L'Europa tra Restaurazione e Rivoluzione (2)
Molteplici sono i fattori della crisi rivoluzionaria del 1848 in Europa. La crisi agraria determina nel 1848 una annata di cattivi raccolti: conseguenze si avvertono subito nelle città industriali dell’Europa, soprattutto a Parigi in Francia. Il più colpito dalla crisi agraria è il proletariato parigino. L’industria francese è ormai nella fase di decollo. La Rivoluzione industriale imperversa in Francia, Belgio e Olanda. L’Inghilterra, invece, ha solo il problema di consolidarla. Il sistema costituzionale monarchico contribuisce, in qualche modo, all’assestamento dell’economia inglese, industriale e capitalistica. I Whigs e i Tories, liberali e conservatori, sono l’espressione della matura esperienza inglese nel campo costituzionale e liberale avanzato. La prima e la seconda Rivoluzione consentono all’Inghilterra di dotarsi di solide istituzioni liberali e monarchiche in grado di affrontare, senza grosse tensioni, la tempesta della Rivoluzione industriale. In Francia il sistema monarchico della Rivoluzione di Luglio non riesce a integrare la media e piccola borghesia. Il supporto della monarchia di Luglio è l’alta borghesia bancaria, finanziaria e industriale, affiancata dai ceti aristocratici e latifondistici sempre disponibili a una “Revanche”. A Parigi la Rivoluzione industriale, intanto, continua a immiserire e divorare il proletariato industriale. La miseria e la fame spingono sempre di più proletariato operaio parigino alla disperazione. In questo contesto sociale così esplosivo vanno posti i primi movimenti socialistici. Saint Simon e Fourier rappresentano i primi teorici di quella contestazione sociale che sfocerà nel “Manifesto del Partito comunista”. Ma a quest’epoca K. Marx non ha quella risonanza mondiale di cui poi godrà. Un primo nucleo compatto di comunisti partecipa alla crisi rivoluzionaria del 1848, ma in numero molto ridotto. I protagonisti della Rivoluzione del 1848 sono i piccoli e medi produttori indipendenti, la piccola e media borghesia urbana e rurale che non riesce a integrarsi nel processo di sviluppo industriale francese e in parte continentale. Essi sono esclusi dai benefici dello sviluppo industriale. La libera attività artigianale e domestica tende sempre di più a essere sostituita dal “macchinismo” industriale. Le manifatture industriali distruggono l’ “industria” domestica e le libere attività artigianali. I liberi produttori indipendenti si sentono livellati e schiacciati dal rullo compressore della Rivoluzione industriale e capitalistica. Essi, tutto sommato, hanno paura dell’avvenire e della possibile proletarizzazione. I democratici e i socialisti (si pensi a L. Blanc e all’ancora più radicale e “rosso” Blanqui) sono soprattutto l’espressione del disagio sociale della massa enorme della piccola e media borghesia francese, più esattamente parigina. Il proletariato operaio partecipa alla sollevazione generale del 1848, ma non ha ancora la direzione esclusiva del movimento rivoluzionario. La sinistra democratica e socialista richiede la nazionalizzazione delle industrie e dei servizi strategici e a grande concentrazione capitalistica (per esempio le ferrovie). I socialisti ottengono anche l’installazione dei così detti “ateliers” nazionali: gli ateliers dovrebbero consentire la cooperazione e l’associazione dal basso dei produttori al fine di rendere impossibili le speculazioni finanziarie e l’esistenza di imprese monopolistiche a elevata concentrazione capitalistica. La rivoluzione del 1848 sembra ripercorrere i passi della prima Rivoluzione francese senza ricercare nuove e autonome vie programmatiche. Le richieste rivoluzionarie del 1848 mirano alla eliminazione delle grosse e insostenibili disuguaglianze sociali: esse non abbandonano la logica robespierriana della uguaglianza delle opportunità nell’ambito di un sistema proprietario di piccoli e medi produttori indipendenti, legati a un modello di società democratica che tuteli le prerogative dei piccoli rurali e borghesi (il popolo minuto, forse, se fossimo a Firenze) e comprima e reprima i privilegi dei “grossi”. La Rivoluzione del 1848 a Parigi non riesce per vari motivi: essa lascia intatti i quadri amministrativi, non opera cioè un’epurazione politica della pubblica amministrazione che rimane “feudo” dei notabili, non organizza un’efficace attività propagandistica e conseguentemente non riesce a coinvolgere le masse rurali della provincia francese, i notabili dello schieramento conservatore e reazionario ne approfittano per incrementare il Leviatano della “Grande Paura” rossa. La Rivoluzione democratica e socialista non dispiega a Parigi e nella provincia un’adeguata forza organizzativa che sappia tener testa all’inevitabile ritorno offensivo e reazionario dell’opposizione clerico-borghese. In Germania e in Italia il 1848 prende le forme di una Rivoluzione nazionale e liberale che trova l’appoggio dei ceti urbani, piccoli e medio-borghesi. Mazzini e i repubblicani italiani non ottengono grossi risultati immediati, ma pongono all’Europa il problema essenziale dell’unità ed indipendenza italiana: se l’Europa vuole conservare un minimo di stabilità, non si può che risolvere il problema dell’indipendenza italiana. D’altra parte, in Italia il Piemonte sabaudo e moderatamente liberale diviene il punto di riferimento dei patrioti italiani come la Prussia , ancor più moderatamente liberale , lo diviene per i patrioti tedeschi. Anche l’Austria restauratrice del principe di Metternich esplode in una sollevazione generale che a stento viene sedata. Il 1848 non sovverte l’ordine conservatore e restauratore dell’Europa metternichiana, ma costringe la parte più retriva e reazionaria della borghesia europea a concessioni notevoli (diritto di voto a tutti anche se nominale in Francia, formazione di un movimento liberale moderato in Piemonte e in parte in Prussia ). |
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