Amore e Morte all'origine della Cappella Sansevero

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Categoria: Storia e Letteratura - Miscellanea
Creato Giovedì, 13 Settembre 2012 12:49
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:20
Pubblicato Giovedì, 13 Settembre 2012 12:49
Scritto da Beatrice Cecaro
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Quante bugie, omissioni, giudizi e pregiudizi imprigionano una delle storie più intense e dolorose del Regno di Napoli:l'omicidio  di Fabrizio Carafa e Maria d'Avalos.

Veli pregni di superstizione, infamità e luoghi comuni  nascondono per quattrocento anni l'anima di Fabrizio Carafa , il cuore di Maria d'Avalos, il dolore atroce di Adriana Carafa della Spina, la follia di Maria Maddalena Carafa, il pianto di Giovan Francesco di Sangro primo Principe di Sansevero, la crudeltà spietata e fredda di  Carlo Gesualdo Principe di Venosa.

Veli che hanno occultato di fatto nella memoria popolare il vero motivo della costruzione di uno dei Templi più carismatici e misteriosi  della città di Napoli...la Chiesa della pietà dei Sangro o Cappella Sansevero.

E così nei secoli Maria diventa una donna assetata di sesso e emozioni, Fabrizio un'ombra appena accennata  nella ragnatela tessuta dalla sua amante peccatrice, Adriana Carafa della Spina, madre di Fabrizio, Duchessa d'Andria e in seconde nozze  prima Principessa di Sansevero viene dimenticata e addirittura confusa con la moglie tradita di Fabrizio, quella Maddalena di cui nessuno parlerà mai  veramente, considerata quasi santa nel momento della sua morte che con una crudeltà e una follia pari a quella di Gesualdo è complice pensante e attiva di questo terribile delitto.

E così nei secoli la costruzione di una chiesa dedicata al nobilissimo sentimento della pietà,la Cappella Sansevero,  viene confusa in una leggenda raccontata come una favola dal Cesare d'Engenio  e riportata per secoli come una filastrocca in ogni guida e in ogni racconto...ma non fu proprio Raimondo di Sangro settimo Principe di Sansevero, colui che dedicò l'intera vita alla trasformazione della “sua” Cappella arricchendola di capolavori  assoluti come il Cristo Velato, a definire il d'Engenio“scrittore di pochissima stima presso i napoletani”?

Nella memoria popolare, si sa, tutto si confonde e si trasforma.

Un frullato di informazioni   si tuffa nell'enorme bolla di ricordi  costruiti ad arte e le bugie si gonfiano diventando verità assolute e il palazzo Sansevero improvvisamente si sveste di dolore vestendosi di maledizione...

La conoscete tutti la storia no?

E' a palazzo Sansevero che sono stati uccisi Fabrizio e Maria...nel palazzo i loro corpi gettati su una scala...lì i cani venivano a leccare il loro sangue, su quelle scale un monaco domenicano abusò del corpo massacrato della povera Maria, in quel palazzo si odono ogni sera le urla dei due amanti.

Il palazzo “maledetto” viene raccontato anche da Luigi Capuana   nel suo Don Raimondo di Sangro:

“Il palazzo dei Sansevero è sinistramente leggendario. Quasi per confermare la trista fama, dieci anni fa una principessa di Sangro moriva per la rovina di un balcone a cui s'era affacciata. Pochi anni dopo, un giovane della stessa famiglia, colto, bello e ricco, vi si sparava una pistolettata alla testa per un amore infelice.”

E non ha  importanza se il palazzo il giorno del delitto era abitato dai di Sangro, se in quelle stanze nel momento esatto del massacro c'era  la mamma di Fabrizio,Adriana Carafa della Spina duchessa di Torremaggiore e prima Principessa di Sansevero, impazzita di ansia e di dolore, immobile davanti alla follia di sua nuora che le sussurrava di pregare per preparare il suo animo ad una “malissima nuova”.

Non ha importanza se il palazzo preso in fitto da Gesualdo è un altro palazzo di Sangro.

Non ha importanza se una unica data, il 1590, lega due episodi apparentemente estranei che appartengono  invece carnalmente al destino di una sola famiglia, quella dei Principi di Sangro di Sansevero, protagonista assoluta e silenziosa di un dolore indicibile e di uno scempio inaudito fino ad ora mai raccontato.

Non ha importanza se la Chiesa della Pietà nasce non per un voto di un ex carcerato ma per  la volontà e la fede di una donna che alla vendetta preferisce la pietas...

Non ha importanza se entrando in Cappella Sansevero una statua, lo Zelo della Religione, sottolinea la discendenza dei di Sangro da Adriana Carafa della Spina:”colei da cui discende l'intera stirpe dei Sangro”

Non ha importanza se un angelo della stessa statua indica il quadro cinquecentesco intorno al quale è stata fondata questa chiesa la cui immagine è la Madonna della pietà...una madre sulle cui ginocchia giace il corpo massacrato del proprio figlio.

E non ha nessuna importanza se Raimondo di Sangro ha ordinato di dipingere nella volta della sua adorata Chiesa un sole splendente  al cui interno c'è una scritta: Mater Pietatis...Madre di Pietà, a perenne memoria di un percorso spirituale fondamenta della sua adoratissima Chiesa.

Bugie...bugie...bugie...hanno falsato nei secoli la memoria della mia famiglia e impresso il marchio infamante di maledizione che ha seguito come un'ombra anche la vita di Raimondo  nato un secolo e mezzo dopo questo efferato delitto e tutti noi che ne portiamo il sangue.

Un pianto antico e una rabbia ancestrale mi hanno guidata in un percorso difficile, doloroso e affascinante all'interno delle mie radici  e costretto a leggere giudizi impietosi come quello di Croce che, raccontando del crollo del ponte che univa la Cappella Sansevero al Palazzo di famiglia , dice:

“...anche il palazzo dei Sansevero,prossimo alla Cappella, è investito da quella leggenda diabolica e parve castigo del cielo il crollamento di gran parte di esso che,annunziato lungo la notte da strani rumori, accadde una mattina del settembre 1889”

facendomi urlare:

cosa avevano mai potuto commettere di così terribile i di Sangro , stirpe antichissima le cui radici affondavano in territori di spiritualità templare, discendenti diretti di Carlo magno e dei Re di Borgogna, per meritare  addirittura la furia divina?

Passi perduti nel tempo mi hanno guidata pazientemente in Biblioteca Nazionale dove per tre anni ho letto e riletto documenti, testimonianze, racconti, manoscritti, fino ad arrivare al  seicentesco Sagro Diario Domenicano...e lì, in quelle pagine poco frequentate da ricercatari e storici di ogni epoca  troppo impegnati a copiarsi a vicenda, parole nascoste mi hanno restituito  i contorni di una giustizia implorata e il respiro di tre donne che con la loro vita e i loro sentimenti hanno scritto questa struggente storia di amore e morte, pietà e passione, fede e destino.

Donne forti e coraggiose, deboli e visionarie, madri perfette, amanti appassionate, mogli tradite, anime dalle tinte forti hanno tracciato percorsi di ubbidienza, follia, preghiera, passione, perdono, pietà.

Ho incontrato così l'anima di Maria Maddalena, buia, tormentata, divisa dall'amore ossessivo per il suo Dio e l'amore castigo per suo marito Fabrizio, vissuto come pegno e offerto come agnello sacrificale ad un Signore padrone e spietato che le ordina di accettare il suo massacro.

Un Dio che la mette continuamente alla prova togliendole anche il suo amatissimo figlio che lei sacrifica a lui non difendendolo con qualsiasi mezzo come avrebbe fatto una madre. Ho sentito nella sua anima il canto inquietante della follia e guardato i mille vestiti che indossa.

L'ho vista bimba inginocchiata per ore al cospetto della Vergine, giovane sposa coprirsi con ampie vesti la pelle maciullata dalla stretta del cilicio  infilarsi martoriata in un letto condiviso. Ho ascoltato le sue preghiere ripetute in continuazione implorare la salvezza di un'anima inconsapevole della propria dannazione. Sentito la sua frustrazione e la sua gelosia. Le ho toccato il volto alienato con la punta delle dita  in cerca di umidità e risposte ma nessuna lacrima le segnava le guance.

Ho conosciuto la freschezza di Maria d'Avalos, sfiorato i suoi sorrisi, la sua passione. L'ho spiata mentre danzava e faceva l'amore. Ho letto bigliettini che una cameriera trafelata le portava e riportava in continuazione.

Ho ascoltato l'urlo di dolore e sentito l'odore del suo sangue nella mattanza feroce di una notte senza luna. Ero con lei nello spaventoso letto dove, nuda e tremante, ha cantato con voce di bimba l'ultima ninna nanna della sua vita, con lei quando indifesa e offesa dagli sguardi altrui ha abbracciato i brandelli di carne del suo Fabrizio. Era gelata la punta della spada quando le ha graffiato la faccia, pugnalato la mano, il braccio, il petto, bucato la tempia: sarà Fabrizio a stringerla oltre il buio?

Ho accarezzato Adriana nel limbo della mia memoria.

L'ho sentita ordinare, pregare, piangere, incolparsi.

Ho ascoltato il suo procedere lento in camere trasformate in enormi gabbie dorate. L'ho vista trascinarsi a fatica e inciampare in continuazione in perchè urlati e soffocati dal pianto, isolarsi dal mondo, svuotare armadi da vestiti colorati, non riconoscersi in uno specchio divenuto ladro di identità. Arrotolarsi su se stessa e tentare di scacciare l'immagine di un figlio violentato, insultato dalla follia altrui. Svegliarsi di soprassalto con gli occhi ben chiusi nella speranza di aver sognato l'incubo più lungo della sua vita. Impazzire di dolore quando al nome di Fabrizio, sussurrato in continuazione, risponde solo l'urlo del silenzio.

All'interno di una amatissima biblioteca, sospesa nella memoria, mi sono tuffata nel respiro delle mie radici e con bracciate di emozione e appartenenza ho finalmente riconosciuto il mio respiro nelle pagine di un libro dimenticato.