Giuseppe Camillo Giordano: frammenti d'Erbario di un botanico romantico
di Emanuela Gioia Del patrimonio culturale italiano, quello che si conosce ma, soprattutto, quello sconosciuto ai più, se ne trova traccia quotidianamente e sotto ogni forma: che sia artistica, che sia letteraria, architettonica o, ancora, scientifica e storica. Per questo motivo, l’importanza del lavoro per il recupero della memoria non ha bisogno di grandi indecisioni, soprattutto se si pensa all’attuale situazione di degrado, materiale e intellettuale, di tanto di quel patrimonio di cui l’Italia si trova ad essere scrigno ignaro e inconsapevole. I luoghi simbolo di questa incuria, che si palesa nella scarsa attenzione al recupero di una ricchezza che da sola potrebbe bastare a se stessa e all’Italia tutta, sono proprio quei luoghi che ne tramandano, più di altri, una eredità vasta quanto eterogenea, per essere stati, essi stessi, culla di storia, cultura e natura, attraverso diverse epoche, contrassegnate ognuna da stratificazioni differenti che hanno avuto, come spontanea conseguenza, una crescita e un rinnovamento culturale ampio e variegato. Ma fino ad un certo punto. Tant’è che il bizzarro contraccolpo subito dal Sud, dopo aver fatto da traino per secoli, consiste proprio nel ritrovarsi a subire, oggi, la conseguenza più amara e pericolosa di una negligenza che aleggia in ogni ambito, come una spada di Damocle, rendendo ogni cosa proverbialmente di difficile attuazione. È un’indolenza che parla una lingua afasica e che apre le porte alla rassegnazione e all’oblio. La ricostruzione della vita di Giuseppe Camillo Giordano, e del suo essere scienziato e naturalista, non può discostarsi dal suo essere uomo del Sud. E questo, Gianni Palumbo, ornitologo e naturalista, che nella sua Basilicata ha deciso di tornare dopo aver mosso i primi passi professionali in diverse città del Nord, lo sa bene e altrettanto bene lo mette in evidenza nel caso specifico del suo compaesano. Giuseppe Camillo Giordano nasce a Pomarico, in Basilicata, nel 1841 laddove, quasi 100 anni prima, era nato Nicola Fiorentino al quale era toccata la stessa sorte di quei tanti giovani intellettuali, tra cui ci preme ricordare in questa sede la direttrice e fondatrice del Monitore Napoletano Eleonora de Fonseca Pimentel che, in nome della libertà, dell’uguaglianza e della democrazia, avevano sacrificato la propria vita divenendo martiri per un ideale, nonostante quella libertà e quella breve parentesi, quale fu la Repubblica Napoletana del 1799, fu spazzata via in breve tempo lasciando un segno indelebile fatto di sangue e di ideali che muovevano i passi contro l’oscurantismo autoritario e rozzo del potere. La sua formazione, di uomo e di scienziato, avvenne in un’epoca che vide il meridione, e l’Italia tutta, che si apprestava a diventare unita, in preda ad un grande fermento culturale: una vera e propria rivoluzione che colpisce i più diversi campi del sapere, ma soprattutto un momento molto particolare fu per le scienze che, tra la fine dell’800 e i primi anni del ‘900, iniziava ad attuare grandi passi di apertura alle novità nascenti , nonostante le difficoltà dovute ad un condizione di grande chiusura con la quale gli scienziati si trovavano a doversi scontrare. Tanto più che, trasferitosi a Napoli dove fu vice preside del Regio Istituto G.B. Della Porta, Giordano venne a contatto con illustri nomi legati alla cultura e alle scienze che a Napoli facevano capo, essendo quella città divenuta un punto di riferimento importante della vita meridionale. Rapporti , tuttavia, coltivati con modesto distacco avendo lui, come interesse predominante, l’amorevole dedizione verso lo studio e la possibile attuazione di questo secondo metodi e mezzi efficaci e accorti. È evidente, ma non scontato, che provare a riconquistare la dignità e l’orgoglio di essere uomini del Sud, passa anche attraverso il recupero della memoria di un luogo, della sua storia e di tutti quegli eventi che hanno reso questa storia più o meno influente nel destino di certi uomini. Certo è che, oggi come ieri, essere studiosi meridionali ha, e ha avuto, una valenza specifica che genera, negli animi di chi vive una certa condizione, un processo di radicamento che non può non essere raccontato, nonostante non sia facile da comprendere se non se ne vivono gli impulsi naturali e le medesime emozioni. E Giuseppe Camillo Giordano fu uomo del Sud: lucido estimatore e cultore della sua terra, anche attraverso quel tramite che della terra ne è il frutto, uomo di grande cultura e di grande dedizione allo studio che diventò parte integrante della sua vita. Quello che colpisce, ad una lettura di primo acchito, nonostante la “distanza” da un mondo, quello scientifico – e quello botanico nello specifico - , è la attenta e accurata dedizione con cui la vita professionale e umana di quest’uomo prova ad essere ricostruita nonostante le notizie risultino troncate dagli eventi dell’epoca che, oltre a sfaldare la memoria di un luogo e di una terra, hanno conseguentemente frammentato la memoria di chi ha provato, nonostante le incertezze e le sfiducie di un’epoca segnata dalla scarsità dei mezzi oltre che dal disinteresse verso i nuovi fermenti che muovevano i primi passi, a dare lustro alla sua terra. La sua modestia, che ha fatto si che tutti i suoi studi, portati avanti con “ felicità” e passione, si disperdessero annullando ogni presenza del suo essere uomo e studioso delle scienze, è un elemento caratterizzante che non lascia dubbie certezze circa le caratteristiche delineanti la sua personalità di un certo tipo di uomo del Sud legato alla “sua amatissima madre e (d)al resto della sua famiglia, che egli sognò sempre a sé d’intorno”. Da lì il passo è breve per tracciarne il suo legame con la terra da cui, probabilmente, non riuscì ad allontanarsi e che fece si che la sua figura rimanesse emarginata, come spesso accade a chi di questa terra decide di rimanere figlio, pur sapendo che questo può avere conseguenze di isolamento culturale, professionale e, tanto più, di non ricordo post mortem. C’è molto di chi scrive nel raccogliere e interpretare le poche notizie che danno lo spunto per tracciare la figura di un personaggio occultato e offuscato dal triste destino dell’oblio: e questo non perché vi sia una sorta di traslitterazione di vite, accomunate, in verità, da più di una passione - quella per le scienze, per la natura, per lo studio, per la propria terra, per le escursioni romantiche perseguite ai fini di studio e di passione insieme - ma perché quelle stesse passioni, che hanno sicuramente dato una spinta in più affinché questo interessantissimo, e forse moralmente obbligato, studio fosse iniziato e portato avanti, hanno certamente saputo individuare l’importanza di un uomo e di uno scienziato che non può continuare ad essere lasciato ad una negligente e duratura dimenticanza. Aver riportato alla luce la figura di G.C. Giordano ha restituito ottimi risultati oltre che tutta una serie di belle e impreviste curiosità che esigono di essere approfondite: ritrovare gli erbari del Giordano avrebbe sostenuto e avvalorato, senz’altro, l’essenza della ricerca svolta e della ricostruzione delle notizie storiche oltre che professionali e personali, ma se la vediamo da un altro punto di vista l’aver restituito la giusta riconoscenza a colui che quel tipo di lavoro l’ha svolto, con amore e dedizione, nonostante non vi sia stato alcuno a ricondurne le tracce ai posteri, è certamente ciò che andava fatto in maniera assoluta. Forse tutto questo può servire, ancora, a dare degli scossoni sul concetto di appartenenza ad un luogo e sulla conseguente riconsiderazione di tutto quel patrimonio storico e culturale che caratterizza molti luoghi del nostro Sud ma che , evidentemente, non da tutti viene interpretato come valore. La lettura è scorrevole e gradevole, e spinge alla curiosità e al voler sapere di più dei suoi studi particolari, anche se di questi non se ne ha un interesse di specie: a tratti appassionante, a tratti nozionistico, ma nella giusta misura e con la coerenza che contraddistingue un lavoro biografico. Giuseppe Camillo Giordano ha tutte le carte in regola per avere la connotazione di uno scienziato/botanico romantico, come i suoi viaggi, alla scoperta dei frutti della terra, esaltanti avventure di un viaggiatore romantico che erra nell’inquietudine, alla ricerca di quell’Assoluto contemplato in ogni forma: nell’amore, nella bellezza, nel rispetto per la natura. Un bisogno di andare oltre, alla ricerca di quell’armonia perduta, laddove non esiste corpo senza spirito, uomo senza natura, laddove non esistono limiti all’ordine e alla misura. Quell’oltre che vuol dire ritrovare quel legame stretto con la natura e i suoi cicli e rispettarne la sequenza; quell’oltre che vuol dire provare ad andare contro desiderando una forma di amore che non prevede più distinzione tra anima e corpo, sentimento e sensualità, ma la ricerca di una sintesi di un’unità ampia e assoluta. È un lavoro immenso nelle emozioni, nella contemplazione dei luoghi e della forte appartenenza agli stessi, oltre che nella passione, portata avanti con prudenza e amore, della ricerca di una verità che appartiene ad una (e non evidentemente ad una sola) collettività. Gianni Palumbo ha scelto – riuscendo, a mio avviso, nel suo intento – di creare uno strumento di riflessione e trasformazione di questa verità che conferisce a questo lavoro quel valore morale di cui, in fondo, la scrittura necessita a largo raggio. Il suo ruolo di narratore, interprete, annotatore, ricercatore oltre che attento e scrupoloso osservatore di una figura umana e professionale, diventa pretesto di riconoscenza verso una memoria che necessita di essere riscattata, ma anche di sollecitazione, diretta o indiretta, di un intervento che spetta soprattutto a chi si occupa della “cosa pubblica” oltre che, necessariamente, al singolo cittadino. C’è un tempo in cui tutto quello che fa parte della memoria necessita di una condivisione semplice, per compensare quella assenza di appigli di cui oggi la nostra società si alimenta e rimediare a privazioni che partono dal basso, e che dal basso necessitano di essere recuperate. In questo “oggi”, popolato da non luoghi, falsato dal mito del consumo a tutti i costi, che si fa sempre più anonimo e sterile e dove l’umano ha ceduto il posto al virtuale, il recupero della memoria si fa strumento vitale per provare a far riemergere il desiderio autentico dell’incontro antropico, solidale e altruista, che dia il giusto peso alle cose e agli eventi e che sia, sempre, spunto di condivisione e riflessione. In tal senso Giuseppe Camillo Giordano diventa un tassello fondamentale per la composizione di quel mosaico, dove ogni singolo frammento diventa necessario all’altro per giungere alla totalità del bello. Gianni Palumbo quel frammento lo ha riconquistato e rivitalizzato, contemplandone l’importanza e conferendogli un rinnovato slancio di condivisione che speriamo possa essere compreso attraverso il giusto ruolo che figure come quella di Giordano esigono. Il libro, edito da Adda Editore - nella collana “Naturalia” diretta dal prof. Peter Zeller- sarà disponibile in libreria a Febbraio 2014.
Ritratto di Giuseppe Camillo Giordano. Pubblicata per concessione della Biblioteca dell'Orto Botanico dell'Università di Padova. Copyright 2014. Tutti i diritti sono riservati.
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