Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

27 settembre 1943. L'addio di Amleto

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Erano forse le 11 quando Amleto arrivò sotto casa sua nei pressi di Piazza Carlo III. Aveva camminato per giorni e giorni ed era stanco, sfinito.

Trovò una città distrutta dai bombardamenti e attraversata da tedeschi che a bordo delle loro autoblindo la perlustravano in lungo e in largo. Più volte si era nascosto riuscendo ad evitarli .

Ora era qui, sotto il suo palazzo , dove aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza  in compagnia dei suoi amici e dei  suoi vicini. Il padre e la madre, però, non c’erano. Terrorizzati  dagli incessanti bombardamenti si erano uniti alla schiera degli sfollati e, lasciata Napoli, erano ritornati nel loro paese d’origine, nell’entroterra campano.

Il palazzo si animò: le porte si aprirono e le donne uscirono. Chi per abbracciarlo,  chi per rifocillarlo,

chi per spiegargli che i suoi stavano bene e che speravano che al  più presto li raggiungesse.

Napoli è in stato d’assedio, gli dissero e i tedeschi stanno rastrellando tutti gli uomini e se li portano in Germania, quando non li fucilano.

 

Doveva scappare, nascondersi.

Ma dov’erano i suoi amici?  Amleto voleva sapere dove fossero Alfredo, Mimì, Salvatore. Erano ancora al fronte o dove?

Fu così che seppe la verità. Napoli si stava ribellando a Scholl.

Capodimonte, il Vomero, Il Ponte della Sanità, il Reclusorio, Foria e tanti, tanti altri  erano i focolai dell’insurrezione.

Non poteva essere diversamente. Anche lui si sarebbe unito alla schiera dei rivoltosi.

Pochi istanti dopo essere uscito dal portone, però, fu colpito da un cecchino.

A terra in un mare di sangue. Così lo vide Carmela, guardando dal balcone di casa sua, nello stesso palazzo  in cui abitava Amleto. Era vivo perchè lo vedeva muoversi e in un impeto fu giù per le scale.

Le bastò un attimo. Lì vicino c’era un carretto di legno. Carmela andò a prenderlo e lo avvicinò al ragazzo steso a terra. In quella le si avvicinò una donna, e poi un’altra e un’altra ancora. Da un balcone lanciarono lenzuola , tovaglie per arrestare il sangue e intanto si sentivano colpi e tante voci di altre donne che urlavano.

Carmela, vent’anni compiuti da un mese, mise le mani in quella poltiglia che erano le viscere di Amleto e le ricollocò nell’ addome squarciato; poi insieme alle altre issarono il ragazzo sul carretto e cominciarono la loro corsa verso l’Ospedale degli Incurabili.

Non potevano correre troppo, però, perché ad ogni sussulto il poveretto si lamentava. Più avanti un altro ferito. Le donne si guardarono poi agirono senza parlare.

Caricarono quello e tutti gli altri che trovarono sulla loro strada. Anche un giovane soldato nemico e questo forse salvò loro la vita perché, poco prima dell’Ospedale incapparono in un posto di blocco tedesco.

Le guardarono, poi le fecero passare.

Agli Incurabili tutti ricevettero cure e assistenza.

Amleto, però, dopo una lunghissima notte di dolori e sofferenze, morì.

Non era solo, comunque. Carmela  era lì a  tenergli la mano.

 

(A mia madre, Carmela, oggi una ottantanovenne sempre combatttiva. Lucia Aiello)

 

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