Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L'atomica sociale: come il neoliberismo ha devastato il Giappone più delle bombe nucleari

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Il Giappone contemporaneo si trova ad affrontare una crisi sociale silenziosa ma devastante che va ben oltre il semplice disagio giovanile, configurandosi come il sintomo di una trasformazione sociale profonda e irreversibile.

Migliaia di giovani giapponesi hanno scelto di "trincerarsi" nelle proprie abitazioni, rifiutando il lavoro, lo studio e ogni forma di interazione sociale.

Questi individui, conosciuti come Hikikomori, rappresentano una delle manifestazioni più drammatiche di quello che può essere definito un lento suicidio collettivo della società giapponese.

Teruo Miyanishi, psichiatra e professore emerito dell'Università di Wakayama, fornisce una definizione clinica precisa del fenomeno: <<Se una persona si isola dalla società e smette di entrare in contatto con altre persone per un periodo superiore ai sei mesi, viene considerata un Hikikomori>>, termine che significa "trincerarsi". I criteri diagnostici includono l'isolamento sociale completo per almeno sei mesi consecutivi, il rifiuto di frequentare scuola o lavoro, la permanenza quasi esclusiva nella propria abitazione, l'evitamento di relazioni interpersonali significative e la dipendenza economica dai familiari.

 

Nell'ultimo anno più di cento nuovi Hikikomori sono stati accolti dal centro di supporto “vida libre” del professor Miyanishi, mentre secondo le stime del governo, in Giappone ci sarebbero, nel 2020, tra 600 e 700 famiglie con adolescenti Hikikomori. Le statistiche ufficiali rivelano però una preoccupante incoerenza che suggerisce un tentativo sistematico di minimizzazione del problema.

Il governo giapponese nel luglio 2010 aveva stimato circa 700.000 persone con un'età media di 31 anni, per poi rivedere drasticamente al ribasso le cifre a 236.000 casi appena due mesi dopo, a settembre dello stesso anno.

Questa discrepanza rappresenta quello che può definirsi negazionismo allo stato puro, la tendenza delle autorità a sottostimare fenomeni sociali che mettono in discussione il modello di sviluppo nazionale e la sua presunta efficacia.

Le radici del fenomeno Hikikomori affondano nelle trasformazioni sociali iniziate con l'era Meiji, quando il Giappone abbracciò un processo di modernizzazione accelerata che iniziò a mettere sotto pressione le strutture familiari tradizionali basate sul sistema industrializzazione forzata.

Un esempio concreto di come queste trasformazioni influenzarono le identità individuali è rappresentato da Harukichi Shimoi, il samurai Napoletano, nato in una famiglia di samurai caduti in disgrazia; la sua vita testimonia lo sconvolgimento delle tradizioni samurai e l’apertura verso nuovi modelli culturali e sociali, anticipando tensioni tra individuo e norme sociali che, in forme diverse, sarebbero emerse anche nelle generazioni successive.

Il fermento della società giapponese di quegli anni è ben descritto nell’opera “la Coda di Minosse” dell’Ing. Felice Trojani, Mursia 1963, con la quale egli documenta il grande interesse dell’impero nei confronti della tecnologia occidentale, in particolar modo verso Scuola Napoletana di Costruzioni e Ricerca Aeronautica capitanata da Umberto Nobile.  

Nel periodo post-bellico, la necessità di ricostruzione nazionale creò le premesse per una completa ridefinizione dei rapporti familiari e sociali, preparando il terreno per le trasformazioni più radicali del "miracolo economico" che sarebbe seguito. Durante l'epoca della forte crescita economica degli anni 1960-1990, si verificò una vera e propria scissione sistemica del nucleo familiare che avrebbe avuto conseguenze devastanti sulle generazioni successive.

I padri di famiglia si immersero completamente nel proprio lavoro senza alcuna partecipazione nella vita familiare, il più delle volte trasferendosi da soli in altre città per esigenze lavorative attraverso il sistema del tanshin funin. Questo fenomeno comportò la perdita completa di contatto con la famiglia originaria fino ad azzerarlo, sostituendo di fatto la famiglia biologica con la "famiglia-azienda".

Le madri restarono praticamente sole e fecero tutto il possibile per l'educazione dei figli, diventando quello che gli antropologi definiscono il tipo di kyoiku mama, madre ossessionata dal percorso di studio.

Questo modo brutale di crescere i figli, caratterizzato da iperprotezione e orientamento esclusivo al successo accademico, divenne molto popolare nella società giapponese, creando una generazione di individui incapaci di gestire autonomamente le sfide dell'età adulta e portando a una vera e propria scissione del nucleo famigliare.

Con lo scoppio della bolla speculativa degli anni '90 e l'inizio della cosiddetta "ushiwareta junen” (decade perduta), le contraddizioni accumulate durante il boom economico si materializzarono sotto forma di nuove patologie sociali, di cui gli Hikikomori rappresentano la manifestazione più estrema.

Dopo due o tre anni di confinamento, tutti gli amici e compagni di scuola di un Hikikomori, cioè tutte quelle persone che di solito la società definisce "normali", si diplomano, si laureano, trovano un lavoro, si integrano nella società, mentre l'Hikikomori le uniche cose che accumula in questi anni sono irritazione e frustrazione, vedendo crescere esponenzialmente il divario tra la propria condizione e quella dei coetanei. Qualche volta tenta di uscire da questa situazione ma ha paura di non essere accettato dal mondo, che la gente lo veda strano.

E quando lo fa si sente osservato, giudicato e torna a rinchiudersi, uscendo sempre di meno, rinunciando anche ad andare alla bottega sotto casa. Sta chiuso nella propria stanzetta senza fare niente, non gli manca cibo e in qualche forma comunica con il mondo esterno attraverso internet e questo lo aiuta ad ammazzare il tempo, scrivendo in chat, guardando film, giocando.

Questa connessione digitale diventa l'unico mezzo per mantenere l'illusione di una vita sociale senza i rischi dell'interazione reale, ma finisce per perpetuare e rafforzare l'isolamento fisico, creando una dipendenza che sostituisce definitivamente i rapporti umani autentici.

Così passano anche dieci anni e in un batter d'occhio i suoi genitori sono invecchiati, pensionati che non lavorano più, che si ammalano e poi tutto giunge ad un triste finale. Si stima che quelli di età compresa tra 40 e 64 anni sono più di 610.000, ha documentato uno studio pubblicato nel 2019, adulti rimasti senza genitori e senza nessun tipo di tutela sociale.Questo è lo scenario tipico generato da un isolamento continuo, ma alcune volte lo scenario può diventare ancora più drammatico.

Un esempio reale è il caso di Hideaki Kumazawa, ex alto funzionario del Ministero dell’Agricoltura giapponese, che nel 2019 uccise il figlio di 44 anni, che viveva come hikikomori, temendo che potesse causare danni alla società.

Questo episodio dimostra come l’isolamento sociale, oltre a provocare sofferenza personale, possa degenerare in tragedia familiare, sottolineando la vulnerabilità delle famiglie chiamate a gestire individui profondamente isolati e incapaci di reinserirsi nella vita quotidiana.

Il fenomeno degli Hikikomori viene studiato da più di quaranta anni ed è considerato peculiare della cultura giapponese moderna, anche se sindromi con simili caratteristiche sono segnalate in altri paesi come il movimento "tang ping" in Cina, i NEETs in Europa e la "boomerang generation" negli Stati Uniti.

Tuttavia, l'intensità e la durata dell'isolamento degli Hikikomori rimangono uniche nel panorama internazionale. Uno studio recente evidenzia le differenze con le società europee, le quali danno un'importanza primordiale all'individuo, contrariamente alla cultura giapponese, la quale si focalizza su regole e codici comuni, dove l'individuo viene valutato in base alla sua capacità di adeguarsi alle regole della vita in gruppo.

La cultura giapponese si basa prevalentemente sul concetto di "vergogna" piuttosto che su quello occidentale di "colpa", il che significa che il disagio non deriva dalla violazione di principi morali interni, ma dalla percezione di non essere all'altezza delle aspettative sociali esterne.

Il sistema scolastico giapponese, caratterizzato dalla pressione estrema degli esami di ammissione conosciuti come juken jigoku o "inferno degli esami", crea una competizione spietata che molti giovani non riescono a sostenere, contribuendo significativamente alla genesi del fenomeno Hikikomori.

Molti sono gli studi sulle possibili cause all'origine di questa sindrome: violenze in famiglia, bullismo, abusi sessuali, violenze psicologiche, anaffettività, malattie ereditarie, ma nessuno di questi studi ha condotto ad una conclusione certa.

Tra migliaia di casi presi in esame parecchi soggetti hanno subito ogni sorta di angheria, ma tanti in altri non viene rilevata nessuna traccia convincente di maltrattamenti o eventi scatenanti specifici.     

Gli esperti giapponesi brancolano ancora nel buio della psiche umana, senza mai mettere in discussione il sistema di sviluppo economico e sociale adottato nel dopoguerra, senza mai analizzare i numerosi tabù della parte "sana" e produttiva della popolazione che rifiuta categoricamente qualsiasi contatto con questi "indegni", al punto di negarne addirittura l'esistenza se dovesse capitargli la disgrazia di averne uno in famiglia o tra gli "amici/colleghi".

Per i “cosiddetti sani”, soprattutto per quei salaryman, quelli a rischio karoshi (morte per troppo lavoro), la solitudine è diventato un aspetto naturale della vita in Giappone, le relazioni vanno avanti fin quando restano superficiali e frivole; è impossibile confidare ad un "amico" un proprio disagio o un'inquietudine interiore senza essere immediatamente etichettati ed allontanati.

Ogni individuo deve necessariamente cavarsela da solo, ingurgitando i propri problemi in solitudine. Pertanto, più l'Hikikomori affonda, più la società "sana" lo aiuta ad affondare, creando un circolo vizioso che perpetua e aggrava il fenomeno.

Ci sono anche sporadici tentativi di riabilitazione, ad esempio le "sorelle” in affitto pagati da genitori che, incapaci di relazionarsi con i figli, preferiscono pagare estranei per mantenere un minimo di contatto, oppure sedute di terapia di gruppo, lavoretti saltuari di gruppo, ma i risultati sono avvilenti: solo 1 su 3 riesce ad uscire dal "pozzo", ma dopo un po' di tempo, una volta lasciato solo, ci ricade sistematicamente, dimostrando l'inadeguatezza di approcci che non affrontano le cause strutturali del problema. Gli Hikikomori non sono solo giovani, ma anche anziani che, nel paese delle etichette, sono definiti Kodokushi ossia "morte solitaria".

Percorsi di vita diversi ma stessa sorte per le vittime sacrificali del liberismo giapponese per il quale il liberaldemocratico Yasuhiro Nakasone è stato un formidabile Ninja filostatunitense.

Il popolo dei Kodokushi è composto principalmente da maschi, protagonisti della crescita economica senza limiti, sul cui altare hanno sacrificato il proprio nucleo famigliare o non hanno voluto nemmeno crearne uno. Una volta finita la "missione" per sopraggiunti limiti di età, arriva l'oblio.

Di questi nuovi eremiti, rifiutati dalla società giapponese dove tutto è codificato e in cui regna l'indifferenza ai problemi individuali, circa trentamila esseri umani all'anno si lasciano morire nell'anonimato, nel silenzio di un miniappartamento di periferia diventato tomba.

Tomba di cui avviene la macabra scoperta solo in seguito alla segnalazione dei vicini che si lamentano del nauseante gas generato dal corpo in decomposizione. Il fenomeno delle morti solitarie è talmente diffuso che genera lavoro ad oltre 7000 imprese di pulizia specializzate in decontaminazione e sgombero degli appartamenti. Gli oggetti del defunto se non vengono reclamati da qualche erede diventano proprietà della ditta di pulizie e sono "riciclati" nel mercato dell'usato.

Reclami che non avvengono quasi mai o per mancanza di eredi o perché in caso di reclamo gli eredi sarebbero chiamati a pagare gli alti costi di decontaminazione e sgombero, che solitamente ricadono sul proprietario dell'immobile, in cambio di oggetti quasi sempre privi di valore.

Questa economia dell'isolamento rappresenta un paradosso del capitalismo contemporaneo, che trasforma persino il ritiro sociale e la morte in opportunità di profitto.

Il fenomeno Hikikomori-Kodokushi comporta costi economici diretti e indiretti enormi: perdita di produttività con centinaia di migliaia di individui in età lavorativa rimossi dal mercato del lavoro, costi assistenziali per le spese sanitarie e sociali per il mantenimento degli isolati, e paradossalmente la nascita di nuovi settori economici come le industrie dell'intrattenimento domestico, i servizi di consegna a domicilio e le imprese di decontaminazione.

Il fenomeno sta inoltre contribuendo significativamente al declino demografico giapponese attraverso il calo della natalità, l'invecchiamento accelerato della popolazione e la perdita di capitale umano. Da una prospettiva sociologica, il fenomeno può essere interpretato attraverso la teoria dell'anomia di Émile Durkheim, secondo cui la rapida trasformazione sociale ha creato un vuoto normativo, lasciando gli individui privi di punti di riferimento chiari per orientare il proprio comportamento.

Yukio Mishima, scrittore, drammaturgo, poeta e, da giovane, pilota di F104, aveva profeticamente documentato questa trasformazione del popolo giapponese nella sua epopea letteraria, anticipando con lucidità visionaria la disgregazione dell'identità nazionale che avrebbe portato alle patologie sociali contemporanee.

Mishima aveva compreso come l'occidentalizzazione forzata e l'abbandono dei valori tradizionali avrebbero condotto il Giappone verso una crisi esistenziale collettiva, manifestando attraverso la sua opera e il suo gesto estremo del seppuku nel 1970 la consapevolezza di un popolo destinato a perdere la propria anima nell'illusione del progresso economico. Zygmunt Bauman aveva previsto come la "modernità liquida" avrebbe prodotto individui incapaci di costruire legami stabili e duraturi, costretti a vivere in un presente perpetuo privo di progettualità futura, condizione che descrive perfettamente la realtà degli Hikikomori.

Marc Augé aveva teorizzato l'emergere dei "non-luoghi" della modernità: spazi privi di identità, relazioni e storia, e la stanzetta dell'Hikikomori rappresenta l'evoluzione estrema di questo concetto, diventando un non-luogo esistenziale assoluto.

Migliaia di adolescenti, giovani adulti, anziani, ad un certo punto della loro vita non riescono più a adeguarsi alle regole della società giapponese. Sentendosi inutili e senza più un briciolo di autostima, si vergognano profondamente, divorati dal senso di colpa per non riuscire più a compiere il proprio "dovere".

Venendo meno la capacità progettuale e l'idea di un possibile futuro, perdono definitivamente il senso della realtà vivendo un presente progressivamente pesante e angoscioso, con la certezza che chiedere aiuto a qualcuno non è un'opzione praticabile. Infine, con la speranza di trovar sollievo, sprofondano volontariamente nella "trincea della non vita" diventando un Hikikomori, un atroce e lento Harakiri alternativo, in attesa del colpo ferale che idealmente ricomporrà, mediante il Kodokushi, quel nucleo famigliare scisso dalla frenesia liberista che ha condotto un intero popolo sull'orlo dell'estinzione.

Il fenomeno rappresenta molto più di una patologia sociale: è il sintomo di una trasformazione antropologica irreversibile che dimostra come, dove le bombe atomiche fallirono nella distruzione della società giapponese, il neoliberismo sfrenato stia riuscendo attraverso un processo più lento del flash nucleare ma altrettanto devastante di autodistruzione sociale.

La tragedia degli Hikikomori non è solo giapponese ma è un monito universale sui costi umani di un modello neoliberista che sacrifica la coesione sociale al profitto. Il Giappone appare come un laboratorio estremo, ma in Italia e in altre società avanzate la situazione non è meno grave, dinamiche analoghe sono già in fase avanzata.

Dietro le mura domestiche e nei luoghi di lavoro si annidano abusi taciuti, stupri, violenze, bullismo, che sempre più spesso sfociano in riduzione in schiavitù, omicidi, suicidi.

Ogni sofferenza individuale rimane invisibile, soffocata dalla cultura delle etichette che trasforma il silenzio in complicità, l’indifferenza in partecipazione, e l’isolamento in tragedia. In questo vuoto, la vita diventa un teatro di atrocità silenziose, e chi subisce resta intrappolato in una realtà che nessuno osa nominare.

 

Luigi Speciale

 

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