Napoli: colori, odori e suoni

Categoria principale: Libere riflessioni
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Pubblicato Lunedì, 29 Ottobre 2012 11:38
Scritto da Wanda Pane
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Prendo le parole di Pino Daniele: Napule e’mille culure...

Mille e mille sono i colori di Napoli, esplodono nelle mattine di giugno o di ottobre con una vivezza senza eguali negli altri mesi dell’anno, e ogni anno li sento con una nuova meraviglia.

I colori dei fiori.

Gialle le mimose di Gennaio.

Lucido verde punteggiati di rosa e di rosso le camelie di Villa Pignatelli a Febbraio.

A Marzo rosa l’albero di giuda in Villa Comunale.

In Aprile grappoli color glicine su rami contorti  di alberi centenari  si arrampicano ovunque.

Rosse, arancio , viola scoppiano a Maggio le ondeggianti bouganvilee.

Nuvole viola di Giugno,gli antichi alberi di jacaranda ornano giardini liberty.

Siepi di oleandri bianchi e rosa a Luglio.

Blu le ipomee volgarmente dette campanelle resistono all’arsura di Agosto.

Settembre ancora cespugli di lantane scapigliate ornano terrazzi e mura di tufo.

La vite americana sfoglia con i colori del bronzo in Ottobre.

Novembre le foglie brune cadute  dai platani del Vomero tappezzano le vie mescolandosi all’oro delle foglie delle robinie.

 

Se a Dicembre le stelle di natale invadono i negozi insieme a fiori di serra, per le vie piange il grigio delle molte palme bruciate dal punteruolo rosso. Palme a coppie che erano l’ orgoglio delle vie della città e dei vecchi giardini.

I colori di Napoli non sono solo i colori dei fiori.

Caratteristica domina la pietra su cui è stata costruita oltre 2000 anni fa.

Il tufo pietra regina, scavata  nelle mille grotte, negli anfratti del sottosuolo, usata e  riutilizzata, dolce e porosa, resistente, dal colore inimitabile:una mescolanza di rosa, di giallo, di terra di Siena, una sfumatura ricercata e mai raggiunta, cui di inverno si aggiunge una punta di verde muschio. Ah! I vedutisti del 700  e la scuola di Posillipo.

Nere le spiaggette di origine vulcanica,  da Resina a Vigliena, a Posillipo e oltre, la grana è grossa, luccica bagnata.

Fronteggiano le spiagge  le chiane di tufo semisommerse e ricoperte di erbe marine verdi.

Grigio l’antico bugnato della chiesa del Gesù, del palazzo alla riviera di Chiaia,, grigio scuro i bastioni del Maschio Angioino e gli archi di piperno dei molti palazzi nobiliari.

Bianco candido il Cristo velato di Sanseverino e le statue del Museo Archeologico.

Chiese barocche rosa e gialle,  più scura  arancio  quella di Santa Maria di   Portosalvo.

Il rosso è il colore di molti palazzi settecenteschi definito rosso pompeiano perché simile gli affreschi di Pompei.

Rossa si erge la scuola militare della Nunziatella sugli archi di Monte Echia, gli edifici rossi  nella darsena della marina militare si riflettendo  nelle acque immobili e si sposano coi bianchi scafi ondeggianti.

Ruggine le navi in riparazione, nei bacini del porto dove l’acqua oleosa ha mille riflessi metallici.

Più avanti i containers ammonticchiati offrono ancora una  macchia rosso scura, sono quasi tutti cinesi, e si contendono spazio alle aeree gru gialle, blu,  grigie in manovra.

Quali sono colori nei vetri riflettenti dei palazzi di via Marina ? Essi cambiano col  passare delle ore si tingono del rosa del tramonto.

E che dire delle “case dei Puffi” quartiere malfamato della zona est, ma azzurro!!

Indicazione precisa per il mercato di via Caramanico  percorrere via Poggioreale fino alla casa viola e  subito girare.

Questi sono i colori dell’anima napoletana.

Napoli non è solo mille colori è anche mille ODORI, anche se i napoletani preferiscono dire  PUZZA.

Quando ero piccola le monache  m’ insegnarono che non stava bene dire puzza, bisognava  dire cattivo odore, bene scriverò di quelli piacevoli e di quelli cattivi.

Il primo odore che mi viene in mente è quello di una panetteria a via Egiziaca a Pizzofalcone  alle 7 del mattino si spandeva per la via, mentre Luigi parcheggiatore abusivo prendeva cura della mia 126 ed io andavo  al lavoro.

Si ma prima c’era stato nella cucina di casa, come in tutte le case quello del caffè, indifferentemente versato dalla moka o dalla classica napoletana dall’odore più sottile.

Seguendo  i profumi  mattutini della gola, l’odore di brioches in Via San Pasquale, che  aveva drogato perfino il mio gatto.

A Pasqua per i vicoli del centro l’odore dell’acqua di millefiori e di fiori d’arancio da la sensazione di essere immersi  in una grande pastiera.

Seguendo ancora  gli odori della gola, all’improvviso ci si sente afferrare da un odore di zucchero filato  anzi delle mandorle ” atterrate” seguendolo di finisce in una nascosta pasticceria artigianale.

Ci sono odori d’inverno,e odori d’estate,  il golfo profuma in modo diverso secondo le stagioni.

Inimitabile per me è quello dell’inverno in via Caracciolo.

Catrame, vele bagnate, legno, corde salate, reti stese ad asciugare, gli odori senza stagione dei porticcioli.

L’odore misto a benzene del porto.

L’olfatto è un senso trascurato, ma quello più vicino alla memoria evoca ricordi perduti.

Ed eccomi quindi in Villa Comunale dove ora non passeggiano più i cavalli, non ci sono carrozzelle per la Riviera, ma il cattivo odore lasciato dai cavalli mi riporta a quei giorni, e risento anche l’odore di ozono lasciata dal mitico filobus 140.

Odore di bitume che brucia per rifare l’asfalto delle strade sconnesse.

L’odore amaro di un fico selvatico che spunta da un muro di tufo, o di una camomilla spuntata indisturbata  in una’aiuola spartitraffico.

Odore di pini bagnati nei parchi del Cardarelli.

Odore di creolina nei corridoi gelati dell’OPP Leonardo Bianchi.

Odore di colla nei bassi della Sanità, artigianato di borse e scarpe. ora  la fanno da padroni i cinesi.

Odori esotici di churry, di kebab , di sushi nei quartieri spagnoli e nella Duchesca abitati da extracomunitari.

A volte il vento mi porta fin dentro casa  l’odore di una torrefazione di caffe.

L’odore di bucce di mandarino nella mensa delle monache.

Poi ci sono gli odori della domenica legati al pranzo il mitico ”Ragù che faceva mammà, nun è chello che fai tu” come diceva Eduardo, le fornacelle che sul balconcino a Fuorigrotta arrostiscono, costolette di maiale, o  il sugo di polipo verace sulle linguine.

Chiudo la giornata  alle 7 della sera con un brutto odore, l’odore di miseria nella metropolitana collinare verso Piscinola .

SUONI E RUMORI, mille e mille come distinguerli ?

Premettendo, che i napoletani parlano con un tono di voce più alto; che perfino i neonati nel nido della SS.Nunziata strillano più forte, e i neonati bene nelle cliniche di Posillipo non sono da meno strillando sempre più forte dei neonati bresciani.

Parliamo ora di quei suoni  che nelle sere d’estate con le finestre aperte ci allietano.

Il clic clac delle palline cinesi gioco stupido tornato di moda, il suono potrebbe avere attinenza con le nacchere della tarantella, ma neanche lontanamente ne ha il ritmo.

L’incubo del calcio, televisioni a tutto volume, finestre spalancate e  ad ogni goal segnato si scatenano trombe, fischietti. antichi strumenti spolverati per l’occasione, e cori di parolacce per i goal  mancati.

Il suono della classica caccavella di Nino Taranto  una specie pernacchia automatica, poi nella tradizione tamburi, tamburelli, la tammora di Marcello Colasurdo, suoni e gesti di una gestualità antica che si sposa con la tradizione dei dominatori spagnoli.

Di contrasto  i modernissimi bidoni dei BUNGT BANGT.

Triccaballacche e putipù e oggi che tutte le vajasse  ci vengono propinate dai media l’antico scetavajasse a tre braccia è tornato sulla scena.

Dalle auto strombazzanti in fila  escono i ritmi martellanti dei neo melodici o del tamarro Tony Tammaro, che canta” Patrizia di Baia Domizia che sotto l’ombrellone ti mangi la frittata di maccherone”, o” Luana tu si figlia e ‘ patana”…..

Non tutta la musica dei neomelodici è spazzatura a volte è genuina trasposizione  della vita quotidiana: ” a’ marenna “ il panino dei muratori,che sparato a mille dall’autora, altre volte mielose storie di amori e abbandoni.

Certo le melodie classiche napoletane sostenute da autentici poeti e musicisti  e da voci di tenori e soprani, sono altra cosa,e hanno moderni interpreti di valore.

Mi piace ricordare i suoni delle mille voci dei venditori ambulanti, un brivido mi percorre quando sento l’annuncio della primavera nel tardo pomeriggio  “ a fava fresca” e le prime mattine d’estate:” e’ ceveze e’ceveze”, non più il cesto sulla testa del venditore, ma il tossire dell’Ape in dialetto “ a’ lapa “ oppure “ o’tre rote”, oggi fave e more di gelso nelle confezioni del supermercato hanno perso col sapore anche l’annuncio della stagione.

Con nostalgia  ascolto la voce di Brunella Selo che canta”la rumba dei scugnizzi” una antologia di tutte le grida.

Su Fb sono fan di un gruppo che  s’intitola “Pigliatevi a Gigi D’Alessio e ridateci Jack Lennon”.

Napoli del dopoguerra ci ha dato:

- James Senese , figlio del popolo

- Pino Daniele con le cui parole ho iniziato questo pezzo

- Enzo Avitabile, ora al successo con Black Tarantella

- Tony Esposito

- Daniele Sepe

- I due fratelli Bennato e la bruttissima scippata Pietra Montecorvino

- Peppino di Capri

- La musica colta di De Simone e la Gatta Cenerentola

- La nuova Compagnia di Canto Popolare,  Fausta Vetere, mia compagna di scuola.

- La musica di protesta della new wave napoletana, i 99 Posse, Raiz e benchè casertani gli Avion Travel,Tony Servillo

Sarà pure nato a Foggia ma di formazione napoletana, membro della goliardia della Federico II  e di fama internazionale Renzo Arbore ha portato moderni arrangiamenti in tutto il mondo

Più scrivo e più affiorano i ricordi, la mitica Vesuvietta ,con i complessi di Carosone, VanWood, Geggè Di Giacomo .

Per le strade non sento suonare i mandolini.

Nelle funicolari e negli autobus incontro rom con le loro fisarmoniche.

Un  pensiero a Petru, musicista di strada, ucciso  a Montesanto, da un raid di cammorristi.

Nelle mattine domenicali incontro un solitario e sconsolato suonatore di sassofono rom sotto la pioggia.

Segno di vitalità musicale negli autobus e arrampicati su moto ragazzi con le custodie di strumenti, si spostano da un garage ad uno scantinato.

Con un orecchio esercitato nelle inflessioni dialettali  si potrebbe riconoscere il percorso che fa un autobus:

A Chiaia due nette tonalità:  il birignao delle signore bene,e la strascicata bocca larga delle ragazzine uscite dal Liceo Umberto.

A Fuorigrotta le voci rassegnate delle massaie.

Verso la stazione e Poggioreale le voci si fanno più impastate, più gutturali,i ragazzi usano parole tronche e nuovi linguaggi della gioventù urbana.

Sul 140 nelle mattine d’estate le  voci sono allegre e caciarone  si va al mare al Lido Mappatella con asciugamano e” marenna,” in pomeriggio al ritorno anche le voci saranno stanche e bruciate dal sole.

Vecchiette petulanti e lamentose, girano nei pollicini di quartiere, commentando le medesime cose  e le estrazioni del lotto, “a tummolella” non ancora ridotta a Bingo.

Rapidi e violenti, dialetti strettissimi e smozzicati, scendono dalla metropolitana quelli di Chiaiano e Piscinola gergo sfrontato condito da parolacce e dal trillo dei cellulari.