Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giovanni Andrea Serrao, il martirio per la libertà

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Giovanni Andrea Serrao nacque a Castel Monardo nel 1731. I suoi primi studi si svolsero nella cittadina natia ma ben presto si trasferì a Roma, sotto spinta dei genitori, al fine di compiere l’ascesa sociale ed uscire dall’isolamento culturale del Sud. Qui  il Serrao entrò con il fratello Elia nell’Oratorio di San Girolamo della Carità. Dopo nove anni fu consacrato sacerdote, nel 1755. La sua formazione filosofica, giuridica e teologica avvenne presso la Scuola di Catalano. Proprio grazie a quest’ultimo e ai maestri Bottari e Foggiani, animatori del circolo culturale dell’Archetto, si convertì al Giansenismo.

Grazie ai suoi maestri, Serrao si volse a forti auspici riformatori, legati al mito delle origine della Chiesa e della purezza dell’antichità cristiana. Dopo l’apertura di numerose biblioteche private di gran prestigio, poté accedere alla nota Biblioteca privata del Cardinale Passionei, ricca di manoscritti originali e di opere sacre considerate un “arsenale di letteratura antigesuitica”.

Serrao, dunque, si formò in un contesto ostile alla Compagnia di Gesù e aderì alla lotta per l’affermazione della dottrina agostiniana, ossia una dottrina purificata dalle incrostazioni sovrappostasi nella storia. La cultura per luì, tuttavia, restò subordinata sempre ad una visione religiosa della vita e la ragione era vista come un mezzo per liberare la sacra dottrina dalle deformazioni operate dalla scolastica controriformistica.

Forte influenza sul Serrao, l’ebbe il Gravina, un giurista calabrese che rivendicava la “sana dottrina”derivante dal Vangelo e dagli antichi padri. Da questi riprese la battaglia contro la “casistica” , la morale dei gesuiti basata sulla filosofia del “probabilismo”. Sia Gravina che Serrao, erano certi che essa allontanasse dalla rettitudine e conducesse al lassismo, considerata grave colpa proprio dei gesuiti.

Il Gravina rifiutava i metodi educativi medievali e gesuitici ma abbracciava quelli classici , recuperando l’esperienza umanistico-rinascimentale. La fiducia nell’educazione era fiducia nella ragione . Inoltre,  egli auspicava il ricorso alla filologia per risalire  alle origini delle istituzioni civili e religiose e riscoprirle nella loro forma primitiva, priva di contaminazioni. Lo stesso discorso valeva per il Diritto. Gravina accusava i giuristi di essersi allontanati fatalmente dalla vera fonte della giurisprudenza che erano, a suo dire, le Sacre Scritture.

Si può dire che il pensiero graviniano influenzò profondamente tutta il percorso formativo di Serrao. Sotto il profilo politico-sociale, ad esempio, Serrao ereditò dal Gravina il concetto secondo il quale la legge è centrale e l’attività legislativa è la condizione necessaria per l’esistenza e la sopravvivenza della società civile. Ovviamente, è necessario che i giureconsulti agiscano secondo la  logica del diritto e, di qui, si apriva il grande dibattito sulla retorica forense. Serrao affermava con forza la necessità della logica del diritto e si accanì fortemente contro gli avvocati, considerati dei ciarlatani che ricorrevano spesso a beceri cavilli per bloccare i procedimenti. Essi erano accusati di non conoscere la differenza fra la teoria e la pratica giuridica, ossia di non sapere applicare dei principi generali nella pratica, cadendo così nella casistica e nel lassismo.

Da Roma, Serrao decise di trasferirsi a Tropea dove collaborò col Vescovo Felice de Pan in compiti educativi. Ben presto si rese conto che la cittadina calabrese non poteva dare risposte alle sue aspirazioni e fu attirato a Napoli dal possesso di un jus patronatus rimasto vacante. Ottenutolo, decise di restare nella capitale per riscattare le condizioni di isolamento culturale ed arretratezza sociale della provincia dalla quale proveniva.

A Napoli, Serrao non riuscì ad inserirsi nel clero diocesano. Gli furono affidate due cappellanie locali e, grazie alle sue rendite, poté evitare qualsiasi rapporto con l’arcivescovo. Entrò ben presto nella schiera degli ecclesiastici regalisti, paladini delle riforme. Se i suoi rapporti con la curia napoletana furono quasi inesistenti, quelli con la corte furono molto promettenti. Ad introdurlo nell’ambiente della corte partenopea fu Nicola Fraggianni, incaricato della gestione dei rapporti fra stato e chiesa. Serrao lo dipinse come il “campione del regalismo radicale”, seppur privo delle sue forti aspirazioni riformatrici, e lo sostenne a lungo nelle sue battaglie filo regaliste, finendo per diventarne uno dei protagonisti.

La contrapposizione era fra i difensori del potere temporale della chiesa e la falange antivaticana, anticuriale, che si poggiava su basi giurisdizionalisti che e regalistiche. Le grandi influenze sul Serrao di Genovesi, Cirillo e Pagano, si facevano sentire sempre più.  Il ritorno auspicato alle origini del cristianesimo, accomunava  regalisti e riformatori religiosi, seppure con intenti diversi.

Certamente una fortissima influenza sul Serrao l’ebbe Genovesi, seppur con delle discordanze intellettuali di una certa importanza. Con il Genovesi, Serrao condivise il regalismo nell’avversione alla Scolastica, alla manomorta ecclesiastica e nell’antigesuitismo: elementi che costituivano il comune denominatore dell’anticurialismo. Genovesi, però, non condivideva ad esempio il richiamo continuo del Serrao all’antica tradizione dei Padri della Chiesa ed in special modo a Sant’ Agostino, in quanto sosteneva che la ragione dovesse guidare l’uomo sia nell’interpretazione delle Scritture che in campo morale.

Il Genovesi, insomma, riteneva possibile una conciliazione fra cristianesimo ed illuminismo, mentre Serrao intendeva fare dell’insegnamento patristico un terreno solido sul quale camminare e rifondare la fede.

L’antigesuitismo di Serrao ben presto fu premiato, quando proprio il Genovesi propose il suo nome come professore di teologia morale presso la scuola regia del Salvatore. Quando iniziò la cacciata della Compagna di Gesù, Serrao si rivelò uno dei loro principali detrattori. I gesuiti erano considerati dei nemici stranieri che, sotto la guida del sovrano romano, quindi straniero, formavano i ceti dirigenti a proprio uso e consumo. I docenti gesuiti erano considerati i principali responsabili del rilassamento dei costumi ed era necessario sostituirli con nuovi docenti regi, laici.

La strutture delle scuole regie si mantenne sempre piuttosto arcaica e non fu assecondata l’aspirazione del Genovesi ad un’impronta più spiccatamente illuminista, tuttavia il ruolo di Serrao fu importante per ridare slancio alle nuove forze sociali. Esaltò la meritocrazia e invitò i giovani allo studio, unico strumento di ascesa sociale. Fu poi nominato segretario dell’ “Accademia reale delle Scienze e delle Lettere” che aveva il compito di organizzare la ricerca ai fini delle scelte politiche.

Il 7 giugno 1782, Serrao ricevette la nomina regia a vescovo di Potenza, non senza opposizioni e polemiche con Roma. L’anno dopo fu direttamente coinvolto nel terribile terremoto verificatosi in Calabria che mise a nudo tutta l’arretratezza della regione e del sud. Fu un motivo di riflessione per molti intellettuali meridionali e indusse molti a passare dalla teoria all’azione, con proposte concrete di riforme. La città devastata di Castelmonardo fu ricostruita in un luogo più adatto e rinominata Nuova Philadelphia, su ispirazione della città americana. Nuova Philadelphia doveva essere la “terra promessa” per le libere intelligenze e fu evidente una forte influenza delle teoria di Franklin, amico di Gaetano Filangieri, che collaborò con il “rivoluzionario” americano alla stesura del Codice delle Leggi delle Province Unite.

Filangieri aveva conosciuto il Serrao probabilmente attraverso logge massoniche, anche se ciò non è provato. Per la ricostruzione di Nuova Philadelphia, fu usata la pianta della città americana, a croce greca, urbanisticamente razionale, con particolare cura all’altezza degli edifici e con l’ubicazione dei quartieri per ceto sociale. Per l’impegno nella ricostruzione, la famiglia di Serrao ricevette la nomina a patriziato. Grazie alle rendite accumulate in oltre trenta anni di vita ecclesiastica, il vescovo calabrese realizzò un congruo patrimonio. Egli cercò di perpetuare questa condizione di benessere con l’istituzione del fedecommesso. Inserì fra i beni del fedecommesso anche l’ampia biblioteca di cui tutti i suoi familiari potevano usufruire liberamente. La religione e la cultura erano per lui gli unici strumenti di ascesa sociale.

Con la diffusione, nel 1793, della cospirazione giacobina contro la corte, tutti i regalisti furono guardati con sospetto. Serrao benedisse l’albero della libertà, simbolo della rivoluzione, come consacrazione del nuovo governo repubblicano. Quest’atto indusse a considerarlo un giacobino e fu molto enfatizzato dai repubblicani.

Dopo la proclamazione del Repubblica Napoletana del 1799, il vescovo calabrese aderì alla Repubblica  sia perché la sua ispirazione a San Paolo lo induceva all’obbedienza all’autorità costituita, sia per le sue aspirazioni riformatrici che potevano essere ben rappresentate dal nuovo governo repubblicano. Il re Ferdinando IV, come ben sappiamo, avviò una violenta repressione affidata alle bande sanfediste del cardinale Ruffo che, ben presto, si tradusse in una violenta guerra civile. Le masse oppresse si sentirono sempre più lontane dagli ideali repubblicani mentre i proprietari terrieri si vedevano minacciati dalle aspirazioni borghesi. Andrea Serrao era dunque considerato una minaccia per tutta la sua formazione culturale e la sua aperta adesione alla Repubblica.

Il 24 febbraio 1799, ignoti entrarono a casa sua, forse sanfedisti o uomini della guardia civica, e lo uccisero barbaramente. Fu decapitato e la sua testa fissata su un’alta picca ed esposta in pubblica piazza per quattro giorni.  Un velo di omertà cadde sulla sua morte. La sua uccisione ricadde come un crimine collettivo su tutta la comunità. A Napoli il suo omicidio fu celebrato come “martirio per la libertà” sul Monitore Napoletano, pubblicando l’epigrafe di Forgesa Davanzati. A Parigi si celebrò Serrao nell’Assemblea Nazionale per bocca dell’abate Gregoire, che sostenne che l’omicidio dell’amico faceva indietreggiare di un secolo la sapienza umana.

 

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