Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Henri-Louis Bergson e la riflessione sul risibile

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Il filosofo Henri Louis Bergson (1859-1941), premio Nobel per la letteratura (1927), visse a Parigi gli ultimi quarantuno anni del 1800 e i primi quarantuno anni del ‘900. Fu membro dell’Academie Française e rappresentante della Francia nella Società delle Nazioni.

Il saggio a cui questa riflessione fa riferimento, Le rire, del 1899, rappresenta una delle sue più importanti produzioni minori. L'analisi di questo lavoro è fondamentale per comprendere le sue opinioni sulla vita, soprattutto a proposito del ruolo dell'artista. Ogni comportamento può essere posto in relazione al riso; si ride sia per correggere ed educare, ma anche per umiliare.

Secondo l’autore il comico va ricercato in ciò che è propriamente umano e sottolinea l’importanza dell’insensibilità di fondo che accompagna il riso e l’indifferenza presente in ogni atteggiamento comico, nemico dell’emozione partecipativa.

Se ci distacchiamo dagli eventi e assumiamo un atteggiamento da spettatore indifferente, avremo un’anestesia momentanea del cuore e, rivolgendoci alla pura intelligenza, vedremo che magicamente alcuni drammi si trasformeranno in commedia: di fronte ad una caduta, lo spettatore mette da parte l’aspetto emozionale (es. il dispiacere per una eventuale slogatura del piede del soggetto) e pone in primo piano l’indifferenza per cogliere l’aspetto comico della situazione.

Il riso, però, ha bisogno di un’eco poiché il nostro riso è sempre il riso di un gruppo: è qualcosa di condiviso e partecipativo e nasconde un pensiero d’intesa, una sorta di complicità.

In effetti il riso è comunione di intenti, sinonimo di comprensione, affiatamento, e rappresenta un accordo fra le persone: ridere da soli, in sintesi, stravolge il senso originario e il fine ultimo del risibile.

 

Bergson sostiene che il personaggio comico è tale proprio perché ignora se stesso.

Il vero comico è in realtà incosciente, utilizza all’inverso l’anello di Gige, rendendosi visibile agli altri ed invisibile a se stesso.

Il comico, infatti, si manifesta quasi insensibile ai suoi motti di spirito e durante i suoi sketch è come se alzasse un muro tra sé e il pubblico. A volte, inoltre, il riso “corregge i costumi”, nel senso che ha una funzione comune di migliorare i caratteri sociali.

Bergson fa esplicito riferimento ad Arpagone. Quest’ultimo, infatti, se ci vedesse ridere della sua avarizia, cercherebbe almeno di modificare il suo atteggiamento. Il riso, quindi. ci porterebbe ad apparire come dovremmo essere ed a riflettere e correggere, almeno esteriormente, i nostri comportamenti. Sempre un po’ umiliante per colui che ne è oggetto, il riso è proprio una sorta di vessazione sociale.

Se si analizza il risibile, si evince inoltre che molte cose sono comiche di diritto, senza esserlo di fatto, poiché la loro comicità è stata assopita e quindi assorbita dall’uso continuato: un motto di spirito reiterato all’infinito, non avrà sempre lo stesso effetto sortito le prime volte.

La comicità deve apparire come mezzo per suscitare il riso e non un fine perché, confondere il mezzo con il fine è sempre deleterio. Mescolare gli strumenti con il fine ultimo potrebbe portare a perdere di vista gli intenti originari e ad annullare la spontaneità di un atto, come il riso, difficile comunque da dissimulare.

In particolare, Bergson afferma che, nel momento in cui cessiamo di essere noi stessi, diveniamo imitabili e quindi comici. Imitare qualcuno significa scoprire l’automatismo presente nei suoi atteggiamenti che riproduciamo per suscitare ilarità.

Gli atteggiamenti, i gesti e i movimenti del corpo umano sono ridicoli nell’esatta misura in cui tale corpo ci fa pensare a un semplice meccanismo.

Bergson suggerisce di trattare la società come un essere vivente: la società si maschera, la rigidità stride con l’agilità interiore della vita. Si passa da una meccanizzazione del corpo umano (prendendo in considerazione le situazioni singolari di ciascun soggetto) ad una generale sostituzione del naturale con l’artificiale nella società (analizzando e confrontando gli atteggiamenti meccanici dei soggetti). Quando il corpo prende il sopravvento sull’anima, la forma prevale sul contenuto, il mezzo si sostituisce così al fine, si creerà un automatismo che diverrà sociale e che sarà risibile.

Il comico quindi è imitare il meccanismo puro e semplice, l’automatismo: il movimento senza la vita.

Bergson sottolinea la differenza tra spiritoso e comico e tra umorismo e ironia.

Il motto di spirito, è legato in particolar modo all’aspetto linguistico, verbale, il comico, invece, sottolinea l’importanza dell’atto divertente e di tutto ciò che comporta fisicamente.

Umorismo ed ironia sono legate strettamente all’opposizione tra reale ed ideale, tra quel che è e ciò che dovrebbe essere e sono l’uno il contrario dell’altra. L’ironia, quindi, si basa su come dovrebbe essere qualcosa e finge che quel qualcosa si manifesti proprio così.

L’umorismo, invece, si basa su come effettivamente si manifesta un qualcosa e finge che le cose dovrebbero proprio essere così come si manifestano.

Si giunge in seguito alla distinzione tra gesto e azione secondo la quale l’azione è volontaria e cosciente.

Il gesto è automatico, rappresenta un movimento o un discorso attraverso cui uno stato d’animo si manifesta, ma è esclusivamente senza scopo ed è risibile. Così, non appena, la nostra attenzione si dirigerà sul gesto e non sull’atto, saremo in piena commedia. E la commedia dipinge dei caratteri, ossia dei tipi generali e quindi si oppone alla tragedia.

Molte commedie, infatti, hanno come titolo un nome comune (L’avaro, Il giocatore ecc.), un dramma, invece, anche quando dipinge passioni e vizi che hanno un nome, li incorpora così bene nel personaggio, che i loro nomi vengono dimenticati, i loro caratteri generali si attenuano e non pensiamo più a essi ma alla persona che ne è impregnata. Per questo il titolo di un dramma non può che essere un nome proprio.

La commedia, quindi, generalizza a differenza della tragedia che individualizza. L’uomo, inoltre, è anche dotato di buon senso che nasce dallo sforzo di adattarsi all’ambiente circostante in modo incessante, cambiando idea quando cambia l’oggetto o la situazione e trascurando o considerando gli aspetti utili in una determinata circostanza, in un determinato problema di vita.

Ciò dimostra che il nostro carattere è frutto di una scelta che si rinnova incessantemente. Un’inversione del senso comune consiste nel pretendere di modellare le cose su una propria idea, e non le proprie idee sulle cose. Nel vedere ciò che si pensa e non nel pensare quel che si vede e nel non riuscire a scegliere ciò che è utile alla risoluzione di un problema o situazione di vita concreta.

Tutto ciò è comico e corrisponde ad una logica; logica sì, ma, dell’assurdo. L' assurdità di tale logica è dovuta al fatto che non si basa su rapporti di causa-effetto canonici o abbastanza prevedibili oppure su ragionamenti plausibili.

Il comico segue pedissequamente tale logica. L' assurdità comica è della stessa natura di quella dei sogni. Nei sogni, infatti, scrive Bergson, possiamo segnalare in primo luogo un certo rilassamento generale delle regole del ragionamento. Ridiamo dei ragionamenti che sappiamo essere falsi, ma che potremmo scambiare per veri se li sentissimo fare in sogno. Essi contraffanno il ragionamento vero esattamente quanto basta per ingannare uno spirito sul punto d’ addormentarsi. Si tratta ancora di logica, se si vuole, ma di una logica che manca di tono e che, proprio grazie a ciò, ci esime dal lavoro intellettuale.

Il riso, in sintesi, dal punto di vista sociale, ha il ruolo di correggere la rigidità mentale e fisica trasformandola in elasticità e di smussare gli aspetti spigolosi dei nostri comportamenti e atteggiamenti.

 

Caterina Orrico

 

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