Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Eleonora Pimentel che sta dentro ognuno di noi

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Il 23 gennaio è ricorso il 214° anniversario della Proclamazione della Repubblica Napoletana, e noi del Nuovo Monitore Napoletano, lo abbiamo festeggiato al caffè-letterario Portico 340, sotto i trecenteschi portici d’Angiò in via dei Tribunali.

Come si sono svolti i fatti del ‘799 e soprattutto la fine della Storia, “tutti lo sanno”.

Ecco, soffermiamoci su questo ultimo punto: “tutti lo sanno”. “Tutti lo sanno” almeno dal 1986, quando viene pubblicato “Il resto di niente” di Enzo Striano, il primo ed unico romanzo storico sulla vicenda della nostra Rivoluzione Napoletana.

Con un pò di fatica, il romanzo si afferma nel tempo come un cult a Napoli soprattutto e in Italia, tanto che oggi è -a buon diritto- entrato nella cultura corrente e a mio modesto parere -visto che di questo mi occupo- nella  coscienza e nell’immaginario collettivo partenopeo.

Il romanzo esprime il giudizio più o meno conscio dell’autore: come Eleonora  sul patibolo si domanda dubitativamente in Latino,  "Forsan haec olim meminisse  juvabit" (Forse un giorno gioverà ricordare queste cose), sancendo nella lingua  utilizzata la sua distanza da quel popolo  che desiderava “salvare”, così  Striano chiude il libro con Mastro Donato, il boia che: “Prima di dare un  calcio la guarda, con occhio serio, un pò aggrondato”.

“Insomma, servirà davvero a qualcosa tutto questo, forse poi?” si domanda  Eleonora, forse dopo aver preso il caffè -così dice la tradizione-  un momento  prima di mettere il collo nel cappio.

E Striano si risponde nel titolo: “Il resto di niente”, che per tutto il  romanzo ritorna come motivetto sottile, culturale, lapidale. Gattopardo docet.

 

Dunque, poniamoci nell’ottica di una finzione storica, anzi meglio, di una  partitura teatrale -come da buona tradizione partenopea.

Dimentichiamo, semmai a qualcuno è mai venuto alla ragione cosciente, che  parlando del 1799 parliamo di una guerra civile nostrana, in cui fattori  alloctoni giocarono un ruolo preponderante; dunque, dimentichiamoci per un  attimo di esprimere un giudizio sul torto e sulla ragione di questa o di quella  fazione. Se, forse, è possibile.

Scordiamoci di interpretare con Raffaele La Capria che a Napoli; “c’è sempre un Novantanove in atto: quel tentativo di rivoluzione si è rivelato un archetipo della nostra città.C’è sempre la stessa plebe vincente, la stessa  borghesia perdente, sempre un re o un potente che si allea con la piazza e la  blandisce per rafforzare il proprio potere, sempre alla fine la sconfitta della  ragione.E c’è sempre un cardinale Ruffo di turno, che avanza tra il plauso  della folla a passi forzati...” ( “L’occhio di Napoli” 1994).

Poniamoci nella riflessione pura, dubitativa -forse- come le parole di  Eleonora.

In Italia non si parla mai di guerre civili, nemmeno sotto la dittatura di  Mussolini; al massimo si parla di Partigiani contro Fascisti. E noi a Napoli  abbiamo fatto le Quattro Giornate e anche di quelle “tutti lo sanno” - forse.

Rinuncio a discutere -sono in riflessione, ego in forse- se siano buone o  cattive, utili o meno queste Giornate.

Parliamo allora di Masaniello - il capopolo ambiguo; o forse l’aggettivo  ambiguo è già un giudizio?

Anche in questo caso “tutti lo sanno” come è andata a finire la storia. Forse.

E va bene, anche se rinunciassi a esprimere un giudizio di merito su questi   fatti -se sono andati più o meno a buon fine, se hanno avuto senso nei loro  angusti contesti storici, se i protagonisti sono veramente così o cosa, se  forse hanno detto quello che hanno detto- come la spieghiamo la tensione ancora  esistente ogni volta che parliamo di questi fatti?

Se, al posto di prendere questa o quella posizione, questo o quel personaggio,  questo o quel documento, ci ponessimo nell’ottica dubitativa di Eleonora:  persino lei che quei fatti li ha vissuti, ha avuto una esitazione storica -   quel “forse” prima del “gioverà” è illuminante- forse, anche noi avremmo le  idee più chiare.

Qualunque sia la ragione storica, o meglio il giudizio dei contemporanei suoi - di Eleonora- e dei nostri -ancora divisi in fazioni di archetipi, per dirla con  La Capria- resta il suo corpo a testimonianza delle sue idee: giuste o  sbagliate, Eleonora pagò con la vita la sua testardaggine.  E questo non è un forse.

Come si fa a rispondere  “Il Resto di niente” a "Forsan haec olim meminisse  juvabit" se si fissa non un prezzo, ma un valore così alto alla vita?

Così, Eleonora che sta dentro ognuno di noi, anche se fosse il personaggio di  una storia teatrale, e non della Storia di Napoli, resta la testimonianza di  una donna colta, lontana dal popolo quanto volete- quel popolo di cui voleva  forse una liberazione diversa da quella che il popolo voleva per sè- resta una  Donna, che ha ballato a costo della vita fino alla fine, miezzo ‘o mercat.

E volle un divorzio e uno scandalo, volle un Giornale, volle fortissimamente  volle, quello che altre donne nemmeno pensavano di volere.  Non ti fu fatto pagare una costo o un prezzo per la tua vita, Eleonora, ma  fosti tu a darle un valore immenso con le tue idee che portasti sul tuo collo  fino alla fine.

Ma più che volere solamente, Eleonora, si concesse il  dubitativo “posso”, il  più potente motore della Storia di sempre: io posso trasformare, io posso  cambiare, io posso essere una Rivoluzione.

E così fu, senza forse, qualunque giudizio ne diate.

 


 

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