Don Puglisi e la lotta alla mafia alla “luce del sole”
Era nato a Brancaccio, Palermo, il 15 settembre 1937, da una famiglia modesta. Entrò in seminario nel 1953 e fu ordinato sacerdote nel 1960. Fin dall'inizio, si dedicò a problemi sociali e ai giovani dei quartieri più emarginati. Nel 1970 divenne parroco a Godrano, un paese di meno di mille abitanti, alla periferia di Palermo, teatro di lotte sanguinose dal 1959 con faide che lasciavano per terra decine di vittime e condanne per le famiglie a odio reciproco. Vi rimase per otto anni riuscendo a pacificare due famiglie mafiose in lotta attraverso la sua opera di evangelizzazione e mediazione con l’aiuto degli amici di Presenza del Vangelo che, settimanalmente, si recavano a Godrano per animare i cenacoli familiari. Nacque l’esperienza delle Settimane del Vangelo, incontri fruttuosi di riflessione e di preghiera a partire dalla Parola di Dio che diventava, così, cartina al tornasole per verificare la vita quotidiana. Nel settembre 1990 fu nominato parroco di San Gaetano a Brancaccio, un quartiere alla periferia sud di Palermo. Nel dopoguerra, affidati alla speculazione edilizia, erano stati edificati nuclei residenziali costituiti da enormi edifici con servizi poco efficienti. Col disinteresse delle istituzioni, approfittando dell'isolamento di certe zone e delle condizioni di povertà diffuse, i clan mafiosi, riuscirono a radicarsi nel territorio con faide interne a Cosa Nostra e al clan dei Corleonesi. Il quartiere divenne area di scontro nella guerra di mafia che ha imperversò a Palermo tra gli anni '70 e '80. La nomina di Don Puglisi al Brancaccio fu caldeggiata da Salvatore Pappalardo, Arcivescovo di Palermo che ne conosceva l’impegno precedente. Pappalardo era stato il primo ministro della Chiesa a riconoscere esplicitamente l'esistenza della criminalità organizzata. Fecero scalpore le frasi pronunciate il 4 settembre 1982, durante l'omelia per il funerale del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, dello storico romano Tito Livio: Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur (mentre a Roma si discute Sagunto viene espugnata) perchè furono considerate un duro atto d'accusa contro l’assenza dello Stato. Don Puglisi trovò la Chiesa di San Gaetano piccola e poco frequentata, il quartiere in stato di totale degrado, nelle strade mucchi di spazzatura, i sottosuoli degli edifici condominiali usati come sedi di riunioni malavitose e consumo di droga, pizzo e violenza diffusa, il potere mafioso onnipresente. Consapevole dell’impossibilità di cambiare il cuore degli adulti, il sacerdote decise di dedicarsi al recupero dei più giovani, soprattutto bambini e adolescenti che non frequentavano la scuola ed erano impiegati nella manovalanza di Cosa Nostra. Sostenuto dal diacono Gregorio Porcaro, da suor Carolina Gavazzo e da pochi altri volontari, dette vita al Centro “Padre Nostro”, cercando di offrire ai giovani delle attività ricreative e sportive, in modo da sottrarli alla strada e all'influenza mafiosa. Si concentrò sulla loro educazione, sui valori della legalità, dell'onestà e del rispetto. Contrappose alla cultura mafiosa la parola ferma, la denuncia coraggiosa, il lavoro di maturazione delle coscienze sostenuto da una vita privata povera e trasparente. Fondò il Comitato inter-condominiale come rappresentanza della gente onesta del quartiere che si era trovata a convivere con la criminalità, raccogliendo più di mille firme per far udire ai politici la voce dei più umili. L’unica risposta che ottennero fu l’invito ad “avere pazienza”. Puglisi fu paziente fino alla strage di Capaci nel maggio 1992. Con dolore lui e suor Carolina e assisterono al carosello festante dei ragazzi in motorino che gridavano: «Abbiamo vinto!» e con lo spray scrivevano sui muri “W la mafia”. Il sacerdote prese la parola e lo fece dall’altare, con i paramenti indosso: «Con queste vittime innocenti, un giudice, sua moglie, la sua scorta, hanno voluto colpire tutti gli uomini di buona volontà, per metterli a tacere! Per intimidirli!... ma è proprio questo il momento di reagire! È proprio questo il momento di alzare la testa! Il solo modo di onorare la memoria di chi ha dato la vita per la nostra libertà, è quello di chiedere, di pretendere, di ottenere, quello che da sempre promesso non ci viene mai dato! […] Noi, di Brancaccio, di pazienza non ne abbiamo più!». Portò in TV la denuncia riguardo agli scantinati di via Hazon, deposito clandestino di esplosivi e droga, rifiutò le offerte di denaro da parte di famiglie mafiose, modificò le abitudini consolidate per la festa del Santo patrono portando la processione nei vicoli più miseri e non tra le ville, si oppose alla raccolta di soldi per i fuochi d’artificio e per pagare il cantante imparentato con una famiglia potente. Fu ascoltato dalla gente e pertanto iniziarono le intimidazioni: il furgone fu dato alle fiamme davanti alla Chiesa, fu minacciato il diacono Gregorio, ma don Pino tornò a parlare celebrando la messa in piazza, sul sagrato semideserto: «Mi voglio rivolgere ai così detti ‘uomini d’onore’: chi usa la violenza non è un uomo, è una bestia! Io vi conosco, uomini d’onore, so dove vi nascondete. Molti di voi sono stati battezzati in questa chiesa… Ebbene, io vi dico: voi che siete abituati ad agire nell’ombra, se siete ancora uomini, fatevi vedere alla luce del sole! Le porte di questa chiesa sono aperte per voi: io vi accolgo. Se siete ancora uomini, fatevi avanti! Incontriamoci. In piazza. Parliamoci». E i mafiosi non si fecero attendere. Fu ucciso la sera del 15 settembre1993, mentre era alla porta di casa. I responsabili vennero identificati, arrestati e condannati; uno dei due, quello che sparò, era Salvatore Grigoli, uno dei killer più spietati di Cosa nostra. Divenne collaboratore di giustizia e confessò 46 omicidi, implicato nelle stragi di Firenze, negli attentati di Roma, in quello ai Parioli ai danni di Maurizio Costanzo. In un’intervista rilasciata nel giugno 2012 raccontò la morte del sacerdote che al momento dello sparo sorrise al suo assassino. «Era tranquillo. Che era il giorno del suo compleanno lo scoprimmo dopo. Spatuzza (l’altro componente del commando, ndr) gli tolse il borsello e gli disse: “Padre, questa è una rapina”. Lui rispose: “Me l’aspettavo”. Lo disse con un sorriso. Un sorriso che mi è rimasto impresso. Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che c’era una specie di luce in quel sorriso. Un sorriso che mi aveva dato un impulso immediato. Non me lo so spiegare: io già ne avevo uccisiparecchi, però non avevo mai provato nulla del genere. Me lo ricordo sempre quel sorriso, anche se faccio fatica persino a tenermi impressi i volti, le facce dei miei parenti. Quella sera cominciai a pensarci, si era smosso qualcosa». Sulla vita di Don Puglisi sono stati prodotti vari documentari: Roberto Faenza nel 2004 ha realizzato il film, Alla Luce del sole, interpretato da Luca Zingaretti e numerose sono le pubblicazioni che lo ricordano. Nel maggio 2013 è stato proclamato beato al Foro Italico di Palermo, davanti a una folla di circa centomila fedeli. È stato la prima vittima di mafia riconosciuta come martire della Chiesa. Nel 2025 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Quirinale, ha consegnato ai fratelli, Francesco e Gaetano, la medaglia d'oro al valor civile alla memoria.
Alberto Dolara |
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Giuseppe Puglisi è stato un sacerdote italiano che ha combattuto la mafia attraverso l'educazione e il servizio sociale, prima di essere assassinato da Cosa Nostra il giorno del suo 56° compleanno.