La teoria del Rimland, scienze politiche in crisi
A differenza di Mackinder, che vedeva il controllo dell'entroterra eurasiatico (Heartland) come chiave del potere globale, Spykman riteneva decisivo dominare le coste dell'Eurasia, cioè l'arco che va dall’Europa occidentale fino all’Asia orientale passando per il Medio Oriente e l’Asia meridionale. Spykman sosteneva che «chi controlla il Rimland domina l’Eurasia, chi domina l’Eurasia controlla i destini del mondo», questa intuizione non era una semplice variazione del modello di Mackinder, ma una revisione sostanziale ovvero il potere globale non scaturisce dalla conquista delle profondità continentali, bensì dalla capacità di proiettare forza e influenza lungo le aree costiere dove si concentrano popolazione, commercio e interscambi. Il Rimland è, per Spykman, il vero teatro delle grandi contese storiche, il luogo in cui si decidono gli equilibri di potere globali. Se l’Heartland è geograficamente isolato, economicamente limitato e militarmente difficile da conquistare, il Rimland, al contrario, è denso di snodi strategici, passaggi obbligati e popolazioni eterogenee. È lì che si gioca la partita tra potenze continentali e marittime, tra chi cerca di espandere la propria influenza da terra e chi punta a contenerla dal mare. Per questo, Spykman rovescia la massima di Mackinder: non è il centro a dominare la periferia, ma la periferia a determinare la sorte del centro. L’influenza della teoria del Rimland è stata immediata e duratura, soprattutto nella formulazione delle dottrine strategiche degli Stati Uniti durante e dopo la Guerra Fredda. Dal contenimento dell’URSS teorizzato da George F. Kennan all’espansione delle alleanze militari come la NATO e l’ANZUS, fino alla presenza capillare di basi americane lungo l’intero arco del Rimland, la proiezione della potenza statunitense si è strutturata proprio secondo le coordinate indicate da Spykman. Il Rimland non è più solo uno spazio geografico, ma una mappa operativa per il dominio globale. La strategia statunitense post-bipolare ha mantenuto intatta questa visione ed il controllo del Rimland è stato perseguito tramite guerre dirette, interventi indiretti, rivoluzioni colorate, destabilizzazioni pilotate, operazioni NATO e penetrazione economico-finanziaria. Leggi tutto: La teoria del Rimland, scienze politiche in crisi Le Regole dell’Accademia degli Oziosi. La stesura inquisita
Le notizie furono riprese più tardi dal curatore della Biblioteca Brancacciana, Carlo Padiglione in seguito al ritrovamento di un inedito statuto manoscritto costituito da otto carte in fogli, non datati, ma di «carattere del sec. XVII assai minuto e stretto».2 La fondazione dell’Accademia degli Oziosi ha avuto nelle fonti e nella bibliografia un grande risalto perché si trattava di un avvenimento politico di notevole importanza in quanto, con la venuta del viceré, il conte di Lemos, si erano concretamente aperte le premesse di una nuova alleanza tra il potere spagnolo e gli intellettuali napoletani. Il viceré aveva fama di mecenate, era accompagnato da una corte di segretari-letterati e dimostrò una disponibilità politica e culturale per la fondazione di un’accademia “ufficiale” che in qualche modo ripeteva esperienza di quella “Alfonsina”, poi Pontaniana, sorta nel 1443 intorno alla biblioteca di Alfonso il Magnanimo, V Re d’Aragona e I di Napoli.3 I fondatori dell’Accademia degli Oziosi furono il letterato Giambattista Manso4 ed il principe cardinale Francesco Brancaccio.5 Traendolo dal ciceroniano Otium letterario, l’avvocato umanista Francesco De Pietri si incaricò di trovare all’Accademia sia il titolo che gli emblemi: Non Pigra Quies. Una tranquillità non inutile. La prima sede fu nel Chiostro di Santa Maria delle Grazie poi nel Monastero di S. Domenico Maggiore.6 Tra i primi studiosi italiani inclusi e che parteciparono alla sua inaugurazione, il 3 maggio del 1611, ci furono il della Porta, Basile, Marco Aurelio Severino, e il Marino. Leggi tutto: Le Regole dell’Accademia degli Oziosi. La stesura inquisita Atlantismo in crisi?
Senza far torto a nessuno, vorrei segnalare “Atlantismo” scritto da Eugenio Capozzi. Vi si parla, innanzitutto, di un “internazionalismo liberal-democratico” che è certo assai meno noto di quello socialista e comunista. Meno noto perché i liberali hanno sempre diffidato di forme organizzative strutturate e transnazionali, pur essendo per definizione convinti sostenitori di una visione globale e cosmopolita della società umana nel suo complesso. Rammenta l’autore che l’idea di una democrazia internazionale venne enunciata per la prima volta dal Presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson nel 1914, ponendo le basi per la nascita della “Società delle Nazioni” nel 1921. Da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma l’aspirazione è rimasta ben viva nonostante le critiche distruttive e gli innumerevoli conflitti che hanno segnato, e tuttora segnano, la storia recente. Nell’arco di tempo che separa le due guerre mondiali, l’aspirazione a creare una federazione globale in grado di porre termine ai contrasti armati tra le nazioni continuò a crescere. E, a questo proposito, vien fatto di pensare che dopo tutto ci si trovi di fronte a una sorta di “utopia liberale”, per quanto possa sembrare strano di primo acchito utilizzare una simile espressione. La Carta atlantica siglata il 14 aprile 1941 da Winston Churchill e Franklin D. Roosevelt fu un’ulteriore tappa lungo questo cammino, che poi influenzò in modo decisivo la nascita dell’Onu e la celebre “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”. L’impronta anglosassone è evidente in tutti i casi citati, come anglo-americana fu l’ispirazione del Patto Atlantico. La miseria dello storico
La stessa frase interrogativa nell'incipit è dirimente: «La storia umana è modificabile?» Questa domanda, ovviamente strettamente legata al titolo, è il filo rosso che lega la trama del saggio. Nell’analisi di Prosperi la storia è la testimonianza di un passato che di fatto è facilmente cancellabile, come ad oggi lo sta testimoniando il fenomeno della cancel culture, che non si riduce all’eliminazione dei monumenti imbrattandoli o demolendoli, ma agisce anche nel modificare in toto la narrazione del passato. Si tratta di una cancellazione del passato che ha l'obiettivo di migliorare la storia umana nella percezione del presente. Tale fenomeno, di natura esclusivamente antropica, si è verificato in diverse occasioni nel passato e che solamente lo storico può scovare negli anfratti dell'esistenza umana. Lo storico non ha la capacità di modificare ciò che è avvenuto, ma può confermare se il falso è riuscito a determinare l'esistenza umana, operazioni che si sono mirabilmente effettuate anche nel passato tramite la redazione di documenti apocrifi, abilmente costituiti, che hanno avuto l'obiettivo di alterare il corso degli eventi. Prosperi, per addurre ciò, si è concentrato su diverse falsificazioni che hanno modificato la verità storica e forse uno dei casi più eclatanti è stato il documento della falsa Donazione di Costantino, che è stata al centro del dibattito della questione del potere temporale del papato dal XV secolo e che si è dibattuta fino al Concordato del 1929 tra Stato della Chiesa e Regno d'Italia. Il 25 aprile 1945: fu lotta di nazione, non di fazione
Autorevoli editorialisti, come Pierluigi Battista, ritengono che archiviato l’appuntamento di quest’anno sarebbe meglio mettere in naftalina questa data pubblica perché divisiva. Ma è proprio vero che la guerra di liberazione rappresenti una “frattura” nell’Italia dell’oggi? In realtà per troppo tempo la Resistenza è stata raccontata in modo parziale e con paraocchi ideologici, dovuti al clima di contrapposizione tra Occidente e Unione Sovietica. Grazie alla storiografia del nuovo millennio, più libera di quella del passato, e grazie agli sforzi degli ultimi presidenti della Repubblica, da Carlo Azeglio Ciampi a Sergio Mattarella, ora invece abbiamo gli strumenti per una lettura inedita della guerra di liberazione e la possibilità per tutti di riconoscersi in quei valori. Cosa sappiamo di nuovo e di diverso? Innanzitutto, che la Resistenza fu un movimento di Nazione, non di fazione. Un movimento che, al fianco degli Alleati, coinvolse comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani, democristiani ma anche parroci come don Pietro Pappagallo e don Giuseppe Morosini, entrambi uccisi dai nazifascisti (a loro due s’ispirò Roberto Rossellini nel film Roma Città Aperta raccontando la storia di don Pietro, interpretato da Aldo Fabrizi), militari monarchici e anticomunisti come Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte militare clandestino, poliziotti, finanzieri e carabinieri come Giovanni Frignani, cattolico e liberale, l’uomo che arrestò Mussolini, finito alle Fosse Ardeatine, e il napoletano Salvo D’Acquisto, che offrì la sua vita per salvare dei civili innocenti. Non fu una storia declinata solo al maschile. Leggi tutto: Il 25 aprile 1945: fu lotta di nazione, non di fazione
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