Problemi del pacifismo a senso unico
Non sempre è stato così. Basta conoscere un po’ di storia per capire che, nell’intero corso dell’evoluzione biologica e, soprattutto, culturale dell’umanità, troviamo popoli e civiltà che dell’abilità bellica facevano il centro dell’azione e della loro concezione del mondo. Né si vergognavano di questo, ritenendolo anzi un fatto del tutto naturale. Senza dubbio la possibilità dell’olocausto nucleare ha contribuito in modo decisivo a un cambiamento di prospettiva radicale che ha coinvolto sempre più, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, governi e popolazioni. Non tutti, però. La guerra globale “combattuta a pezzi”, per usare l’efficace espressione di Papa Francesco, è più un dato reale che una semplice battuta. Essa registra puntualmente quanto sta avvenendo contemporaneamente in molti scacchieri internazionali, lasciando intravedere il pericolo che si possa infine giungere a una deflagrazione generale. Il pacifismo a senso unico che da decenni domina il dibattito pubblico italiano, con le sue infinite sfumature, reagisce proponendo un percorso condiviso in grado di annullare il pericolo. Al centro del suo discorso si colloca la convinzione che le cause dei conflitti armati siano sempre individuabili con estrema precisione. A generare le guerre sarebbero in primo luogo la povertà e l’ignoranza, e alle due piaghe suddette vanno ricondotti anche il fanatismo (religioso e non), il nazionalismo (nelle sue tante forme), la volontà di potenza tematizzata da Nietzsche, in particolare quando si manifesta nel desiderio di conquistare spazi territoriali ritenuti di esclusiva proprietà di una certa nazione. Il problema è che quel sempre abbinato nel precedente paragrafo a povertà e ignoranza risulta assai meno esplicativo di quanto appaia a prima vista. Non è detto che una società ricca e ad alto tasso di scolarizzazione sia, ipso facto, anche una società pacifica. E pure un altro termine chiave prima usato, “condivisione”, risulta alquanto problematico. Per essere efficace, la condivisione deve risultare realmente universale, senza residui di sorta. Se è parziale, come sempre accade, non risolve affatto il problema. Di ciò sono sempre stati ben consci i vari teorici degli ideali utopici. Per Marx e seguaci era evidente che la liberazione degli esseri umani dal bisogno poteva essere realizzata solo a livello globale ponendo allora fine, e non certo per caso, alla possibilità stessa delle guerre. Su un piano diverso, e fatte le dovute distinzioni, il cristianesimo si pone obiettivi analoghi, nella convinzione che la cultura dell’amore possa infine prevalere ovunque e porre termine ai motivi che generano ostilità sia tra singoli individui sia tra interi popoli. Per alcuni è difficile negare che la libertà dalla fame e dalla paura, dignità e integrità della persona siano valori universali accessibili a tutti. Ne consegue che una ragazza afghana preferirà di gran lunga togliere il burqa e sciogliere i capelli sul prato di un campus se solo avrà la possibilità di scegliere. Per una storia del regno d'Italia
Simili visioni, care in particolar modo ai secessionisti o comunque a coloro che contestano lo stato nazionale predicandone la dissoluzione e la scomparsa, non hanno in realtà fondamento storico alcuno. È appena il caso di precisare che nazione e stato non sono sinonimi e che la patria o gruppo etnico continua ad esistere qualunque sia la forma politica in cui si trova. L’Italia ha un’esistenza più che due volte millenaria che si esprime sul piano della lingua, dell’onomastica, della toponomastica, della letteratura, dell’architettura, dell’urbanistica, della musica, delle strutture giuridiche, della coscienza collettiva ecc. Essa non nasce quindi nel 1861, essendo pienamente esistente quantomeno dal I secolo avanti Cristo. Non è neppure vero che l’Italia non fosse mai stata unita prima del Risorgimento. Il 17 marzo del 1861 è il momento in cui il regno d’Italia viene ad essere ufficialmente e giuridicamente ri-costituito, non costituito, poiché esso era già esistito in precedenza e per lunghi secoli. Prima ancora del medievale regno d’Italia questa regione e la sua nazione italiana erano state ambedue unificate da Roma antica per un periodo plurisecolare. Tommaso Gar e la Biblioteca Universitaria di Napoli
Dopo la laurea a Padova nel 1831 si trasferì a Vienna dove conobbe la baronessa Madeleine Creutzer che divenne sua moglie. Nel 1838 fu assunto come segretario presso il conte Moritz Von Dietrichstein prefetto della Biblioteca di corte. Nel 1842 entrò nella redazione dell'Archivio Storico Italiano per poi vincere il concorso alla Biblioteca Universitaria di Padova. Partecipò ai moti del '48 e divenne ambasciatore della Repubblica di San Marco. Dopo la caduta di Venezia, dal 1853 al 1862 diresse la biblioteca civica di Trento. Nel giugno 1863 fu nominato direttore della Biblioteca Universitaria di Napoli al posto di Paolo Emilio Imbriani che era stato destituito dal ministro della Pubblica Istruzione Cesare Correnti. L'ambiente politico dell'epoca non era dei più felici a causa dell'invasione piemontese avvenuta due anni prima e con la guerra civile ancora in corso nelle campagne. Alcuni amici lo avevano avvisato dei possibili disagi, uno tra questi Aleardo Aleardi: «Starei per ora dove sono, compirei quel bene che ho cominciato nel collegio, starei attendendo un posto di bibliotecario quassù, in paese di cristiani, dove non si bestemmia il re, dove non si odiano i piemontesi» (28 giugno 1863). Leggi tutto: Tommaso Gar e la Biblioteca Universitaria di Napoli I volti del realismo
La risposta a tale quesito è facile: perché questo volto è l’unico che ci è conosciuto e l’unico che possiamo conoscere. Eppure, il riconoscimento dei limiti della nostra conoscenza dovrebbe metterci in guardia a questo proposito: non è corretto identificare il reale con ciò che noi possiamo conoscere. Apparentemente c’è qualcosa di sbagliato nelle posizioni che sostengono di indagare la realtà, ma non fanno altro che analizzare il nostro modo di rapportarci a essa. Prendiamo ora in considerazione il cosiddetto “realismo interno” proposto da Putnam, filosofo che com’è noto amava spesso cambiare posizione (al punto che secondo alcuni non è possibile parlare di “un solo” Putnam). Il realismo interno avanza una serie di critiche alle tesi realiste forti, prendendo soprattutto di mira (1) la teoria della verità come corrispondenza, (2) la natura oggettiva della stessa verità, e (3) l’oggettività della realtà. Mi sembra tuttavia utile, prima di continuare, offrire un breve resoconto articolato per punti del realismo inteso in un’accezione molto generale. Il filosofo realista (nel senso “forte” del termine), interessato ai rapporti tra scienza e filosofia, avanza un insieme di proposte correlate riguardanti gli scopi della scienza e i rapporti fra realtà e teorie scientifiche. Amatore Sciesa e Don Enrico Tazzoli, eroi del Risorgimento
Amatore Sciesa era nato a Milano il 12 febbraio 1814, di umili origini, popolano, di professione tappezziere. Nel 1850, a 34 anni, entrò in contatto con alcuni gruppi clandestini repubblicani che lottavano contro il dominio dell’l’Austria sulla Lombardia e sul Veneto. Erano passati appena due anni dalle cinque giornate di Milano e Radetzky, governatore del Lombardo Veneto, perseguiva una politica ferocemente repressiva, che non lasciava altro scampo ai patrioti lombardi che la sottomissione, la forca o l'esilio. Il suo proclama era perentorio: «in considerazione della aumentata pericolosità di sette e di movimenti fanatici, che tentano di contrastare l'autorità dell'Imperial-Regio Governo, chiunque sarà colto nell'atto di svolgere attività sovversiva in qualunque forma sarà consegnato alla Gendarmeria e immediatamente impiccato». Leggi tutto: Amatore Sciesa e Don Enrico Tazzoli, eroi del Risorgimento Altri articoli... |
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