. Bruno Molajoli, e con il supporto del Ministero della Pubblica Istruzione e del Comune di Napoli non solo, il 29 settembre 1948, riapre il Museo Civico, ma attraverso donazioni di singoli privati e di altri musei statali ne rinnova, accrescendolo, il patrimonio. Ed il suo successore, Francesco Acton, impiega tutto il suo mandato, terminato nel 1988, per ristrutturare e modernizzare la struttura di Palazzo Como di cui arriva a progettare un ampliamento nella parte retrostante per consentire a tutti i napoletani di arricchire il proprio Museo Civico con donazioni personali. Con la fine della gestione di Francesco Acton ha inizio il periodo più buio per il Museo Civico: ciò che l'incendio di S.Paolo Belsito non riesce a compiere, malgrado la tragica perdita di cinquanta opere d'arte, è attuato dall'incuria delle classi dirigenti che si susseguono alla guida di Napoli. Uno spasmodico avvicendamento di chiusure ed aperture caratterizza la storia del Museo Civico per più di vent'anni, procurando gravi danni alla struttura architettonica di Palazzo Como e gettando i suoi dipendenti in uno stato di precarietà mortificante che ha termine solo nella primavera del 2012, grazie all'azione del direttore, Gianpaolo Leonetti, ed alle numerose e pregevoli attività dell' Associazione " Salviamo il museo Filangieri". I concerti, le mostre e l'organizzazione di vendite all'asta delle opere d'arte degli artisti contemporanei consentono, dalla costituzione di quest'associazione, il ritorno in vita del Museo Civico. La restituzione al pubblico della " Sala Agata", avvenuta il 5 dicembre 2015 e resa possibile dalla collaborazione tra le istituzioni pubbliche e il mecenatismo dei privati, segna l'inizio di un nuovo percorso a cui tutti i napoletani, in nome dell'alta tradizione culturale di cui sono figli, sono chiamati a contribuire in maniera imprescindibile. |
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