Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Calvi e Sparanise: due sindaci contro la tirannia borbonica

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Calvi Risorta (Castello)Vi sono due documenti molto rilevanti a dimostrazione dei rapporti tesi tra  i Comuni di Calvi e  Sparanise e la dinastia reale borbonica. Si tratta di lettere rinvenute da Paolo Mesolella, che raccontano delle amarezze provate dai due comuni per una “tirannia sofferta 70 anni”, come scrisse il sindaco di Sparanise Annibale Ranucci il 23 dicembre 1860 a nome dell’intero Consiglio Comunale.

Siamo, quindi, a pochi mesi precedenti l’Unità quando, i sindaci di Calvi e di Sparanise, chiesero giustizia  a Vittorio Emanuele per i torti subiti dai Borbone.

Ciò potrebbe lasciar pensare al trasformismo tipico degli italiani, pronti a scendere da un carro e salire sul carro dei vincitori, ma in questa circostanza la prepotenza e gli abusi subìti dai due comuni erano state già documentate.

Soprattutto il sindaco di Calvi Demetrio Zona teneva a rimarcare in che stato di miseria e malcostume si era trovato il paese sotto il reale governo borbonico.

La Real Casa Borbonica era succeduta nell’affitto del Demanio di Calvi al barone Luigi Zona nel 1772. Il contratto era durato fino al 18 ottobre 1779, protraendosi per ulteriori dieci anni.
Sia Carlo di Borbone che il figlio Ferdinando IV avevano intrapreso una graduale opera d’usurpazione del Demanio di Calvi, tanto che Ferdinando IV arrivò a costituire un maggiorato per i suoi due figli.

Con Decreto Regio del 12 gennaio 1832, il Demanio caleno fu poi affidato in una parte al settimogenito figlio di Ferdinando IV, Gaetano Maria Federico, conte di Girgenti, e per l’altra al Conte di Castrogiovanni.

I comuni di Calvi e di Sparanise furono dunque spogliati del loro Demanio con due atti che costituirono inaccettabili soprusi.
Con il primo atto, datato 1791, Ferdinando IV , nonostante il voto contrario delle due

Università, da affittatore aveva preteso di diventare “enfiteuta” (l’enfiteusi è un diritto reale su un fondo altrui che attribuisce al titolare “enfiteuta” gli stessi diritti che avrebbe il proprietario,“concedente” sui frutti, sul tesoro e sulle utilizzazioni del sottosuolo).

Il secondo atto, datato 1832, rappresentò una vera e propria appropriazione indebita nel momento in cui Ferdinando II, pur sapendo che i demani comunali erano da considerare inalienabili, costituì un maggiorato per i suoi figli.

Il Demanio di Calvi divenne prevalentemente un sito di caccia, destinato al solo divertimento dei Borbone, che vi costruirono un Casino Reale con il pianterreno destinato ai contadini, mentre il primo piano era riservato all’abitazione del Re e dei cortigiani.

Nel testo Per Calvi e Sparanise contro Demanio e Casa Reale, pubblicato nel 1888 da Francesco Saverio Correra e Domenico Di Roberto, è ripercorsa tutta la storia dei tentativi messi in atto dai  due comuni per contrastare gli atti di sopruso da parte della Real Casa Borbonica.

In relazione al contratto del 1791, gli avvocati Correra e De Roberto evidenziavano che “il re, quando contratta, è un privato e non un sovrano, è soggetto di conseguenza a tutti i vincoli e alle norme di legge”.

Dopo la caduta del regno borbonico, in data 23 dicembre 1860, il Sindaco Annibale Ranucci scriveva a Vittorio Emanuele:
“L’anno 1860, il giorno 23 dicembre nella camera decurionale di Sparanise, riunitosi il decurionato nel numero di membri prescritti dalla legge, sotto la presidenza del sindaco Signor Annibale Ranucci ed in persona dei decurioni D. Giulio Ricca, D. Ambrogio Leardi, D. Carlo Leardi, D. Girolamo Rossone, D. Carlo Mesolella, D. Tommaso Compagnone, D. Pietro Fusco, D. Luigi Grande, D. Gaetano Ricca, ad oggetto di delibera della devoluzione del dominio utile del Demanio di Sparanise e Calvi, censito con istrumento del 1791 a Ferdinando IV, visto il detto istrumento del 28 settembre 1791 nonché l’atto parlamentare del 14 marzo 1790 fatto dalle città di Calvi e Sparanise, confidando che la censuazione di detto Demanio fatto dai due Comuni a favore di esso Ferdinando IV, ripugna con la volontà e gli interessi di essi Comuni[…]considerando che la venuta di Vittorio Emanuele Re d’Italia debba segnare un termine della prepotenza e degli abusi tra i quali deve venir enumerata la censuazione in parola, riguardata da Sparanise e Calvi come una vera e propria tirannia sofferta per lo spazio di 70 anni […]

Per tali motivi il decurionato delibera che si demandi la devoluzione del demanio utile a favore di essi Comuni e che tale domanda si faccia amministrativamente e diretta a Sua Maestà Vittorio Emanuele, per l’organo del Sig. Governatore della provincia di Terra di Lavoro.”

Ripercorrendo lo stesso iter, la lettera del sindaco di Calvi Demetrio Zona, a nome dell’intero consiglio, poneva ancora di più l’accento nel sottolineare i soprusi e la tirannia subìti per 70 anni dalla Real Casa Borbonica, precisando come la Casa Reale della passata dinastia ” affittando quelle terre così ubertose ha ritratto un prodotto immenso in confronto del meschino annuo canone che si paga ai due comuni i quali sono privi di rendite … per mancanza di strada non vi è commercio, per mancanza di istruzione si vive nell’ignoranza e la miseria ed il mal costume trionfano.”

Il sindaco scriveva inoltre che “le chiese in Calvi erano cadenti e fuori l’abitato, scassinate dai ladri e involati i sacri arredi, profanate col seppellimento dei cadaveri per mancanza del camposanto.”

La lettera concludeva, rimarcando come “la Provvidenza abbia voluto infin metter termine ai nostri mali”, e con l’esplicita considerazione “dell’enorme lesione arrecata agli interessi” delle due cittadine per quelle terre del Demanio sottratte per “prepotenza” e tenute nello stato di “totale avvilimento”.

 

 

 

Bibliografia:

Paolo Mesolella – Il demanio di Calvi- Spring Edizioni- 2008

 

 

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