Eleonora de Fonseca Pimentel: il mistero della tomba scomparsa

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Categoria: Biografie protagonisti del 1799
Creato Venerdì, 28 Ottobre 2011 21:51
Ultima modifica il Lunedì, 26 Agosto 2013 12:16
Pubblicato Venerdì, 28 Ottobre 2011 21:51
Scritto da Antonella Orefice
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Il 20 agosto 1799 finiva la vita della marchesa  Eleonora de Fonseca Pimentel , ma immortale resterà inciso il suo nome nel Pantheon dei martiri della libertà.

Eleonora di sé non lasciò soltanto gli scritti ed  il ricordo glorioso e sofferto della sua  breve esistenza. Fu  la morte stessa ad avvolgerla nel  suo più grande mistero: il luogo della sepoltura.

Secondo i registri dei Bianchi della Giustizia il cadavere fu seppellito nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli,  una piccola congrega funeraria, demolita poi nel primo Ottocento.

Nonostante la fioritura dei testi, nessun ricercatore ha tentato di andar oltre il luogo comune secondo il quale, scomparendo il sito che aveva ospitato la salma, fosse scomparsa anche questa.

Qualsiasi biografia finisce in Piazza Mercato con l’esecuzione del 20 agosto del 1799 e tutte alla fine stendono un velo sulla questione della sepoltura.

In diversi testi di toponomastica storica  esistono elencati ben cinque riferimenti a chiese intitolate a S. Maria di Costantinopoli site nel quartiere Mercato alla fine del 1700.

Chiesa di S. Maria di Costantinopoli ai Barrettari, dei funari e campanari

Chiesa di S. Maria di Costantinopoli alla strada dei foretani

Confraternita di S. Maria di Costantinopoli in Santa Caterina in Foro Magno

Cappella di S. Maria di Costantinopoli dei fusi e cocchiari

Chiesa di S. Maria di Costantinopoli a Santo Eligio (fratelli cappellisti)

La molteplicità dei siti è stato, senza dubbio, uno dei motivi che hanno scoraggiato gli studiosi.

Eppure, se prima di intraprendere una così ardua indagine si fosse concentrata un po’ più l’attenzione alla testimonianza dei Bianchi,  si sarebbe scoperto che essa conteneva la chiave per una indagine  più mirata. Come scriveva Luigi  Conforti: “I documenti non basta raccoglierli, bisogna esaminarli”.

Di seguito sono integralmente riportati i passi  relativi all’esecuzione del 20 agosto 1799; le omissioni riguardano note d’ufficio tra i confratelli celebranti il triste rito.

Immediatamente eseguita la giustizia si dia sepoltura ai cadaveri  dei nominati Colonna  e Serra, lasciando sospesi sul patibolo gli altri , cioè Vescovo Natale, Lupo, Piatti e Fonseca Pimentel che poi nel giorno seguente dovranno essere sepolti.

Si uscì dal Castello alle ore 18 e mezza passate e giunti al largo del Mercato per l’esecuzione, si incamminò al patibolo Don Giuliano Colonna e gli altri sette pazienti furono condotti nel guardione da Birri del Mercato  dove venivano assistiti dai nostri fratelli  nel mentre si eseguiva la giustizia del Colonna e così si praticò agli altri fino all’ultima che fu la Fonseca Pimentel, i quali disgraziati riferirono dai rispettivi criminali  tutti bendati, e così furono decollati i primi due e affocati gli altri.

Tutti e otto morirono con non equivoci segni di vero e noto pentimento delle loro passate colpe, e speriamo che diano al pregante negli altresì riposi a godere quella gloria che per darcela in confessione  si faticò con tanto impegno  a premura, augurando la sorte che vogliano implorare dal cielo alla nostra Compagnia tutta quella copia di luci e grazia che sono necessaria per una tanta opera di pietà e contemporaneamente preppiù la medesima nello zelo  a favore di essi sempre rifugge.

Lo stato di Eleonora Pimentel Fonseca è il seguente. Ella ha due fratelli, il primo si chiama Don  Michele il quale ha moglie che abita in Chieti ed ha due figli ed è incinta. L’altro si chiama Don Giuseppe, ha moglie chiamata Donna Patronilla , che abita alla strada dei Greci  numero 26 ed ha un ragazzo ed una ragazzina di tenera età tutti e due.

I cadaveri di Domenico Piatti e Lupo furono sepolti nella chiesa di Santa Maria di Costantinopoli. Gli altri due  di Antonio Piatti e Pimentel  si dovevano seppellire nella chiesa di S. Caterina al Mercato, ma essendo venuta una considerevole pioggia, si mandarono a prendere dalla forca  ove erano sospesi  dai becchini, e furono sepolti  nella stessa chiesa di Santa Maria ove furono sepolti  vestiti interamente come furono spiccati.

Ad un’attenta lettura queste scarne annotazioni  hanno fornito dei particolari di fondamentale importanza.

Innanzitutto, è stato possibile stabilire che Eleonora nel 1799 avesse in vita  solo due fratelli, Michele e Giuseppe; di quest’ultimo, sempre dai Registri della Congregazione dei Bianchi, si sono accertati l’arresto e la condanna a morte prevista per il 26 ottobre dello stesso anno, e fortunatamente non eseguita.

Per quel che concerne Michele, maggiore dell’esercito, egli morì ottantenne, lasciando in vita solo una ragazza nubile di nome Eleonora, come la celebre zia.

Ad Eleonora non fu concesso il privilegio (riservato solo ai nobili) della decapitazione, nonostante fosse marchesa.

Arrivò bendata al patibolo con quella stessa fermezza di spirito con cui aveva affrontato la vita. Secondo le disposizioni date, il suo corpo sarebbe dovuto rimanere un solo giorno sulla forca, tuttavia, la Cronaca dei  Bianchi e quella di Diomede Marinelli concordano nel riportare  che, subito dopo le esecuzioni, sopravvenne un forte temporale estivo interpretato dalla folla superstiziosa come un castigo divino: la pioggia torrenziale si mescolò al sangue dei martiri e inondò tutta la piazza.

I cadaveri di Eleonora e degli altri patrioti giustiziati in quel giorno (i Piatti, padre e figlio, e Vincenzo Lupo) furono frettolosamente rimossi e sepolti nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli, prossima al patibolo, anziché essere portati fino a quella di S. Caterina al Mercato, un po’ più distante. La scelta della chiesa avvenne, dunque, solo per ragioni pratiche e non altro.

Da una pianta topografica del tempo, l’unica chiesa che rechi una tale intitolazione e sia prossima alla piazza del Mercato era quella di S. Maria di Costantinopoli nel complesso religioso di Sant’Eligio Della  chiesa di S. Maria di Costantinopoli ubicata nel Fondaco della Corona, al vico Campane a Santo Eligio, presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli, esiste ancora qualche documento dal quale é stato possibile stabilire come nel 1836 essa fosse definita angusta ed esaurita, per poi sparire del tutto dalle mappe topografiche  di metà Ottocento.

D’altra parte, proprio nel 1836, il complesso religioso di S. Eligio risultava aver subito mutamenti per l’abbattimento di alcuni edifici ad esso appartenenti.

La notizia è riportata anche nel testo di Carlo Celano Notizie del bello e del curioso della città di Napoli, ripubblicato con degli aggiornamenti nel 1859 a cura di Gian Battista Chiarini: Nel 1836 il pio luogo  fu di nuovo restaurato, a cura dell’arch. Orazio Angelini.

Il risanamento edilizio operato nel quartiere Mercato a partire dal 1886 finì col trasformare l’intera zona, inghiottendo vicoli e fondachi nella costruzione dell’attuale Corso  Umberto I. Successivamente, i bombardamenti della seconda guerra mondiale hanno determinato la definitiva modificazione urbanistica dell’area.

Ciononostante, proprio sul  lato sinistro della chiesa di S. Eligio, quello che dà su piazza Mercato, è stata posta una colonna di marmo che fa da supporto ad un’edicola. con un crocifisso; essa ricorda  il punto preciso dove sono  avvenute centinaia e centinaia di esecuzioni

Ma come può una chiesa sparire senza lasciare traccia? Dove sono finiti i resti di Eleonora e di tutti coloro che in quel luogo erano stati seppelliti?

Tra le ipotesi c’è quella della traslazione dei defunti dalle chiese soppresse al nuovo cimitero di Poggioreale; tuttavia, nel Registro Generale delle Congreghe del 1840, custodito presso l’Archivio Storico del cimitero di Poggioreale di Napoli, non vi è traccia di una congrega intitolata a S. Maria di Costantinopoli.

Le prime congreghe sorte nel cimitero di Poggioreale intorno al 1836 (lo stesso anno in cui sono avvenuti i restauri dell’architetto Orazio Angelini nel complesso religioso di S. Eligio) erano state ubicate tutte all’interno del chiostro monumentale e riportavano lo stesso di nome del quartiere da cui erano state trasferite in seguito alle nuove disposizioni relative alle Terre Sante emanate durante il decennio francese (1806-1815) e poi riprese da Ferdinando II nel 1836.

Il chiostro  rappresenta un raro esempio di architettura claustrale, realizzata secondo il gusto neoclassico e ed è circondato da numerose cappelle gentilizie collocate sotto un portico che disegna un rettangolo dalle ampie dimensioni.

Cento colonne di travertino in stile dorico conferiscono al sito un aspetto molto suggestivo. Realizzato in epoca successiva al decennio francese e completato da Ferdinando II nel 1836, esso ospitava le salme di nobili e di membri delle confraternite e delle congreghe religiose.

Al centro del chiostro, imponente e misteriosa, campeggia una statua marmorea, che assumerà un ruolo fondamentale ai fini di questa ricerca: La Religione dello scultore napoletano Tito Angelini.

La statua rappresenta una Madonna posta su di un  piedistallo con un’aureola a raggiera; sul lato destro essa regge una croce mentre nella mano sinistra leva la palma della Gloria.

Ci sono quattro angeli inginocchiati ai suoi piedi, tutti con lo sguardo rivolto verso il basso: il primo sulla destra ha le braccia incrociate sul petto ed un fiore tra le mani,  quello alle sue spalle ha una mano sul cuore e nell’altra tiene una ghirlanda; sulla sinistra è inginocchiato un terzo angelo dall’espressione assorta in preghiera mentre alle spalle siede l’unico messaggero, privo di ali.

Pare che queste siano andate distrutte in seguito al disinnesco di una bomba che, però, non provocò ulteriori danni, né al chiostro, tanto meno alla statua.

Con il braccio destro il quarto angelo regge uno scudo crociato, mentre nella mano sinistra tiene una spada, alla cui estremità dell’impugnatura vi è  la testa alata di un putto.

Dei quattro lati del piedistallo centrale dove è posta la Madonna, su due di essi sono incisi degli epitaffi:

"Ferdinando II Borbonio regnante, senatus populus que neapolitanus, quo jura Piorum Manium sanatoria in Christi tutela forent. Sepolcretum A.D. MDCCCXXXVI ed Ecce Ego Iesuchristi religio, apeniam in sono tubae sepulcra vestra, ut dormientes in polvere, excientur in vitam aeternam, palmam gloriae, sub crucis signo recepturi".

Sul lato anteriore  si trova il bassorilievo di un angelo che spicca il volo, mentre sul posteriore lo stemma dei Borbone.

Le cappelle riservate che si affacciano sul chiostro monumentale sono quasi tutte intitolate alle congreghe di quartiere curate dai religiosi appartenenti all’ordine dei Bianchi della Giustizia, o alle tante famiglie blasonate del tempo, come i Caracciolo, i Ruffo, i Pignatelli.

Ubicata al N. 22, esiste anche quella dei Pimentel Fonseca, intitolata a CLEMENTE FONSECA anno 1849.

Attraverso la massiccia porta, sovrastata da una grata nella parte superiore, a malapena si riesce a leggere una lapide: Clemente Fonseca, Generale del Genio, nato il 3 agosto 1797 e morto il 6 novembre 1865. Era il  nipote di Eleonora, figlio del fratello Giuseppe.

Gli Atti ottocenteschi relativi alla cappella sono custoditi presso l’Archivio del cimitero di Poggioreale e sono  collocati nel fascicolo 39, incartamento 14.

Il titolo di marchese risulta più volte nei documenti relativi alle  traslazioni di cadaveri avvenute nel primo Ottocento (1843 e il  1848) dalla congrega di S. Maria delle Grazie a Toledo alla cappella di famiglia.

Si tratta dei resti di Ferdinando e Giulio Fonseca, rispettivamente zio e cugino di Eleonora, coloro che si erano trasferiti da Roma, assieme alla sua famiglia, a Napoli e con i quali aveva convissuto durante gli anni dell’adolescenza.

È probabile che la data di erezione della cappella non sia corretta, dal momento che quei cadaveri risultano già essere stati traslati anteriormente al 1849.

La traslazione dei resti di parenti contemporanei e diretti potrebbe far supporre che la stessa Eleonora abbia trovato lì sepoltura; considerata, però, la feroce censura borbonica di quegli anni,  il passaggio deve essere avvenuto in gran segreto, senza che se ne facesse menzione scritta.

Tra i documenti della cappella gentilizia ritornano a più riprese i nomi di famiglia, tuttavia, per quanto attiene a tutta la documentazione ottocentesca, traspare il timore politico dovuto certo alla vicenda della celebre antenata, bandita anche nella memoria.

Solo dopo il 1860, con l’unificazione dell’Italia e gli studi commemorativi del primo centenario,  i parenti dovettero sentirsi più liberi dal timore persecutorio abbattutosi su di essi in epoca borbonica.

Questo è  provato da un documento del 1920, in cui è  possibile trovare  l’unico riferimento al cognome intero con titolo nobiliare annesso, Marchese de Fonseca  Pimentel (evidenziato in rosso). La cronologia non lascia pensare ad un controllo politico, quanto alla mano di uno storico, con molta probabilità quella di Benedetto Croce. Questa, che per adesso è data come una supposizione, troverà forse in seguito un suo fondamento.

L’interno della cappella Fonseca, tuttora adibita ad accogliere i defunti di famiglia, è quello tipico delle cappelle gentilizie ottocentesche.

Nel tetro ipogeo, a cui si accede scendendo per una minuscola scala posta dietro l’altare, esistono numerose cellette, piccoli siti creati per i resti dei bambini o di coloro dei quali erano rimasti solo mucchietti di ossa. Alcune risultano vuote, altre chiuse da lapidi illeggibili.

Tra le nicchie più antiche poste sui quattro lati dell’ipogeo, proprio di fronte a quella di Ferdinando e Giulio Fonseca, ne esiste una diversa dalle altre sulla cui lapide è stato posto il bassorilievo di un uomo. Si tratta della tomba di Antonio Fonseca, nato il  4 luglio 1859 e morto il  23 marzo 1897 e di sua moglie Eleonora, della quale però non esistono date di riferimento né sulla lapide, né agli atti archiviati.

Chi è questa misteriosa Eleonora ricordata su una tomba di cent’anni dopo? E’ stato forse posto quel bassorilievo a custodire un  secolare segreto di famiglia? Un nome che richiama alla "nostra" Eleonora?

Uscendo nel chiostro, ecco stagliarsi imponente la statua di Tito Angelini. Tutti e quattro gli angeli guardano verso il basso, intenti a pregare sul primo grande ipogeo comunale situato proprio nell’area verde del quadrato monumentale.

Ma è la  posizione assunta della palma della Gloria tra le mani della Madonna che sembra voler indicare un punto preciso alla destra del chiostro, e non solo.

L’angelo scolpito in bassorilievo sul lato anteriore del piedistallo  spicca  il volo verso destra, ed anche il messaggero  con le braccia incrociate sul petto, ha tra le mani un fiore che punta a destra  e con esso una parte dell’indice. Il punto indicato è proprio quello dove è situata la cappella gentilizia di Clemente  Fonseca.

Negli artisti del XVIII e XIX secolo è facile rinvenire un certo gusto per l’esoterico, il mistero, la storia e le leggende. Anche la statua di Angelini sembra custodire in sé un suo segreto.

Frequentando la corte, Eleonora doveva aver conosciuto parecchi nobili e cortigiani, tra cui forse lo stesso Costanzo Angelini (1760-1853), pittore e ritrattista della corte borbonica e padre di Tito (1806-1878), autore della statua La Religione, realizzata nel 1845.

Tito deve aver ereditato dal padre e dal suo tempo un’impronta storica notevole per quel che concerne la rivoluzione del ’99. Aveva trascorso la sua prima giovinezza durante il decennio francese, poi tornarono i Borbone e le loro oppressioni.

L’artista, come tanti,  visse quei momenti con grande inquietudine,  scolpendo nel proprio cuore il sacrificio dei martiri della libertà. In quegli anni anche le opere d’arte erano bandite e censurate per il preciso intento dei Borbone  di cancellare dalla memoria dei posteri  i sei mesi della Repubblica del 1799  ed i patrioti che per lei avevano sacrificato la vita.

I ritratti, come i documenti andarono dispersi, altri furono tenuti nascosti dalle famiglie dei patrioti uccisi, dai loro amici e dai collezionisti, ed alcuni  vennero alla luce solo con l’unificazione dell’Italia e le celebrazioni del primo centenario promosse da Spinazzola, allora sovrintendente del museo di San Martino, e dagli  storici Croce, d’Ayala, di Giacomo e Ceci.

Il cimitero di Poggioreale fu reso funzionale a partire dal 1836, ma Tito Angelini lavorò  alla statua de La Religione  fino al  1845, proprio nel periodo durante il quale erano avvenute le traslazioni delle salme di Cesare e Ferdinando Fonseca e in incognito,  anche quella di Eleonora. Probabilmente fu informato della traslazione da S. Maria di Costantinopoli dal parente architetto  Orazio Angelini, che aveva eseguito i lavori di restauro del complesso religioso di S. Eligio nel 1836.

Fu allora che, pur se messo a tacere dalla censura borbonica,  Tito  Angelini pensò di suggellarne il segreto  nella sua opera, dando un preciso indirizzo della cappella di famiglia attraverso quei particolari che indicano tutti la destra del chiostro.

Gli angeli guardano verso il prato, l’ossario,  dove riposano i resti mortali probabilmente anche degli altri martiri del 1799. Un messaggio forse troppo chiaro ed anche molto suggestivo.

Lo scultore avrebbe voluto ricordare Eleonora e gli altri martiri liberamente, ma durante gli anni della restaurazione fu costretto ad usare un linguaggio simbolico. Solo dopo l’Unità d’Italia poté esprimersi senza censure, divenendo il più rigoroso interprete di quel sacrificio rivoluzionario, tanto che la strada antistante Castel Sant’Elmo, il sacrario dei martiri della libertà, porta il suo nome.

I quattro bassorilievi, da lui realizzati negli anni successivi al 1860,  raffiguranti gli ultimi momenti di vita dei protagonisti della Rivoluzione del 1799, rappresentano la più grande opera scultorea di carattere celebrativo-risorgimentale di quel periodo e la prova del sentimento che mosse Angelini nel ’45 a celare nella sua opera il segreto della tomba di Eleonora.

Essi pervennero al Museo di San Martino agli inizi del Novecento, come dono dei Lambiase Sanseverino di Sandonato, e sono attualmente  esposti nella Sala 51 dello stesso  Museo, la famosa Sala del ’99.

Nei quattro bassorilievi: Esecuzione di Domenico Cirillo, Mario Pagano, Ignazio Ciaja, Giorgio Pigliacelli; Suicidio del capitano Velasco; Esecuzione di Ettore Carafa; Esecuzione di Eleonora Fonseca Pimentel e  Gennaro Serra di Cassano, eseguiti in gesso patinato color terracotta, con una resa bozzettistica, l'autore  coglie il momento eroico in cui i fieri rivoluzionari affrontano il patibolo o vanno incontro volontariamente alla morte; in una contingenza storica costituita da forti passioni politiche, venne fissato l'attimo più significativo, carico di valore morale, che riveste così un pregno carattere esemplare.

Come  Angelini volle  suggellare il momento della morte ed  il segreto della  tomba  di Eleonora nelle sue opere, così il suo giovane e prediletto discepolo Giuseppe Boschetto (Napoli 1841-1918) ne immortalò  il passaggio dalla prima sepoltura in un famoso dipinto del 1868, La Pimentel condotta la patibolo.

Vestita di nero, con un crocifisso tra le mani, Eleonora viene ritratta con volto mesto, rassegnato, scortata dalle guardie, dai fratelli della Congregazione dei Bianchi e da un corteo di  lazzari, mentre si avvia al patibolo percorrendo proprio la strada antistante la chiesa di S. Eligio.

Pur ritraendo di questa solo una parte del portale, alla pari di quella del maestro,  è  chiaro l’intento simbolico. Eleonora  fu seppellita nel complesso religioso di S. Eligio e all’incirca quarant’anni dopo i suoi resti furono traslati nella cappella gentilizia situata nuovo cimitero di Poggioreale.

Da allora nessuno ha mai violato un gran segreto di famiglia, nemmeno Croce.Il ciclo dei bassorilievi dell’Angelini era già noto al nostro filosofo, tanto  che ne aveva pubblicato uno, e non a caso quello relativo all’esecuzione di  Eleonora,  sul frontespizio con cui si apriva l’Albo Storico.

Questo lascia supporre che Croce fosse anche a conoscenza del mistero  suggellato nelle opere dello scultore napoletano e che quella sottolineatura in rosso tra i titoli della cappella gentilizia del 1920, apportata al nome per intero, sia opera sua.

Tra l’altro, Croce aveva avuto modo di conoscere anche alcuni discendenti di Eleonora e, pertanto, deve essere stato informato su molti particolari inediti relativi non solo alla vita, ma anche agli anni successivi alla morte.

E’ probabile che gli stessi abbiano chiesto al Croce di non svelare il temuto segreto di famiglia e di tenerlo seppellito nella polvere dei secoli. Ciononostante, anch’egli ha lasciato un’arcana traccia.

Forse a quel tempo non era giunto ancora il momento di svelarlo.

 

 


[Abstract tratto da “La Penna e La Spada” di Antonella Orefice, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici - Arte Tipografica Editrice, Napoli 2009]

Fonti archivistiche e Bibliografiche

Archivio Storico Diocesano di Napoli, Registri dei Bianchi della Giustizia, Scrivano Calà, Vol.240.

Archivio Storico Diocesano di Napoli, Registri dei Bianchi della Giustizia, Scrivano Minutolo, Vol.241.

Archivio Storico Diocesano di Napoli, Fondo Arcivescovi, Sez. Filangieri, fascicolo 107 n.28.

Archivio Cimitero di Poggioreale di Napoli , Titoli di Cappelle gentilizie, Fascicolo 39, Incartamento 14.

AA.VV.,  Memorie storiche della Repubblica Napoletana del 1799.

L.Conforti, Napoli nel 1799, Critica e documenti inediti, Napoli 1889.

C.Celano, Notizie del bello e del curioso della città di Napoli, Con aggiunzioni de’ più notabili miglioramenti posteriori fino al presente, a cura di G.B. Chiarini, 1856, Napoli 1972.