Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittime innocenti. Giugno 1963-2019

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Il 5 giugno del 1989 a Portici venne ucciso l’agente di custodia Agostino Battaglia, 35 anni.

Giovanissimo si arruolò nel Corpo degli Agenti di Custodia. Alla fine dell’addestramento, fu assegnato alla Casa Circondariale di Napoli. Agostino venne ucciso da una serie di colpi di arma da fuoco sparati da tre killer mentre si trovava all’interno di un negozio per acquistare della merce a Portici.

L’omicidio si consumò nell’ambito delle faide tra gruppi opposti della camorra che, anche all’interno del carcere partenopeo, si contendevano il dominio del territorio.

Gli inquirenti ritennero fin da subito che i colpevoli dell’omicidio siano legati al clan Giuliano di Forcella. Vennero accusati Luigi Giuliano, ritenuto il mandante, e Gaetano Guida, accusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio. Il processo di 1° grado si è concluso nel 1987 con l’assoluzione dei due accusati per insufficienza di prove.

Agostino Battagli è stato riconosciuto “Vittima del Dovere” ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell’Interno.

Il 6 giugno del 2008 a Nocera Inferiore (SA) fu ucciso il Tenente dei Carabinieri di 33 anni Marco Pittoni.

Lavorava a Pagani. Il giorno in cui fu ucciso era in servizio in borghese con un collega, quando l’ufficio postale di Pagani fu preso d’assalto da due rapinatori mentre un terzo lo aspettava fuori con un’auto. Pittoni non estrasse l’arma di servizio perché l’ufficio postale era gremito di clienti ma riuscì ad intimare l’alt ai banditi, i quali, per facilitare la fuga, spararono due colpi, uno dei quali colpì il tenente alla gola.

Questi fu trasportato all’ospedale di Nocera Inferiore, dove morì nel corso di un delicato intervento.

A sparare i colpi mortali fu Carmine Maresca, appena sedicenne, figlio di Luigi, esponente di spicco del clan Gionta. Tutti gli autori della rapina furono individuali e arrestati nel giro di pochi giorni. L'ultimo ad essere arrestato, il 12 giugno, fu il giovane Maresca, che si trovava a Sabaudia, dove la famiglia lo aveva fatto trasferire per la latitanza. Un anno prima, a soli 15 anni, Maresca aveva già partecipato a un altro omicidio: un'esecuzione camorristica commessa per conto dei Gionta.

Il 14 maggio 2009 al tenente Marco Pittoni fu conferita postuma la Medaglia d'oro al valor militare. 

Il 7 giugno 2016 a Napoli venne ucciso il 19enne Ciro Colonna. Non sapeva niente di camorra e il suo sogno era andare all’estero e trovare “un lavoro onesto” con il suo diploma di ragioniere. Quel pomeriggio una serie di sfortunate coincidenze hanno legato il suo nome a quello di Raffaele Cepparulo, all’epoca dei fatti piccolo boss del rione Sanità ucciso in un circolo ricreativo di Ponticelli, dove si trovava anche il povero Ciro.

Arrivarono i due killer e spararono all’impazzata uccidendo chi dovevano uccidere (Raffaele Cepparulo, ndr) e gridando agli altri di rimanere immobili. Quando andarono via scapparono tutti, Ciro si mosse e gli caddero gli occhiali da vista: si chinò per raccoglierli e il killer sparò. Non lo prese a un braccio o a un fianco. No, quel proiettile gli entrò in pieno petto uccidendolo.

Nel mese di dicembre del 2020 la quinta sezione della Corte di Assise di Appello ha confermato la sentenza di primo grado per 6 ergastoli, assolto uno degli imputati e ridotto la pena dall'ergastolo a 20 anni per una delle imputate. Il 5 maggio 2022 la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi e confermato le condanne stabilite in Appello.

L' 8 giugno del 2019 a Napoli venne ucciso il tabaccaio Ulderico Esposito, 51 anni. Fu ucciso a pugni in metro a Napoli, a Chiaiano. L’uomo fu raggiunto da due pugni al volto e morì all’ospedale Cardarelli dopo quasi un mese di agonia.

Ulderico, dopo aver chiuso il suo negozio, insieme alla moglie, si incamminò verso l'uscita per ritornare a casa, quando venne insultato dall’uomo che spesso stazionava nei pressi della metropolitana. Ulderico si girò e l'uomo gli sferrò un pugno che lo fece cascare a terra. Poi, sovrastandolo con il suo corpo, gli sferrò un altro pugno che ne compromise la vita.

Nel mese di maggio 2020 viene condannato ad otto anni di carcere l'assassino di Ulderico; una condanna decisa dal giudice per l'udienza preliminare di Napoli Rosamaria De Lellis, che viene accolta con amarezza dalla moglie di Ulderico, Daniela Manzi.

L'uomo è stato condannato e giudicato con rito abbreviato. L'accusa è di omicidio preterintenzionale con l'aggravante dei futili motivi. Nell'ottobre del 2020 la prima sezione della Corte di Appello di Napoli conferma la condanna a otto anni di reclusione emessa in primo grado. 

Il 9 giugno del 2000 a Napoli moriva, dopo diversi giorni di agonia, Maurizio Cernacchiaro, 38 anni.

Il tentativo dell’Alleanza di Secondigliano di espandere la sua egemonia su tutto il territorio metropolitano rompe i delicati equilibri tra clan, provocando una ferocissima faida che vede dieci morti in dodici giorni. Il 28 maggio 2000, nell’agguato contro Ciro Velardi, affiliato dei Sarno, viene colpito per errore un passante del rione don Guanella, Maurizio,38 anni, incensurato. Viene ricoverato nell’ospedale San Giovanni Bosco, ma morirà qualche giorno dopo.

Il 10 giugno del 1984 a Marano (NA) venne ucciso Salvatore Squillace, imbianchino di 28 anni.

Fu ucciso da proiettili vaganti, dopo l’uccisione del boss di Marano Ciro Nuvoletta. 

Gli assassini di Nuvoletta, per inquinare le possibili piste, spararono all’impazzata e poi fuggirono. Intercettati da una macchina con all’interno persone sconosciute, furono coinvolti in un conflitto a fuoco nel quale il povero Squillace, incensurato, che stava parlando con un amico al bar, restò vittima. Venne soccorso e trasportato all’Ospedale Cardarelli di Napoli. Le sue condizioni erano gravissime perché una pallottola gli spappolò il cervello. Dopo un importante intervento chirurgico, morì.

L’11 giugno 1997 a Napoli venne uccisa Silvia Ruotolo, 39 anni. 

Stava tornando nella sua casa di salita Arenella, dopo aver preso a scuola il figlio Francesco di 5 anni. Alessandra, sua figlia di 10 anni, li guardava dal balcone. Improvvisamente qualcuno sparò all’impazzata per uccidere Salvatore Raimondi, affiliato al clan Cimmino, avversario del clan Alfieri. Quaranta proiettili volarono dappertutto ferendo un ragazzo e uccidendo sul colpo Silvia.

Gli inquirenti iniziarono subito le indagini e il 24 luglio venne arrestato, mentre era in vacanza al mare in Calabria, Rosario Privato, uno dei killer di Silvia. Rosario, dopo aver ascoltato le parole di Lorenzo, marito di Silvia, si pentì e la sua collaborazione con la polizia risultò poi decisiva per l'individuazione del gruppo di fuoco. Si trattava del boss Giovanni Alfano, Vincenzo Cacace, Mario Cerbone e Raffaele Rescigno, che era l'autista del commando.

Nel 2011 la Corte d' Assise d' Appello ha confermato la condanna al carcere a vita per l'ultimo degli imputati per il quale il procedimento era ancora aperto, mentre sono diventate definitive le altre quattro condanne, compreso l’ergastolo a un boss del Vomero, riconosciuto quale mandante della spedizione di morte sfociata nel tragico omicidio.

Il 13 giugno del 1983 a Palermo vennero uccisi Mario D’Aleo, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici. Capitano e carabinieri di 29, 31 e 27 anni.

Il capitano Mario D’Aleo e i carabinieri Giuseppe Bommarito e Pietro Morici morirono nell’agguato mafioso di Via Scobar. Il ventinovenne capitano, coadiuvato dai suoi uomini, conduceva indagini sul territorio, senza risparmiare nessuno mettendo in pericolo la latitanza di boss del calibro di Riina e Brusca. Furono proprio queste le motivazioni che portarono Cosa Nostra a decretare la condanna a morte dei tre carabinieri.

Il capitano D’Aleo riprese in mano documenti e faldoni per continuare il lavoro del predecessore. Iniziò a collegare informazioni e a ricostruire trame. Indagava su appalti, riciclaggio, traffico di eroina. Cominciò a dare fastidio alle cosche. Mise anche le mani sulla famiglia Brusca ̶ il boss Bernardo, allora latitante, la moglie Antonina, i figli Emanuele e Giovanni ̶ padrona dei traffici criminali della zona. Interrogato in caserma, Giovanni Brusca minacciò con arroganza l’ufficiale: «Attento, capitano, stia molto attento». Un ulteriore avvertimento, che si sommò a quelli giunti nei mesi precedenti.  La condanna di Mario era così già stata firmata.

Il 14 giugno del 1975 a Milano venne uccisa Luisa Fantasia, 32 anni.  È considerata la prima vittima trasversale della mafia.

Uccisa da due esponenti della #ndrangheta, Abramo Leone, all’epoca minorenne, e Biagio Jaquinta, di 22 anni, nel suo appartamento nel quartiere di Baggio. Davanti alla figlia di 18 mesi la seviziarono, la violentarono e alla fine la sgozzarono. La sua unica colpa: essere la moglie del brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, Antonio Mascione, il quale, come agente sotto copertura dell’arma, stava gestendo una partita di 600 kg di droga nell’hinterland di Saronno. Dopo due giorni Antonio Mascione arrestò i due omicidi, uno dei quali minorenne. Unico caso in Italia dove un minore è stato punito alla massima pena di reclusione: ergastolo. Dopo circa un anno uno dei suoi aguzzini fu ucciso nel carcere.

Il 18 giugno del 2002 venne uccisa a San Severo (FG) la piccola Stella Costa. Aveva soltanto 12 anni.

Era in strada con la madre per buttare la spazzatura, stava salutando un’amichetta, insieme a tanta altra gente: era quasi mezzanotte, ma era una di quelle serate estive molto calde. Aveva appena attraversato la strada per salutare un’amica prima di tornare a casa e all’improvviso viene travolta dai proiettili volanti di una sparatoria.

Stella rimase uccisa per sbaglio a causa di un proiettile vagante. A sparare fu Giuseppe Anastasio alias “U’ Iatton”, per questioni sentimentali; il vero obiettivo dell’agguato, un giovane all’epoca 25enne, “rivale in amore” del killer, scampò alla morte. Anastasio è stato a sua volta ammazzato nel 2017 in via Taranto, sempre a San Severo. Ignoti sia il movente che l’assassino.

Il 19 giugno 1991 a Capaci (PA) vennero uccisi gli imprenditori edili di Cervia Giuseppe e Salvatore Sceusa. Il loro omicidio fu ordinato da Nino Giuffrè, il boss di Caccamo. Nel periodo precedente al loro assassinio i due fratelli avevano deciso di fare un salto di qualità nel mondo degli appalti: si erano aggiudicati, senza però “l’autorizzazione” della cosca di San Mauro Castelverde, dei lavori sull’autostrada Palermo-Messina. Un tale affronto costò loro la vita. Giuseppe e Salvatore furono consegnati ai loro carnefici da Giuseppe Biondillo, il sindaco di Cerda. Egli li accompagnò in una villetta di Carini e li lasciò insieme al boia. Subito dopo si allontanò e si affrettò a crearsi un alibi. I due fratelli vennero strangolati e, successivamente, sciolti nell’acido.

Il 19 giugno 1997 a Palermo venne ucciso il costruttore edile Angelo Bruno (in foto), 70 anni. Incerte sono le cause del suo omicidio ma si ritiene che fosse stato vittima di tentativi di estorsione. I familiari avevano notato in lui, negli ultimi tempi, una certa preoccupazione, certo anche dovuta alla crisi dell’edilizia in quel periodo, ma Angelo Bruno non si confidò mai neppure con loro.

Il 21 giugno 1993 a Roma scomparve Domenico Nicitra di 11 anni.

Il piccolo, figlio del boss Salvatore detto “Toto’ “, uno degli ultimi capi della banda della Magliana, fu rapito nella tarda mattinata del 21 giugno del 1993 insieme allo zio Francesco, il fratello del padre, anche lui pregiudicato. Lo zio lo stava accompagnando in motorino, a comprare un giocattolo e da quel momento si persero le loro notizie.

l corpo di Domenico non è stato mai ritrovato. Due le ipotesi sulla sua morte: una vendetta trasversale o la sua eliminazione per evitare potessero sopravvivere testimoni dell’omicidio dello zio.

Non diventa un simbolo come altri bambini vittime della criminalità e la vicenda viene progressivamente dimenticata quasi come se fosse lui a dover scontare le colpe dei suoi familiari.

Il 23 giugno 1967 a Locri (RC) venne ucciso Carmelo Siciliano, commerciante di 39 anni, nella strage al mercato di Locri.

Fu una strage ad opera della ‘ndrangheta durante una guerra tra i clan Cordì e Cataldo.

Morirono 3 persone e due restano gravemente ferite. “Carmelo Siciliano, 39 anni, deve la sua morte ad una pura coincidenza. Il poveretto infatti si trovava al mercato per acquistare frutta ed ortaggi per conto di alcuni albergatori del centro termale di Antonimina e stava caricando alcuni cesti su un camion, quando è stato raggiunto al petto e alla testa da quattro proiettili di mitra.” (dal La Stampa del 23.06.1967).

All’improvviso nella piazza irruppe un’automobile bianca con a bordo quattro persone. Fermò la sua corsa a pochi passi da Carmelo Siciliano e in un attimo scesero tre uomini, armati di mitra a canna corta, fucile caricato a lupara e pistola. Uno di loro indossava una tuta da meccanico e aveva un fazzoletto che gli copriva il viso. Si rivolse ai due uomini che erano accanto a Carmelo, gli ordinò di guardarsi. Poi sparò due colpi, a cui ne seguirono altri. Le persone presenti nella piazza, tra cui molti bambini, provarono a fuggire alla ricerca di un riparo. Carmelo venne centrato al petto e alla testa da quattro proiettili di mitra, l’altro uomo che gli stava vicino viene ferito gravemente. Gli autori di quella strage avevano scaricato una quarantina di colpi senza alcuno scrupolo, senza badare a niente e a nessuno.

Il 24 giugno del 2014 a Caivano venne uccisa la piccola Fortuna Loffredo, 6 anni. Vittima innocente della criminalità, di un ambiente malato, violentata e poi gettata dal balcone del Parco Verde.

L’autopsia confermò abusi sessuali ripetuti. Per il suo omicidio e per gli abusi su altre bambine è stato condannato all'ergastolo un uomo del quartiere. La compagna, madre di una delle bambine molestate, ha avuto 10 anni per concorso in abusi. È la stessa donna indagata anche per la morte del figlio Antonio, caduto un anno prima dallo stesso palazzo.

Le lesioni interne causate dagli abusi “cronici” su Fortuna, erano “visibili ad occhio nudo”. Così Giuseppe Saggese, ginecologo consulente della Procura, ha dichiarato durante la quarta udienza. Fortuna Loffredo aveva 6 anni ed è stata uccisa il 24 giugno 2014 al Parco Verde di Caivano. Dall’esame dell’apparato anale della bimba, è bastato poco per capire che si trattava di abusi reiterati nel tempo o da almeno un anno e proprio a causa di queste violenze, Fortuna soffriva di incontinenza fecale. Fortuna è stata crudelmente assassinata, buttata dall’ultimo piano di una palazzina perché si era opposta all’ennesima violenza sessuale.

Fortuna, detta Chicca, cercava amore e ascolto. I suoi disegni lo gridavano in silenzio.

Il 26 giugno 1885 a Casapesenna (CE) venne ucciso Mario Diana, 49 anni. Era un contadino, come tradizione familiare, che si dette poi all’industria. Il suo rigore lo preservò da ogni tipo di compromessi facendogli conquistare la stima e la fiducia di tutti e, la decisione di rifiutare contatti con la #camorra anche se insediata in quelle terre, lo condannò a morte.

Mario si trovava fuori al bar "Oreste", quando due uomini gli si avvicinarono e, dopo averlo chiamato per nome, gli sparano contro. L'uomo venne raggiunto da un primo colpo di fucile al torace: poi uno dei due killer gli si avvicinò e gli sparò un colpo alla tempia. Mario morì sul colpo lasciano la moglie Antonietta e 4 figli;

Il 26 giugno 2012, a Casoria (NA) venne ucciso Andrea Nollino, barista di 42 anni. È vittima innocente della camorra. Ucciso fuori dal suo bar per uno scambio di persona.

27 giugno 1980. Una data che in Italia evoca dolore, memoria e riflessione: il DC-9 dell’Itavia, in volo da Bologna a Palermo, precipitava nel Mar Tirreno con 81 persone a bordo. Una tragedia mai del tutto chiarita, conosciuta come la strage di Ustica, che ancora oggi attende verità e giustizia.

Solo otto anni dopo, il 27 giugno 1988, un altro dramma colpiva Napoli: il crollo di Palazzo D’Amato portava via la vita a sei persone innocenti nel cuore della città.

In questa stessa data, ogni anno, si ricordano anche le vittime innocenti delle mafie, con iniziative in tutta Italia per onorare la loro memoria e riaffermare il valore della legalità.

Oggi più che mai, è importante non dimenticare.

Le vittime chiedono memoria. Il futuro pretende responsabilità.

Il 29 giugno del 1982 a Termini Imerese (PA) venne ucciso il vice-brigadiere Antonino Burrafato, 49 anni.

Era in servizio presso la Casa Circondariale dei Cavallacci di Termini Imerese. Lavorava presso l’ufficio matricola del penitenziario dove c’era nel 1982 il boss Leoluca Bagarella, al quale era stato impedito di andare a Palermo, dove era appena mancato suo padre. Burrafato impedì a Bagarella di recarsi al funerale del padre. Il boss giurò di vendicarsi e, il 29 giugno, mentre il vice-brigadiere si stava apprestando ad andare al lavoro, un commando di quattro uomini lo uccise usando esclusivamente armi corte. Il vice-brigadiere morì pochi attimi dopo all’ospedale.

Nel luglio del 1996 il collaboratore di giustizia Salvatore Cocuzza si autoaccusa dell’omicidio e dichiara di essere stato uno dei componenti del commando di fuoco che aveva ucciso Burrafato, chiamando in correità Giuseppe Lucchese, Antonio Marchese e Pino Greco “Scarpuzzedda”. A decretare la morte del vicebrigadiere era stato direttamente Leoluca Bagarella, desideroso di vendetta per lo “sgarbo” ricevuto dall’irreprensibile agente di custodia.

Cocuzza è stato condannato per questo delitto a 10 anni di carcere. La Corte di Assise di Palermo, Sezione Prima, all’udienza del 3 ottobre 2005 ha condannato all’ergastolo Marchese e Greco. I familiari si sono costituiti parte civile nel processo.

Il 30 giugno 1963 – La strage di Ciaculli, una delle pagine più tragiche della storia italiana.

A Palermo, un'Alfa Romeo Giulietta imbottita di tritolo esplose, uccidendo 7 servitori dello Stato:

4 Carabinieri, 2 militari dell’Esercito e 1 sottufficiale di Polizia.

Fu un attentato di Cosa Nostra, nel pieno della prima guerra di mafia, e segnò uno spartiacque nella lotta alla criminalità organizzata.

La reazione dello Stato fu senza precedenti: 2.000 arresti, rastrellamenti, e la nascita della prima Commissione parlamentare antimafia.

Quel giorno si capì che la mafia non era solo “folklore”: era una minaccia armata contro le istituzioni.

Non dimentichiamo i nomi di chi ha sacrificato la vita per tutti noi.

 

 

Francesco Emilio Borrelli

 

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