Subiaco: dall’ “otium” pagano alla contemplazione cristiana
Tanti anni fa da Fiuggi giunsi al Sacro Speco di Subiaco con il semplice desiderio di conoscere un altro sito religioso. Non avrei mai potuto immaginare che quel viaggio avrebbe in qualche modo segnato il mio spirito. Fu certamente il Signore a indurmi ad andare a Subiaco. Nel momento in cui gettai per la prima volta il mio sguardo dal Sacro Speco nella sottostante valle dell’Aniene, mi sentii, per un attimo, come rapito dalla bellezza della natura e immerso nell’estasi. La sensazione che allora provai rivelava – a mio avviso - la presenza del Signore in quella valle santa. Una parte dello splendore del volto di Dio lì appariva chiaramente e ne venne anche allietato il mio spirito. Da allora il Sacro Speco è diventato per me un luogo sacro, per la particolare gioia che aveva donato all’ anima mia. E’ come se la bellezza naturale sprigionasse da se stessa una felicità che mi era venuta incontro. Era l’amore del Signore, che in questo modo aveva accarezzato dolcemente tutto il mio essere. E di fronte a un tale amore che proveniva dalla divina bellezza, il mio spirito pieno di letizia si è aperto alla gratitudine più profonda verso il Creatore e verso il luogo da cui arrivava tale sua meraviglia.
Quella prima sensazione, così intensamente, non si è più ripetuta, ma il Sacro Speco non ha mai perso davanti ai miei occhi il suo incanto. Se è vero che quanto allora accadde è qualcosa che riguarda me e il Creatore, è altrettanto vero che il Sacro Speco con la valle dell’Aniene aveva colpito profondamente anche altre persone, come il Petrarca che, definendolo "Paradisi limen", ne ha data un’appropriata e famosa denominazione. Che cosa veramente significa questa espressione petrarchesca? Letteralmente viene tradotta come “Soglia del Paradiso”. Vale a dire che per il poeta del “Canzoniere”, uno degli spiriti più altamente estetici della letteratura italiana, il Sacro Speco contornato dalla sua natura gli appariva un luogo così bello da essere considerato come l’ingresso, la porta del Paradiso. Ci si chiede se questa famosa frase del Petrarca è stata dagli altri condivisa. Ma quel giudizio non fu espresso da un frettoloso turista, da un osservatore dall’animo duro e superficiale o da una persona poco esperta. Ad esprimerlo fu invece un esteta, cioè un artista competente a poter dare un giudizio certo sulla bellezza della natura sublacense, che gli apparve come un frutto particolare della divina creazione. Ma l’incanto di questo paesaggio fu percepito sin dall’antichità quando Nerone decise di edificare la sua villa. Nei primi anni del suo potere, sotto l’influsso di Seneca, egli volle costruire una villa lungo l’alto Aniene, sotto i monti Talèo e Francolano. Essa costituita da tre dighe, da due ponti e da alcuni artistici padiglioni d’influsso egizio, dislocati lungo le rive del fiume, abbellirono ulteriormente l’ambiente, per cui esso dovette apparire qualcosa di paradisiaco ai contemporanei. Nerone era informato sull’Egitto, ma molto di più lo era Seneca, che a lungo, cioè per undici anni, vi aveva soggiornato, per cui tra loro e gli architetti Severo e Celere si giunse alla conclusione che la villa, con i suoi padiglioni avrebbe preso ad esempio il fiorente stile artistico del periodo tolemaico, mentre l’Aniene avrebbe simboleggiato un piccolo Nilo, che con le sue acque feconde e salvifiche, bagnando le fondazioni degli edifici della villa, avrebbe inaugurato e benedetto una fase di benessere per l’Impero romano. Oltre al valore della simbologia nilotica che sarebbe stata di buon auspicio per il potere neroniano, la villa di Subiaco aveva anche un'altra funzione cioè quella di assicurare l’ “otium”, cioè il riposo, la tranquillità dello spirito all’imperatore e ai suoi amici. Nessuno più di Seneca era esperto in queste cose. E lui che ha scritto nei famosi dialoghi il “De otio”, cioè “La vita contemplativa”. L’ “otium” per Nerone paganamente significava allontanarsi per poco dalla vita politica per riposarsi nella sua villa o per ritrovarsi in gioie sensuali. Per Seneca invece aveva un significato altamente filosofico. Lo stoico, come insegnava Zenone, aveva il dovere di impegnarsi nella vita politica e l’ “otium” poteva solo avere il valore di un momentaneo distacco, per rinvigorirsi per un nuovo impegno. Quando Seneca si rese conto che Nerone non seguiva più i suoi consigli e che Roma non era una “res pubblica” adatta al sapiente, l’ “otium”, cioè la vita contemplativa, non era più, con rigore stoico, una “statio”, cioè una sosta o un ritemprarsi per l’azione, ma, similmente a Epicuro diventava un “portus”, cioè meta ultima della sua via alla sapienza. Seneca aveva la grande capacità di intuire, delineare e scrivere quella che era la strada della saggezza. L’ “otium”, col suo ritiro, era una rinuncia ad ogni vanità e gloria in nome dell’umiltà e della tranquillità dello spirito. Seneca sapeva queste cose, ma spesso era in contrasto con esse nella vita pratica, perché questa talvolta lo tentava sul piano del protagonismo e della ricerca della gloria. Ma pur con queste contraddizioni la sua ricerca della verità, come dimostrano chiaramente i suoi scritti, resta assolutamente preziosa. Certo il suo ritiro dalla vita pubblica e la susseguente sua morte, decretata da Nerone, è la prova più lampante della sua adesione definitiva alla verità del bene. Se Seneca solo verso la fine della sua vita aveva accettato che l’ “otium” potesse diventare fine supremo, S. Benedetto invece radicalizzò sin dall’inizio questa posizione, per cui il ritiro dal mondo diventò subito definitivo e istituzionalizzato e carico di contenuti relativi a Dio e alla sua contemplazione. Seneca nel dialogo “De brevitate vitae” invitava Paolino a considerare il fatto che dopo tanto impegno per la cosa pubblica una persona può anche ritirarsi nel privato, Benedetto invece giunse alla conclusione del ritiro dal mondo senza il passaggio di un iniziale impegno. Considerò pericoloso un contatto col mondo della sua epoca. Si rese subito conto della difficoltà o meglio dell’impossibilità di poterlo veramente mutare e del rischio di potersi corrompere, per cui imboccò subito la strada dell’isolamento e della perfezione individuale, la quale poteva essere sempre di esempio e indirettamente di aiuto agli uomini corrotti del suo tempo. Ma l’allontanamento totale dal mondo operato da Benedetto faceva si che questo suo “otium” sublimato si sarebbe trasformato in uno stabile perfezionamento spirituale, possibile solo con la regola, per cui la vita contemplativa diventava il fine ultimo di una vita consacrata al Signore. Benedetto, superando la posizione pagana, viveva in piena umiltà, senza ricercare glorie e piaceri umani, lontano dal mondo e in colloquio continuo con Dio. Di fronte alla sua grandezza spirituale era più che naturale che l’avrebbe raggiunto la gloria del Cielo e per quanto isolato e senza volerlo anche quella della terra. E’ bene a questo punto rilevare che tutti i personaggi di cui abbiamo sinora parlato, se si sono per così dire ritrovati a riflettere sulla condizione umana e a decidere per sé e per gli altri su come utilizzare al meglio la vita, ciò è dipeso dal fatto che essi sono venuti e spesso restati a Subiaco soprattutto per la bellezza del Sacro Speco e della valle dell’Aniene. Senza il loro stupendo scenario né Nerone, né Seneca, né Benedetto, né Petrarca e più modestamente nemmeno io saremmo stati indotti a parlare della zona sublacense e di quanto è in essa accaduto. Quindi la vera protagonista di qualsiasi “otium” di salvezza in quest’area è stata la bellezza della sua natura, fonte di riflessione sulla dignità e sul destino dell’uomo. Si possono fare tutte le critiche di astrazione che si vogliono a una visione estetica della vita, ma essa resterà pur sempre una strada di attrazione suprema da voler percorrere. E’ evidente che – per restare nell’ambito benedettino - vicino all’ “Ora” , che riassume tutti gli aspetti spirituali inclusa la bellezza, è necessario il “Labora”, che contiene anche tutti i rapporti con il mondo concreto. E così, con il messaggio di bellezza e di pratico amore di Benedetto, si completa e si afferma una storia di perfezione umana, che Dio ha voluto che, per tanta parte, iniziasse e si attuasse nell’atmosfera magica dell’ alta valle dell’ Aniene. |
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