Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Introduzione storica su Elea bizantina e medievale

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Nel VI secolo d. C. Elea - Velia, nel Cilento, ancora primeggiava nel Mediterraneo grazie alla sua flotta mercantile che continuava a commerciare con la Gallia e Marsiglia.

Dalla fine del VI-VII secolo d. C. , anche per effetto di fenomeni sismici, sotto la spinta di Goti e Longobardi, la gente di Elea si disperse per il territorio circostante, fondando nuovi borghi e soprattutto torri, castelli e fortezze, guidata in questa operazione dai Bizantini. In questo modo assistiamo alla disseminazione di una popolazione di una grande, illustre e progredita città greca per un territorio che si trasformava di nuovo ed ulteriormente nel tentativo di adattarsi alle nuove e imprevedibili condizioni storiche.

Il potenziale tecnologico e culturale di Elea-Velia non andò dissipato come si potrebbe supporre; alcontrario, l’innata elasticità mentale e organizzativa e la duttilità ambientale delle genti greche ebbe l’opportunità, pur nelle condizioni di estrema difficoltà poste dalle invasioni barbariche, di tradursi in un progetto di rimodellizzazione e rimodulazione del territorio che non ha precedenti nella storia del Mediterraneo medioevale e bizantino.

Già dal VII secolo d. C. l’Impero bizantino, di cui Elea-Velia faceva parte, fu sottoposto al travaglio di un riposizionamento strategico che lo spinse ad introdurre il complesso sistema amministrativo e militare dei temi.

Di fronte all’invasione prima gotica e longobarda e poi saracena in territorio italico, i Bizantini, con la collaborazione della popolazione locale, istituirono il tema di Lucania che inglobava i residui del territorio eleatico-velino e del suo comprensorio cilentano.

Il sistema tematico bizantino, compreso il tema di Lucania, come l’antica Elea, appariva organizzato a paratie stagne, e per lo meno all’interno del tema di Lucania, a scacchiere. Una fitta rete di torri, castelli e fortezze si diramava dal mare alle montagne con sbarramenti che spesso seguivano il percorso dei dirupi montuosi più inaccessibili.

I due poli strategici massicciamente fortificati, che racchiudevano l’immensa impervia ed aspra "fortezza del Cilento"o Lucania tirrenica, erano il Kastron di Agropoli al Nord e il Kastron di Policastro al Sud.

 

Il sistema strategico delle torri, dei castelli e delle fortezze bizantine nel tema della Lucania tirrenica, per quanto interagente e comunicante al proprio interno, era organizzato in modo tale che la caduta di un elemento del sistema non costituisse un ostacolo alla continuità tattica e operativa degli altri superstiti.

In ogni caso, di fronte all’avanzata dei Longobardi e dei Saraceni, i Bizantini, insieme alle popolazioni del territorio velino, resistettero agli assalti saraceni nel Ridotto strategico superfortificato e protetto del Kastron di Agropoli fino al IX secolo d. C. Reperti di architettura militare bizantina presenti e visibili ancora oggi nell’enclave velino-lucana ci informano sui segreti della tecnologia militare greco-bizantina, che non sembra discostarsi molto dalle radici eleatiche.

L’idea e la pratica di un complesso fortificato elastico e duttile dal mare all’interno delle montagne con torri, castelli e fortezze era già riscontrabile nell’Elea greco-antica.

Le varianti velino - bizantine consistettero nella riduzione e concentrazione della potenza muraria: nel sistema medievalebizantino le pieghe della roccia e del terreno, insieme alle abitazioni civili vennero integrate nella rete dell’architettura militare.

Se in altre città della cosiddetta Lucania tirrenica questa trasformazione è oggi meno evidente, ad Amalfi e nel suo entroterra può sembrare di ritrovarsi in un’appendice di Elea tra il greco e il bizantino.

Probabilmente già in epoca greca e romana non pochi Eleati, vuoi per motivi commerciali che per fenomeni sismici, avevano cominciato a lasciare la loro terra d’ origine. Il fenomeno si dovette accentuare con l’ intensificarsi delle invasioni barbariche.

D’ altra parte non dimentichiamo che i Greci di Elea continuavano ad avere rapporti nel Mediterraneo con le antiche sorelle delle città greche: basti pensare a Marsiglia, ma anche a Napoli e a Salerno. A Napoli e a Salerno operavano in pianta stabile imprenditori edili velini, che, in forza della loro grande tradizione e vocazione costruttiva, contribuivano notevolmente alla vita economica e finanziaria delle due città, richiamando e attirando compatrioti dotati in altri settori, come ad esempio quello medico e farmaceutico.

Dopo la caduta dell’ ultimo baluardo bizantino, Agropoli, a difesa del tema della Lucania tirrenica, è probabile che la diaspora eleatico-velina accentuasse la sua direzione di marcia e di emigrazione verso Amalfi, che, infatti, dalla fine del IX secolo dopo Cristo cominciò a raggiungere il suo massimo splendore al riparo dell’ ombrello protettivo della flotta bizantina.

La Lucania tirrenica, il Cilento e l’ enclave eleatico-velina vennero chiuse in una morsa che andava dal porto di Amalfi al tema di Calabria, dal quale soprattutto i Bizantini, continuarono ad attuare ed operare una manovra tattico-strategica a tenaglia, infiltrando le proprie truppe anche attraverso le montagne del confine campano-pugliese-lucano.

Il sistema dell’ architettura militare amalfitana sembrava ricalcare in parte la tipologia costruttiva delle fortificazioni eleatico-bizantine dal mare al vertice delle montagne con torri, castelli e fortezze distribuite sapientemente per creare un arco elastico, duttile e impenetrabile, quasi a scacchiere con punti estremamente strategici mobili a difesa di un territorio compatto che dal mare risaliva alla montagna.

Negli insediamenti dei profughi velini nei territori circostanti del Cilento si notava la stessa fenomenologia costruttiva di Amalfi: abitazioni arroccate ed elevate con difficoltà di accesso molto spesso simili anche negli interni.

È probabile che la stessa Scuola medica salernitana affondasse le sue radici nella diaspora eleatica, iniziata forse già nel periodo greco-romano e incrementatasi in epoca medioevale bizantina.

L’ industria delle erbe officinali e mediche arricchì da allora Salerno, che custodisce i segreti dell’ arte medica eleatica, della sua dieta mediterranea e della sua medicina intesa come cura preventiva e naturale.

Ma neanche i Saraceni nel IX secolo riuscirono a spazzare via le vestigia dell’ antica città greca. I Bizantini, dai non ben definiti confini del tema di Calabria e dal mare, insieme agli Amalfitani e contro il predominio dei Longobardi, erano ancora operanti con la loro flotta militare lungo le coste del Cilento.

E proprio intorno a ciò che rimaneva di Velia incominciò a spuntare una nuova civiltà, quella dei monaci italo-greci, che nella ricerca spasmodica del sacro e delle sue manifestazioni e nello slancio vitale della loro predicazione e della loro marcia trionfale, trovava la sua ragione di esistenza.

Là dove i principi longobardi del Cilento non riuscirono a rilanciare un minimo di dinamica economica e sociale, essi, i monaci, si posero alla testa di un movimento sociale e civile senza precedenti.

Eredi della tradizione greco-bizantina di reattività ed adattabilità alle esigenze delle nuove realtà e delle nuove situazioni, aggregarono, col loro modello di vita, fondato su una esemplarità di vita contemplativa e produttiva, le popolazioni disperse e scoraggiate da anni ed anni di invasioni e di abbandono.

Essi spronarono i contadini ed i montanari del Cilento e della Lucania verso un nuovo e duraturo progetto di espansione agraria, tutelato dal manifesto interesse dei Longobardi e dalla solerte vigilanza degli strateghi bizantini, che nei monaci italo-greci scorgevano il braccio secolare di Bisanzio.

Intorno ad edicole, cappelle, chiese, monasteri ed abbazie si insediarono nuclei numerosi e consistenti di contadini e montanari alla ricerca di un minimo di stabilità e sicurezza. I monaci, insieme ad essi, disboscavano, dissodavano, irrigavano e coltivavano nuove terre. Il paesaggio agrario lentamente si andò trasformando.

Proprio nell’ enclave territoriale di Velia sorsero numerosi santuari che proteggevano l’ intensa attività agricola e pastorale dei monaci italo-greci e dei contadini.

Essi reintrodussero, rivitalizzandola, la coltivazione della vigna e dell’ olivo. Introducono anche il baco da seta, trasformando radicalmente l’ economia del territorio. Capre e pecore fornivano pelli e foraggi in grande quantità, attirando sulle coste eleatiche le mire commerciali degli Amalfitani.

Di nuovo i porti velini ricominciarono a vivere ed a rianimarsi.

Il culto greco-ortodosso sembrò riprendere il sopravvento su quello latino, i monasteri italo-greci divennero delle grandi potenze agrarie, commerciali, finanziarie e culturali. Fu in questi cenobi che si salvarono tanti capolavori dell’ antichità greco- romana e del Medioevo bizantino. Fu in questi monasteri che fino al XVII secolo si poterono trovare ancora tracce di una grecità persistente e dura a morire.

Verosimilmente l’ interesse manifestato dai Bizantini per il Cilento e la Lucania tirrenica si potrebbe spiegare anche con la necessità strategica che essi avevano di salvaguardare le riserve di legname costituite dalle foreste lucane non lontane dal mare e relativamente raggiungibili attraverso le vallatesegnate dai corsi dei fiumi.

L’ esportazione del legno da costruzione sia civile che navale-militare era sottoposta dai Bizantini ad embargo e quindi esso non era né commerciabile né vendibile liberamente, soprattutto a danno della marineria saracena.

È probabile inoltre che le stesse foreste lucane fossero attentamente ed accuratamente sorvegliate dai Bizantini perché esse producevano resine e peci fondamentali nella preparazione e fabbricazione della super-arma strategica bizantina, il fuoco greco di cui ancora oggi non si conoscono fino in fondo i segreti tecnologici e chimici.

Esso, associato ad altre sostanze rimaste ancora in parte misteriose e lanciate da una specie di lanciafiamme, generava una miscela esplosiva e altamente infiammabile simile al napalm. Furono i Normanni, guerrieri venuti dal freddo del Nord, ad interrompere questa nuova ed autonoma avventura del mondo greco-bizantino.

Essi annullarono la potenza dei monasteri italo - bizantini del Sud, ne concentrarono le ricchezze, feudalizzando ed accentrando le energie vitali sprigionate dal mondo rurale italo-bizantino in una morsa mortale.

Il dinamismo economico e sociale dimostrato dal modello monastico italo-bizantino fu soffocato nel sangue. E anche il rito greco-ortodosso, la liturgia e la cultura italo-bizantina vennero lentamente, ma inesorabilmente compresse e represse fino alla loro totale estinzione a favore del ritorno trionfante del rito latino e del processo di nuova latinizzazione.

Ci saranno ancora altri brevi momenti di gloria per questo pezzo dimenticato ed abbandonato di Grecia e Bisanzio, ma non sarà mai più come prima.

Nel VI secolo d. C. Elea-Velia, nel Cilento, ancora primeggiava nel Mediterraneo grazie alla sua

flotta mercantile che continuava a commerciare con la Gallia e Marsiglia.

Dalla fine del VI-VII secolo d. C. , anche per effetto di fenomeni sismici, sotto la spinta di Goti e

Longobardi, la gente di Elea si disperse per il territorio circostante, fondando nuovi borghi e

soprattutto torri, castelli e fortezze, guidata in questa operazione dai Bizantini. In questo modo

assistiamo alla disseminazione di una popolazione di una grande, illustre e progredita città greca per

un territorio che si trasformava di nuovo ed ulteriormente nel tentativo di adattarsi alle nuove e

imprevedibili condizioni storiche.

Il potenziale tecnologico e culturale di Elea-Velia non andò dissipato come si potrebbe supporre; aI

contrario, l’innata elasticità mentale e organizzativa e la duttilità ambientale delle genti greche ebbe

l’opportunità, pur nelle condizioni di estrema difficoltà poste dalle invasioni barbariche, di tradursi

in un progetto di rimodellizzazione e rimodulazione del territorio che non ha precedenti nella storia

del Mediterraneo medioevale e bizantino.

Già dal VII secolo d. C. l’Impero bizantino, di cui Elea-Velia faceva parte, fu sottoposto al travaglio

di un riposizionamento strategico che lo spinse ad introdurre il complesso sistema amministrativo e

militare dei temi.

Di fronte all’invasione prima gotica e longobarda e poi saracena in territorio italico, i Bizantini, con

la collaborazione della popolazione locale, istituirono il tema di Lucania che inglobava i residui del

territorio eleatico-velino e del suo comprensorio cilentano.

Il sistema tematico bizantino, compreso il tema di Lucania, come l’antica Elea, appariva organizzato

a paratie stagne, e per lo meno all’interno del tema di Lucania, a scacchiere. Una fitta rete di torri,

castelli e fortezze si diramava dal mare alle montagne con sbarramenti che spesso seguivano il

percorso dei dirupi montuosi più inaccessibili. I due poli strategici massicciamente fortificati, che

racchiudevano l’immensa impervia ed aspra "fortezza del Cilento"o Lucania tirrenica, erano il

Kastron di Agropoli al Nord e il Kastron di Policastro al Sud. Il sistema strategico delle torri, dei

castelli e delle fortezze bizantine nel tema della Lucania tirrenica, per quanto interagente e

comunicante al proprio interno, era organizzato in modo tale che la caduta di un elemento del

sistema non costituisse un ostacolo alla continuità tattica e operativa degli altri superstiti.

In ogni caso, di fronte all’avanzata dei Longobardi e dei Saraceni, i Bizantini, insieme alle

popolazioni del territorio velino, resistettero agli assalti saraceni nel Ridotto strategico

superfortificato e protetto del Kastron di Agropoli fino al IX secolo d. C. Reperti di architettura

militare bizantina presenti e visibili ancora oggi nell’enclave velino-lucana ci informano sui segreti

della tecnologia militare greco-bizantina, che non sembra discostarsi molto dalle radici eleatiche.

L’idea e la pratica di un complesso fortificato elastico e duttile dal mare all’interno delle montagne

con torri, castelli e fortezze era già riscontrabile nell’Elea greco-antica. Le varianti velino - bizantine

consistettero nella riduzione e concentrazione della potenza muraria: nel sistema medievalebizantino

le pieghe della roccia e del terreno, insieme alle abitazioni civili vennero integrate nella

rete dell’architettura militare. Se in altre città della cosiddetta Lucania tirrenica questa

trasformazione è oggi meno evidente, ad Amalfi e nel suo entroterra può sembrare di ritrovarsi in

un’appendice di Elea tra il greco e il bizantino.

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

Probabilmente già in epoca greca e romana non pochi Eleati, vuoi per motivi commerciali che per

fenomeni sismici, avevano cominciato a lasciare la loro terra d’ origine. Il fenomeno si dovette

accentuare con l’ intensificarsi delle invasioni barbariche. D’ altra parte non dimentichiamo che i

Greci di Elea continuavano ad avere rapporti nel Mediterraneo con le antiche sorelle delle città

greche: basti pensare a Marsiglia, ma anche a Napoli e a Salerno. A Napoli e a Salerno operavano in

pianta stabile imprenditori edili velini, che, in forza della loro grande tradizione e vocazione

costruttiva, contribuivano notevolmente alla vita economica e finanziaria delle due città,

richiamando e attirando compatrioti dotati in altri settori, come ad esempio quello medico e

farmaceutico.

Dopo la caduta dell’ ultimo baluardo bizantino, Agropoli, a difesa del tema della Lucania tirrenica, è

probabile che la diaspora eleatico-velina accentuasse la sua direzione di marcia e di emigrazione

verso Amalfi, che, infatti, dalla fine del IX secolo dopo Cristo cominciò a raggiungere il suo

massimo splendore al riparo dell’ ombrello protettivo della flotta bizantina. La Lucania tirrenica, il

Cilento e l’ enclave eleatico-velina vennero chiuse in una morsa che andava dal porto di Amalfi al

tema di Calabria, dal quale soprattutto i Bizantini, continuarono ad attuare ed operare una manovra

tattico-strategica a tenaglia, infiltrando le proprie truppe anche attraverso le montagne del confine

campano-pugliese-lucano.

Il sistema dell’ architettura militare amalfitana sembrava ricalcare in parte la tipologia costruttiva

delle fortificazioni eleatico-bizantine dal mare al vertice delle montagne con torri, castelli e fortezze

distribuite sapientemente per creare un arco elastico, duttile e impenetrabile, quasi a scacchiere con

punti estremamente strategici mobili a difesa di un territorio compatto che dal mare risaliva alla

montagna.

Negli insediamenti dei profughi velini nei territori circostanti del Cilento si notava la stessa

fenomenologia costruttiva di Amalfi: abitazioni arroccate ed elevate con difficoltà di accesso molto

spesso simili anche negli interni.

È probabile che la stessa Scuola medica salernitana affondasse le sue radici nella diaspora eleatica,

iniziata forse già nel periodo greco-romano e incrementatasi in epoca medioevale bizantina.

L’ industria delle erbe officinali e mediche arricchì da allora Salerno, che custodisce i segreti

dell’ arte medica eleatica, della sua dieta mediterranea e della sua medicina intesa come cura

preventiva e naturale.

Ma neanche i Saraceni nel IX secolo riuscirono a spazzare via le vestigia dell’ antica città greca. I

Bizantini, dai non ben definiti confini del tema di Calabria e dal mare, insieme agli Amalfitani e

contro il predominio dei Longobardi, erano ancora operanti con la loro flotta militare lungo le coste

del Cilento. E proprio intorno a ciò che rimaneva di Velia incominciò a spuntare una nuova civiltà,

quella dei monaci italo-greci, che nella ricerca spasmodica del sacro e delle sue manifestazioni e

nello slancio vitale della loro predicazione e della loro marcia trionfale, trovava la sua ragione di

esistenza.

Là dove i principi longobardi del Cilento non riuscirono a rilanciare un minimo di dinamica

economica e sociale, essi, i monaci, si posero alla testa di un movimento sociale e civile senza

precedenti. Eredi della tradizione greco-bizantina di reattività ed adattabilità alle esigenze delle

nuove realtà e delle nuove situazioni, aggregarono, col loro modello di vita, fondato su una

esemplarità di vita contemplativa e produttiva, le popolazioni disperse e scoraggiate da anni ed anni

di invasioni e di abbandono. Essi spronarono i contadini ed i montanari del Cilento e della Lucania

verso un nuovo e duraturo progetto di espansione agraria, tutelato dal manifesto interesse dei

Longobardi e dalla solerte vigilanza degli strateghi bizantini, che nei monaci italo-greci scorgevano

il braccio secolare di Bisanzio.

Intorno ad edicole, cappelle, chiese, monasteri ed abbazie si insediarono nuclei numerosi e

consistenti di contadini e montanari alla ricerca di un minimo di stabilità e sicurezza. I monaci,

insieme ad essi, disboscavano, dissodavano, irrigavano e coltivavano nuove terre. Il paesaggio

agrario lentamente si andò trasformando. Proprio nell’ enclave territoriale di Velia sorsero numerosi

santuari che proteggevano l’ intensa attività agricola e pastorale dei monaci italo-greci e dei

contadini. Essi reintrodussero, rivitalizzandola, la coltivazione della vigna e dell’ olivo. Introducono

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

anche il baco da seta, trasformando radicalmente l’ economia del territorio. Capre e pecore fornivano

pelli e foraggi in grande quantità, attirando sulle coste eleatiche le mire commerciali degli

Amalfitani. Di nuovo i porti velini ricominciarono a vivere ed a rianimarsi.

Il culto greco-ortodosso sembrò riprendere il sopravvento su quello latino, i monasteri italo-greci

divennero delle grandi potenze agrarie, commerciali, finanziarie e culturali. Fu in questi cenobi che

si salvarono tanti capolavori dell’ antichità greco- romana e del Medioevo bizantino. Fu in questi

monasteri che fino al XVII secolo si poterono trovare ancora tracce di una grecità persistente e dura

a morire.

Verosimilmente l’ interesse manifestato dai Bizantini per il Cilento e la Lucania tirrenica si potrebbe

spiegare anche con la necessità strategica che essi avevano di salvaguardare le riserve di legname

costituite dalle foreste lucane non lontane dal mare e relativamente raggiungibili attraverso le vallate

segnate dai corsi dei fiumi. L’ esportazione del legno da costruzione sia civile che navale-militare

era sottoposta dai Bizantini ad embargo e quindi esso non era né commerciabile né vendibile

liberamente, soprattutto a danno della marineria saracena. È probabile inoltre che le stesse foreste

lucane fossero attentamente ed accuratamente sorvegliate dai Bizantini perché esse producevano

resine e peci fondamentali nella preparazione e fabbricazione della super-arma strategica bizantina,

il fuoco greco di cui ancora oggi non si conoscono fino in fondo i segreti tecnologici e chimici.

Esso, associato ad altre sostanze rimaste ancora in parte misteriose e lanciate da una specie di

lanciafiamme, generava una miscela esplosiva e altamente infiammabile simile al napalm.

Furono i Normanni, guerrieri venuti dal freddo del Nord, ad interrompere questa nuova ed

autonoma avventura del mondo greco-bizantino. Essi annullarono la potenza dei monasteri italobizantini

del Sud, ne concentrarono le ricchezze, feudalizzando ed accentrando le energie vitali

sprigionate dal mondo rurale italo-bizantino in una morsa mortale. Il dinamismo economico e

sociale dimostrato dal modello monastico italo-bizantino fu soffocato nel sangue. E anche il rito

greco-ortodosso, la liturgia e la cultura italo-bizantina vennero lentamente, ma inesorabilmente

compresse e represse fino alla loro totale estinzione a favore del ritorno trionfante del rito latino e

del processo di nuova latinizzazione. Ci saranno ancora altri brevi momenti di gloria per questo

pezzo dimenticato ed abbandonato di Grecia e Bisanzio, ma non sarà mai più come prima.

Nel VI secolo d. C. Elea-Velia, nel Cilento, ancora primeggiava nel Mediterraneo grazie alla sua

flotta mercantile che continuava a commerciare con la Gallia e Marsiglia.

 

Dalla fine del VI-VII secolo d. C. , anche per effetto di fenomeni sismici, sotto la spinta di Goti e

Longobardi, la gente di Elea si disperse per il territorio circostante, fondando nuovi borghi e

soprattutto torri, castelli e fortezze, guidata in questa operazione dai Bizantini. In questo modo

assistiamo alla disseminazione di una popolazione di una grande, illustre e progredita città greca per

un territorio che si trasformava di nuovo ed ulteriormente nel tentativo di adattarsi alle nuove e

imprevedibili condizioni storiche.

Il potenziale tecnologico e culturale di Elea-Velia non andò dissipato come si potrebbe supporre; aI

contrario, l’innata elasticità mentale e organizzativa e la duttilità ambientale delle genti greche ebbe

l’opportunità, pur nelle condizioni di estrema difficoltà poste dalle invasioni barbariche, di tradursi

in un progetto di rimodellizzazione e rimodulazione del territorio che non ha precedenti nella storia

del Mediterraneo medioevale e bizantino.

Già dal VII secolo d. C. l’Impero bizantino, di cui Elea-Velia faceva parte, fu sottoposto al travaglio

di un riposizionamento strategico che lo spinse ad introdurre il complesso sistema amministrativo e

militare dei temi.

Di fronte all’invasione prima gotica e longobarda e poi saracena in territorio italico, i Bizantini, con

la collaborazione della popolazione locale, istituirono il tema di Lucania che inglobava i residui del

territorio eleatico-velino e del suo comprensorio cilentano.

Il sistema tematico bizantino, compreso il tema di Lucania, come l’antica Elea, appariva organizzato

a paratie stagne, e per lo meno all’interno del tema di Lucania, a scacchiere. Una fitta rete di torri,

castelli e fortezze si diramava dal mare alle montagne con sbarramenti che spesso seguivano il

percorso dei dirupi montuosi più inaccessibili. I due poli strategici massicciamente fortificati, che

racchiudevano l’immensa impervia ed aspra "fortezza del Cilento"o Lucania tirrenica, erano il

Kastron di Agropoli al Nord e il Kastron di Policastro al Sud. Il sistema strategico delle torri, dei

castelli e delle fortezze bizantine nel tema della Lucania tirrenica, per quanto interagente e

comunicante al proprio interno, era organizzato in modo tale che la caduta di un elemento del

sistema non costituisse un ostacolo alla continuità tattica e operativa degli altri superstiti.

In ogni caso, di fronte all’avanzata dei Longobardi e dei Saraceni, i Bizantini, insieme alle

popolazioni del territorio velino, resistettero agli assalti saraceni nel Ridotto strategico

superfortificato e protetto del Kastron di Agropoli fino al IX secolo d. C. Reperti di architettura

militare bizantina presenti e visibili ancora oggi nell’enclave velino-lucana ci informano sui segreti

della tecnologia militare greco-bizantina, che non sembra discostarsi molto dalle radici eleatiche.

L’idea e la pratica di un complesso fortificato elastico e duttile dal mare all’interno delle montagne

con torri, castelli e fortezze era già riscontrabile nell’Elea greco-antica. Le varianti velino - bizantine

consistettero nella riduzione e concentrazione della potenza muraria: nel sistema medievalebizantino

le pieghe della roccia e del terreno, insieme alle abitazioni civili vennero integrate nella

rete dell’architettura militare. Se in altre città della cosiddetta Lucania tirrenica questa

trasformazione è oggi meno evidente, ad Amalfi e nel suo entroterra può sembrare di ritrovarsi in

un’appendice di Elea tra il greco e il bizantino.

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

Probabilmente già in epoca greca e romana non pochi Eleati, vuoi per motivi commerciali che per

fenomeni sismici, avevano cominciato a lasciare la loro terra d’ origine. Il fenomeno si dovette

accentuare con l’ intensificarsi delle invasioni barbariche. D’ altra parte non dimentichiamo che i

Greci di Elea continuavano ad avere rapporti nel Mediterraneo con le antiche sorelle delle città

greche: basti pensare a Marsiglia, ma anche a Napoli e a Salerno. A Napoli e a Salerno operavano in

pianta stabile imprenditori edili velini, che, in forza della loro grande tradizione e vocazione

costruttiva, contribuivano notevolmente alla vita economica e finanziaria delle due città,

richiamando e attirando compatrioti dotati in altri settori, come ad esempio quello medico e

farmaceutico.

Dopo la caduta dell’ ultimo baluardo bizantino, Agropoli, a difesa del tema della Lucania tirrenica, è

probabile che la diaspora eleatico-velina accentuasse la sua direzione di marcia e di emigrazione

verso Amalfi, che, infatti, dalla fine del IX secolo dopo Cristo cominciò a raggiungere il suo

massimo splendore al riparo dell’ ombrello protettivo della flotta bizantina. La Lucania tirrenica, il

Cilento e l’ enclave eleatico-velina vennero chiuse in una morsa che andava dal porto di Amalfi al

tema di Calabria, dal quale soprattutto i Bizantini, continuarono ad attuare ed operare una manovra

tattico-strategica a tenaglia, infiltrando le proprie truppe anche attraverso le montagne del confine

campano-pugliese-lucano.

Il sistema dell’ architettura militare amalfitana sembrava ricalcare in parte la tipologia costruttiva

delle fortificazioni eleatico-bizantine dal mare al vertice delle montagne con torri, castelli e fortezze

distribuite sapientemente per creare un arco elastico, duttile e impenetrabile, quasi a scacchiere con

punti estremamente strategici mobili a difesa di un territorio compatto che dal mare risaliva alla

montagna.

Negli insediamenti dei profughi velini nei territori circostanti del Cilento si notava la stessa

fenomenologia costruttiva di Amalfi: abitazioni arroccate ed elevate con difficoltà di accesso molto

spesso simili anche negli interni.

È probabile che la stessa Scuola medica salernitana affondasse le sue radici nella diaspora eleatica,

iniziata forse già nel periodo greco-romano e incrementatasi in epoca medioevale bizantina.

L’ industria delle erbe officinali e mediche arricchì da allora Salerno, che custodisce i segreti

dell’ arte medica eleatica, della sua dieta mediterranea e della sua medicina intesa come cura

preventiva e naturale.

Ma neanche i Saraceni nel IX secolo riuscirono a spazzare via le vestigia dell’ antica città greca. I

Bizantini, dai non ben definiti confini del tema di Calabria e dal mare, insieme agli Amalfitani e

contro il predominio dei Longobardi, erano ancora operanti con la loro flotta militare lungo le coste

del Cilento. E proprio intorno a ciò che rimaneva di Velia incominciò a spuntare una nuova civiltà,

quella dei monaci italo-greci, che nella ricerca spasmodica del sacro e delle sue manifestazioni e

nello slancio vitale della loro predicazione e della loro marcia trionfale, trovava la sua ragione di

esistenza.

Là dove i principi longobardi del Cilento non riuscirono a rilanciare un minimo di dinamica

economica e sociale, essi, i monaci, si posero alla testa di un movimento sociale e civile senza

precedenti. Eredi della tradizione greco-bizantina di reattività ed adattabilità alle esigenze delle

nuove realtà e delle nuove situazioni, aggregarono, col loro modello di vita, fondato su una

esemplarità di vita contemplativa e produttiva, le popolazioni disperse e scoraggiate da anni ed anni

di invasioni e di abbandono. Essi spronarono i contadini ed i montanari del Cilento e della Lucania

verso un nuovo e duraturo progetto di espansione agraria, tutelato dal manifesto interesse dei

Longobardi e dalla solerte vigilanza degli strateghi bizantini, che nei monaci italo-greci scorgevano

il braccio secolare di Bisanzio.

Intorno ad edicole, cappelle, chiese, monasteri ed abbazie si insediarono nuclei numerosi e

consistenti di contadini e montanari alla ricerca di un minimo di stabilità e sicurezza. I monaci,

insieme ad essi, disboscavano, dissodavano, irrigavano e coltivavano nuove terre. Il paesaggio

agrario lentamente si andò trasformando. Proprio nell’ enclave territoriale di Velia sorsero numerosi

santuari che proteggevano l’ intensa attività agricola e pastorale dei monaci italo-greci e dei

contadini. Essi reintrodussero, rivitalizzandola, la coltivazione della vigna e dell’ olivo. Introducono

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

anche il baco da seta, trasformando radicalmente l’ economia del territorio. Capre e pecore fornivano

pelli e foraggi in grande quantità, attirando sulle coste eleatiche le mire commerciali degli

Amalfitani. Di nuovo i porti velini ricominciarono a vivere ed a rianimarsi.

Il culto greco-ortodosso sembrò riprendere il sopravvento su quello latino, i monasteri italo-greci

divennero delle grandi potenze agrarie, commerciali, finanziarie e culturali. Fu in questi cenobi che

si salvarono tanti capolavori dell’ antichità greco- romana e del Medioevo bizantino. Fu in questi

monasteri che fino al XVII secolo si poterono trovare ancora tracce di una grecità persistente e dura

a morire.

Verosimilmente l’ interesse manifestato dai Bizantini per il Cilento e la Lucania tirrenica si potrebbe

spiegare anche con la necessità strategica che essi avevano di salvaguardare le riserve di legname

costituite dalle foreste lucane non lontane dal mare e relativamente raggiungibili attraverso le vallate

segnate dai corsi dei fiumi. L’ esportazione del legno da costruzione sia civile che navale-militare

era sottoposta dai Bizantini ad embargo e quindi esso non era né commerciabile né vendibile

liberamente, soprattutto a danno della marineria saracena. È probabile inoltre che le stesse foreste

lucane fossero attentamente ed accuratamente sorvegliate dai Bizantini perché esse producevano

resine e peci fondamentali nella preparazione e fabbricazione della super-arma strategica bizantina,

il fuoco greco di cui ancora oggi non si conoscono fino in fondo i segreti tecnologici e chimici.

Esso, associato ad altre sostanze rimaste ancora in parte misteriose e lanciate da una specie di

lanciafiamme, generava una miscela esplosiva e altamente infiammabile simile al napalm.

Furono i Normanni, guerrieri venuti dal freddo del Nord, ad interrompere questa nuova ed

autonoma avventura del mondo greco-bizantino. Essi annullarono la potenza dei monasteri italobizantini

del Sud, ne concentrarono le ricchezze, feudalizzando ed accentrando le energie vitali

sprigionate dal mondo rurale italo-bizantino in una morsa mortale. Il dinamismo economico e

sociale dimostrato dal modello monastico italo-bizantino fu soffocato nel sangue. E anche il rito

greco-ortodosso, la liturgia e la cultura italo-bizantina vennero lentamente, ma inesorabilmente

compresse e represse fino alla loro totale estinzione a favore del ritorno trionfante del rito latino e

del processo di nuova latinizzazione. Ci saranno ancora altri brevi momenti di gloria per questo

pezzo dimenticato ed abbandonato di Grecia e Bisanzio, ma non sarà mai più come prima.

Nel VI secolo d. C. Elea-Velia, nel Cilento, ancora primeggiava nel Mediterraneo grazie alla sua

flotta mercantile che continuava a commerciare con la Gallia e Marsiglia.

 

Dalla fine del VI-VII secolo d. C. , anche per effetto di fenomeni sismici, sotto la spinta di Goti e

Longobardi, la gente di Elea si disperse per il territorio circostante, fondando nuovi borghi e

soprattutto torri, castelli e fortezze, guidata in questa operazione dai Bizantini. In questo modo

assistiamo alla disseminazione di una popolazione di una grande, illustre e progredita città greca per

un territorio che si trasformava di nuovo ed ulteriormente nel tentativo di adattarsi alle nuove e

imprevedibili condizioni storiche.

Il potenziale tecnologico e culturale di Elea-Velia non andò dissipato come si potrebbe supporre; aI

contrario, l’innata elasticità mentale e organizzativa e la duttilità ambientale delle genti greche ebbe

l’opportunità, pur nelle condizioni di estrema difficoltà poste dalle invasioni barbariche, di tradursi

in un progetto di rimodellizzazione e rimodulazione del territorio che non ha precedenti nella storia

del Mediterraneo medioevale e bizantino.

Già dal VII secolo d. C. l’Impero bizantino, di cui Elea-Velia faceva parte, fu sottoposto al travaglio

di un riposizionamento strategico che lo spinse ad introdurre il complesso sistema amministrativo e

militare dei temi.

Di fronte all’invasione prima gotica e longobarda e poi saracena in territorio italico, i Bizantini, con

la collaborazione della popolazione locale, istituirono il tema di Lucania che inglobava i residui del

territorio eleatico-velino e del suo comprensorio cilentano.

Il sistema tematico bizantino, compreso il tema di Lucania, come l’antica Elea, appariva organizzato

a paratie stagne, e per lo meno all’interno del tema di Lucania, a scacchiere. Una fitta rete di torri,

castelli e fortezze si diramava dal mare alle montagne con sbarramenti che spesso seguivano il

percorso dei dirupi montuosi più inaccessibili. I due poli strategici massicciamente fortificati, che

racchiudevano l’immensa impervia ed aspra "fortezza del Cilento"o Lucania tirrenica, erano il

Kastron di Agropoli al Nord e il Kastron di Policastro al Sud. Il sistema strategico delle torri, dei

castelli e delle fortezze bizantine nel tema della Lucania tirrenica, per quanto interagente e

comunicante al proprio interno, era organizzato in modo tale che la caduta di un elemento del

sistema non costituisse un ostacolo alla continuità tattica e operativa degli altri superstiti.

In ogni caso, di fronte all’avanzata dei Longobardi e dei Saraceni, i Bizantini, insieme alle

popolazioni del territorio velino, resistettero agli assalti saraceni nel Ridotto strategico

superfortificato e protetto del Kastron di Agropoli fino al IX secolo d. C. Reperti di architettura

militare bizantina presenti e visibili ancora oggi nell’enclave velino-lucana ci informano sui segreti

della tecnologia militare greco-bizantina, che non sembra discostarsi molto dalle radici eleatiche.

L’idea e la pratica di un complesso fortificato elastico e duttile dal mare all’interno delle montagne

con torri, castelli e fortezze era già riscontrabile nell’Elea greco-antica. Le varianti velino - bizantine

consistettero nella riduzione e concentrazione della potenza muraria: nel sistema medievalebizantino

le pieghe della roccia e del terreno, insieme alle abitazioni civili vennero integrate nella

rete dell’architettura militare. Se in altre città della cosiddetta Lucania tirrenica questa

trasformazione è oggi meno evidente, ad Amalfi e nel suo entroterra può sembrare di ritrovarsi in

un’appendice di Elea tra il greco e il bizantino.

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

Probabilmente già in epoca greca e romana non pochi Eleati, vuoi per motivi commerciali che per

fenomeni sismici, avevano cominciato a lasciare la loro terra d’ origine. Il fenomeno si dovette

accentuare con l’ intensificarsi delle invasioni barbariche. D’ altra parte non dimentichiamo che i

Greci di Elea continuavano ad avere rapporti nel Mediterraneo con le antiche sorelle delle città

greche: basti pensare a Marsiglia, ma anche a Napoli e a Salerno. A Napoli e a Salerno operavano in

pianta stabile imprenditori edili velini, che, in forza della loro grande tradizione e vocazione

costruttiva, contribuivano notevolmente alla vita economica e finanziaria delle due città,

richiamando e attirando compatrioti dotati in altri settori, come ad esempio quello medico e

farmaceutico.

Dopo la caduta dell’ ultimo baluardo bizantino, Agropoli, a difesa del tema della Lucania tirrenica, è

probabile che la diaspora eleatico-velina accentuasse la sua direzione di marcia e di emigrazione

verso Amalfi, che, infatti, dalla fine del IX secolo dopo Cristo cominciò a raggiungere il suo

massimo splendore al riparo dell’ ombrello protettivo della flotta bizantina. La Lucania tirrenica, il

Cilento e l’ enclave eleatico-velina vennero chiuse in una morsa che andava dal porto di Amalfi al

tema di Calabria, dal quale soprattutto i Bizantini, continuarono ad attuare ed operare una manovra

tattico-strategica a tenaglia, infiltrando le proprie truppe anche attraverso le montagne del confine

campano-pugliese-lucano.

Il sistema dell’ architettura militare amalfitana sembrava ricalcare in parte la tipologia costruttiva

delle fortificazioni eleatico-bizantine dal mare al vertice delle montagne con torri, castelli e fortezze

distribuite sapientemente per creare un arco elastico, duttile e impenetrabile, quasi a scacchiere con

punti estremamente strategici mobili a difesa di un territorio compatto che dal mare risaliva alla

montagna.

Negli insediamenti dei profughi velini nei territori circostanti del Cilento si notava la stessa

fenomenologia costruttiva di Amalfi: abitazioni arroccate ed elevate con difficoltà di accesso molto

spesso simili anche negli interni.

È probabile che la stessa Scuola medica salernitana affondasse le sue radici nella diaspora eleatica,

iniziata forse già nel periodo greco-romano e incrementatasi in epoca medioevale bizantina.

L’ industria delle erbe officinali e mediche arricchì da allora Salerno, che custodisce i segreti

dell’ arte medica eleatica, della sua dieta mediterranea e della sua medicina intesa come cura

preventiva e naturale.

Ma neanche i Saraceni nel IX secolo riuscirono a spazzare via le vestigia dell’ antica città greca. I

Bizantini, dai non ben definiti confini del tema di Calabria e dal mare, insieme agli Amalfitani e

contro il predominio dei Longobardi, erano ancora operanti con la loro flotta militare lungo le coste

del Cilento. E proprio intorno a ciò che rimaneva di Velia incominciò a spuntare una nuova civiltà,

quella dei monaci italo-greci, che nella ricerca spasmodica del sacro e delle sue manifestazioni e

nello slancio vitale della loro predicazione e della loro marcia trionfale, trovava la sua ragione di

esistenza.

Là dove i principi longobardi del Cilento non riuscirono a rilanciare un minimo di dinamica

economica e sociale, essi, i monaci, si posero alla testa di un movimento sociale e civile senza

precedenti. Eredi della tradizione greco-bizantina di reattività ed adattabilità alle esigenze delle

nuove realtà e delle nuove situazioni, aggregarono, col loro modello di vita, fondato su una

esemplarità di vita contemplativa e produttiva, le popolazioni disperse e scoraggiate da anni ed anni

di invasioni e di abbandono. Essi spronarono i contadini ed i montanari del Cilento e della Lucania

verso un nuovo e duraturo progetto di espansione agraria, tutelato dal manifesto interesse dei

Longobardi e dalla solerte vigilanza degli strateghi bizantini, che nei monaci italo-greci scorgevano

il braccio secolare di Bisanzio.

Intorno ad edicole, cappelle, chiese, monasteri ed abbazie si insediarono nuclei numerosi e

consistenti di contadini e montanari alla ricerca di un minimo di stabilità e sicurezza. I monaci,

insieme ad essi, disboscavano, dissodavano, irrigavano e coltivavano nuove terre. Il paesaggio

agrario lentamente si andò trasformando. Proprio nell’ enclave territoriale di Velia sorsero numerosi

santuari che proteggevano l’ intensa attività agricola e pastorale dei monaci italo-greci e dei

contadini. Essi reintrodussero, rivitalizzandola, la coltivazione della vigna e dell’ olivo. Introducono

‹http://www.storiadelmondo.com/rso/3/tedesco.elea.pdf› in Rassegna Storica online, n. 3 NS (VI), 2004

(suppl. a Storiadelmondo, n. 31, 20 dicembre 2004)

anche il baco da seta, trasformando radicalmente l’ economia del territorio. Capre e pecore fornivano

pelli e foraggi in grande quantità, attirando sulle coste eleatiche le mire commerciali degli

Amalfitani. Di nuovo i porti velini ricominciarono a vivere ed a rianimarsi.

Il culto greco-ortodosso sembrò riprendere il sopravvento su quello latino, i monasteri italo-greci

divennero delle grandi potenze agrarie, commerciali, finanziarie e culturali. Fu in questi cenobi che

si salvarono tanti capolavori dell’ antichità greco- romana e del Medioevo bizantino. Fu in questi

monasteri che fino al XVII secolo si poterono trovare ancora tracce di una grecità persistente e dura

a morire.

Verosimilmente l’ interesse manifestato dai Bizantini per il Cilento e la Lucania tirrenica si potrebbe

spiegare anche con la necessità strategica che essi avevano di salvaguardare le riserve di legname

costituite dalle foreste lucane non lontane dal mare e relativamente raggiungibili attraverso le vallate

segnate dai corsi dei fiumi. L’ esportazione del legno da costruzione sia civile che navale-militare

era sottoposta dai Bizantini ad embargo e quindi esso non era né commerciabile né vendibile

liberamente, soprattutto a danno della marineria saracena. È probabile inoltre che le stesse foreste

lucane fossero attentamente ed accuratamente sorvegliate dai Bizantini perché esse producevano

resine e peci fondamentali nella preparazione e fabbricazione della super-arma strategica bizantina,

il fuoco greco di cui ancora oggi non si conoscono fino in fondo i segreti tecnologici e chimici.

Esso, associato ad altre sostanze rimaste ancora in parte misteriose e lanciate da una specie di

lanciafiamme, generava una miscela esplosiva e altamente infiammabile simile al napalm.

Furono i Normanni, guerrieri venuti dal freddo del Nord, ad interrompere questa nuova ed

autonoma avventura del mondo greco-bizantino. Essi annullarono la potenza dei monasteri italobizantini

del Sud, ne concentrarono le ricchezze, feudalizzando ed accentrando le energie vitali

sprigionate dal mondo rurale italo-bizantino in una morsa mortale. Il dinamismo economico e

sociale dimostrato dal modello monastico italo-bizantino fu soffocato nel sangue. E anche il rito

greco-ortodosso, la liturgia e la cultura italo-bizantina vennero lentamente, ma inesorabilmente

compresse e represse fino alla loro totale estinzione a favore del ritorno trionfante del rito latino e

del processo di nuova latinizzazione. Ci saranno ancora altri brevi momenti di gloria per questo

pezzo dimenticato ed abbandonato di Grecia e Bisanzio, ma non sarà mai più come prima.

 

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