Chiudi le orecchie e guardami
Non ho seguito la recente puntata di "Servizio Pubblico" alla quale il penultimo Presidente del Consiglio dei ministri italiano ha partecipato, e non voglio soffermarmi sugli aspetti con cui vedo invadere i mass media in un dibattito come sempre sovrastimato e sovraesposto, ma da qualche brano captato e dai resoconti ho notato che spesso l'attenzione è stata focalizzata su una lettera, la quale letta o non letta, ed a prescindere anche dal suo contenuto, rappresenta, mi pare, lo stesso aspetto e la stessa funzione di un famoso precedente "contratto con gli italiani"; potremmo definirlo un difetto della percezione, se non fosse che un difetto non è, formalmente poiché ogni cosa che si percepisce è reale in sé, mentre poi contestualizzata o letta nel suo universo allargato assume il senso di vero o falso, e solo in quanto tale possiamo attribuirle poi la qualità di “sbagliato”.
Tutto ciò mi ha fatto ricordare uno studio pubblicato nel numero di agosto2012 di Scientific American (lo trovate qui) che ricorda quanto di norma ci si trovi di fronte alla fallacia delle proprie sensazioni istintive, ma soprattutto quanto esse poi influenzino il nostro comportamento, spesso con la conseguenza di divenire una materia facilmente plasmabile da coloro che vi si dedicano per mestiere, con mezzi che consentono la manipolazione di massa in settori come la pubblicità o la politica.
Nulla di davvero nuovo, solo la dimostrazione di uno di questi meccanismi: aprire una scatoletta di metallo dovrebbe aiutare, se non a disvelare i segreti degli ingranaggi meccanici, quantomeno a rendersi conto del fatto che un carillon è fatto di cilindri, molle, lamelle e palette, ed anche se piuttosto che pensare alla sua meccanica si preferisce ascoltarne la musica, una boîte à musique è pur sempre un oggetto che risponde a sollecitazioni meccaniche, cosa non troppo dissimile da un altro oggetto chiamato cervello.
Lo studio di neozelandesi e canadesi mostra e dimostra dunque una di queste vere e proprie tecniche, che agisce sulla percezione del cosiddetto truthiness. Questo termine è un neologismo che il dizionario Merriam-Webster ha scelto come "parola dell'anno 2006", ed indica “la qualità di ciò che appare vero nell'intuizione del soggetto... senza riguardo alla logica o all'evidenza fattuale.”
Fuor di vaghezza: il fattore-pancia, quella sensazione per la quale noi crediamo ad uno o ad un altro, nel corso ad esempio di un faccia a faccia elettorale; del resto, questa particolare dimostrazione è stata concepita proprio avendo come ispiratrice la politica, o meglio la credibilità dei candidati nel periodo elettorale, ed è stata pubblicata durante la campagna presidenziale americana, adattandosi perfettamente al rituale del face-to-face che lo scorso anno ha visto Barack Obama e Mitt Romney fronteggiarsi davanti alle telecamere.
Il dettaglio dunque è questo: la percezione di truthiness tende ad aumentare in modo assai sensibile, allorquando il discorso del candidato venga accompagnato da immagini e/o informazioni aggiuntive (una fotografia, soprattutto, ma anche una lettera, o un contratto...), sebbene queste non diano la benché minima prova a supporto della veridicità di quanto si sta affermando. Non fa specie pensare che se durante un discorso, appare un’immagine accanto a colui che parla, anche se non dimostra nulla, tanto basta per spingere il pubblico a credere in lui? Dovrebbe far sussultare, anche solo per l’aspetto della facilità, con la quale pensieri, credenze e comportamenti siano manipolabili, e per i mezzi, così apparentemente ingenui, quanto efficaci.
Eppure non si fa fatica a crederci. Ad esempio, potrei dire ora che mi sono inventato tutto, e che le immagini che ho messo qui affianco sono state scelte da me per indurre lo stesso meccanismo, ed a questo punto avrebbero, ne sono certo, fatto il loro bravo effetto induttivo per farvi credere a ciò che sto sostenendo… sarebbe bello, ma purtroppo non è così, e sono certo che in fondo nessuno, oltre ad una ritrosia del tutto personale nei confronti della propria capacità di discernimento, sarà seriamente in grado di credere che lo studio conduca in errore, seppure, come ogni caso di studio, vada naturalmente circoscritto o allargato secondo i criteri ed il target adottato.
Resta il dato dello stupore per la facilità con cui siamo mediamente indifesi nel percorso che da un’informazione arriva ai cosiddetti bias (gli errori sistematici), quando dobbiamo prendere una decisione. Nel caso delle immagini, potrebbe essere causato dal fatto che il cervello, nella sua consueta direzione di trovare elementi che supportino la veridicità dell'affermazione, ignora gli altri elementi che invece potrebbero dimostrarne la falsità. È una delle ipotesi, e la trovo fra le più credibili, in questo ed in altri comportamenti.
È perfino banale, se ci pensiamo, che un’immagine sia un potente supporto ad un concetto, e che basterebbe cambiarla con una che mostra il contrario, per suscitare il sospetto che esso sia assolutamente discutibile, ma serve soprattutto a ricordare che noi funzioniamo molto più come “reagenti” che come esseri in grado di analizzare scientemente e senza pregiudizi; ed è cosa particolarmente noiosa, l'idea di un mondo fatto di punte di metallo cui reagiscono le lamelle di tante, indistinte boîte à musique. |
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