Analogie tra Trump e Putin
Iniziamo da una constatazione di fondo. Tanto il tycoon newyorkese quanto lo zar moscovita concepiscono la politica estera come difesa stretta degli interessi del proprio Paese. E tale difesa si basa essenzialmente sulla capacità di usare la forza militare contro gli avversari. Putin è tornato a questa concezione tradizionale della politica estera russa dopo che i tentativi di riforma di Gorbaciov (verso il quale non ha mai nascosto di nutrire disistima, o addirittura disprezzo) avevano distrutto la vecchia Unione Sovietica. Per l’attuale capo del Cremlino si è trattato di una vera e propria tragedia, cui egli stesso si propose di rimediare dopo la parentesi infausta di Eltsin. Vladimir Putin ha una concezione quasi “sacrale” della Russia, che a suo parere include pienamente anche i “piccoli russi” (gli ucraini) e i “russi bianchi” (i bielorussi). Nessuna pressione lo convincerà mai che le cose stiano diversamente, e neppure comprende l’ostilità europea verso i suoi disegni. Donald Trump, dal canto suo, abbina alla forza militare un interesse ancora più importante, vale a dire la difesa degli interessi economici e commerciali Usa. Sono questi che lo guidano sempre, anche quando sembra che abbia altro in mente. Analogamente a Putin, che cerca di ricostruire la “Grande Russia”, il tycoon vede l’intero continente americano, inclusa ovviamente l’America Latina, quale pertinenza esclusiva degli Stati Uniti. Un bel ritorno, insomma, alla celebre dottrina elaborata da James Monroe nel 1823, che esaltava la supremazia degli Usa nell’intero continente americano.
Si spiega così il proposito (pur difficile da attuare) di acquisire il controllo della strategica Groenlandia, nonché quello di unificare Usa e Canada (o parti di esso). Più facile, forse, il progetto di riacquistare il controllo del Canale di Panama, colpevolmente trascurato dai suoi predecessori, concedendo quindi alla Cina l’opportunità di controllare l’America centrale. A ben guardare, né Trump né Putin hanno grandi obiezioni verso le mire di un avversario che è più teorico che reale. Il presidente Usa ha detto in modo chiaro che non considera “suo” il conflitto ucraino ribadendo che, se fosse dipeso da lui, esso non sarebbe mai iniziato. Putin, dal canto suo, potrebbe nutrire dubbi soltanto sulla Groenlandia visti gli interessi russi nell’area, ma un qualche accordo tra i due si potrà sempre trovare. Notevole anche la comunanza di vedute sull’Unione Europea. Entrambi la considerano una creatura artificiale, divisa al proprio interno, con cui è difficile parlare poiché non si capisce che comanda. E agli occhi del presidente Usa e di quello russo questo è un difetto davvero imperdonabile. Credo che, a questo punto, il titolo del mio articolo risulti più giustificato di quanto non apparisse a prima vista. Siamo noi europei ad avere le maggiori difficoltà, soprattutto da quando Donald Trump ha fatto capire che la Ue non lo interessa più di tanto. Resta solo da comprendere come si posizionerà nei confronti della Cina che finora, a parte aiuti per nulla consistenti a Mosca, è rimasta a guardare attendendo che il primo cadavere passi sulla riva del fiume.
Michele Marsonet |
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