La teoria del Rimland, scienze politiche in crisi
A differenza di Mackinder, che vedeva il controllo dell'entroterra eurasiatico (Heartland) come chiave del potere globale, Spykman riteneva decisivo dominare le coste dell'Eurasia, cioè l'arco che va dall’Europa occidentale fino all’Asia orientale passando per il Medio Oriente e l’Asia meridionale. Spykman sosteneva che «chi controlla il Rimland domina l’Eurasia, chi domina l’Eurasia controlla i destini del mondo», questa intuizione non era una semplice variazione del modello di Mackinder, ma una revisione sostanziale ovvero il potere globale non scaturisce dalla conquista delle profondità continentali, bensì dalla capacità di proiettare forza e influenza lungo le aree costiere dove si concentrano popolazione, commercio e interscambi. Il Rimland è, per Spykman, il vero teatro delle grandi contese storiche, il luogo in cui si decidono gli equilibri di potere globali. Se l’Heartland è geograficamente isolato, economicamente limitato e militarmente difficile da conquistare, il Rimland, al contrario, è denso di snodi strategici, passaggi obbligati e popolazioni eterogenee. È lì che si gioca la partita tra potenze continentali e marittime, tra chi cerca di espandere la propria influenza da terra e chi punta a contenerla dal mare.
Per questo, Spykman rovescia la massima di Mackinder: non è il centro a dominare la periferia, ma la periferia a determinare la sorte del centro. L’influenza della teoria del Rimland è stata immediata e duratura, soprattutto nella formulazione delle dottrine strategiche degli Stati Uniti durante e dopo la Guerra Fredda. Dal contenimento dell’URSS teorizzato da George F. Kennan all’espansione delle alleanze militari come la NATO e l’ANZUS, fino alla presenza capillare di basi americane lungo l’intero arco del Rimland, la proiezione della potenza statunitense si è strutturata proprio secondo le coordinate indicate da Spykman. Il Rimland non è più solo uno spazio geografico, ma una mappa operativa per il dominio globale. La strategia statunitense post-bipolare ha mantenuto intatta questa visione ed il controllo del Rimland è stato perseguito tramite guerre dirette, interventi indiretti, rivoluzioni colorate, destabilizzazioni pilotate, operazioni NATO e penetrazione economico-finanziaria. Le guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, il contenimento dell’Iran, la penetrazione militare nel Corno d’Africa e il sostegno al riarmo giapponese e alla militarizzazione del Pacifico sono tutte manifestazioni dell’applicazione dinamica del modello di Spykman. Le “nuove guerre fredde”, come quella tra Stati Uniti e Cina o tra Occidente e Russia, non sono che l’ultimo volto di questa logica pervasiva. Due casi emblematici dell’attualizzazione della teoria del Rimland sono l’Ucraina e Taiwan, il primo rappresenta la linea di faglia tra Europa e Heartland russo. Dal 2014, l’Ucraina è diventata epicentro di un confronto strutturale tra blocchi, da un lato l’espansione ad est della NATO e dell’Unione Europea, dall’altro, la reazione russa finalizzata a mantenere una zona cuscinetto attorno ai propri confini occidentali. L’invasione russa del 2022 ha cristallizzato lo scontro, ma le sue radici affondano in un lungo processo di penetrazione occidentale nello spazio post-sovietico, coerente con l’imperativo di Spykman di impedire a Mosca di consolidare il proprio controllo sull’Eurasia. Taiwan, invece, incarna la dimensione indo-pacifica della teoria del Rimland, l’isola costituisce un nodo critico della catena di contenimento marittimo della Cina; infatti, da tempo gli Stati Uniti rafforzano la cooperazione militare e commerciale con Taipei, in un’ottica di accerchiamento strategico della Repubblica Popolare. I conflitti nel Mar Cinese Meridionale, le esercitazioni congiunte tra Washington e Tokyo, il sostegno all’AUKUS e il riarmo australiano sono tutti tasselli di un dispositivo difensivo-offensivo volto a impedire che Pechino si trasformi in una potenza militare e commerciale dominante e, anche in questo caso, la teoria di Spykman non solo spiega la logica del confronto, ma la giustifica. Tuttavia, al di là della sua valenza esplicativa, la teoria del Rimland è divenuta nel tempo uno strumento ideologico al servizio della politica di potenza poiché essa offre un quadro apparentemente neutro per giustificare interventi, egemonie e guerre. Non è un caso che i think tank neoconservatori statunitensi – dal Project for the New American Century all’Heritage Foundation, fino al Council on Foreign Relations – abbiano fatto della visione del Rimland la base ideologica della loro agenda interventista. Il Rimland non è solo un teatro da controllare, ma un campo da destabilizzare costantemente per evitare la formazione di potenze regionali concorrenti. In questo senso, la teoria geopolitica viene trasformata in dispositivo ideologico tramite un lessico tecnico che legittima la conservazione dell’ordine unipolare attraverso il caos. La conseguenza ultima di questa visione è la trasformazione del conflitto armato in condizione permanente. Se l’obiettivo non è più la pace, ma il mantenimento di un’egemonia globale asimmetrica, allora la guerra non è più un mezzo, ma un fine in sé. La teoria del Rimland, nelle mani delle élite statunitensi, è quindi propedeutica a una guerra mondiale perenne, diffusa e asimmetrica. Non si tratta di una guerra convenzionale, ma di una sequenza ininterrotta di micro-conflitti, destabilizzazioni regionali, crisi ibride e guerre per procura, dislocate lungo l’intero perimetro eurasiatico. La guerra diventa modulare, intermittente ma costante, adattabile al contesto ma onnipresente nella strategia. Questo paradigma bellico non è soltanto militare, esso infatti si esprime anche attraverso le sanzioni economiche, le guerre valutarie, le campagne mediatiche, l’egemonia culturale e il dominio tecnologico. Ogni settore diventa campo di battaglia, ogni territorio un possibile fronte e la pace, in tale schema, rappresenta un pericolo perché solo nel caos è possibile riaffermare ciclicamente l’ordine imposto. Sarebbe auspicabile che gli “intellettuali” riconoscano la natura funzionale di questa teoria nella riproduzione delle disparità globali.
Per questo, comprendere la sua funzione ideologica è un compito essenziale per ogni analisi geopolitica consapevole e onesta. Nonostante la continua attualità della teoria di Spykman, essa trova, però, sempre più difficoltà a essere applicata come un modello strategico universale, specialmente nel contesto della globalizzazione e dei nuovi ambiti del potere. In primo luogo, l'analisi geostrategica tradizionale che si concentra caparbiamente sullo spazio fisico risulta riduttiva di fronte a un mondo che sempre più si definisce attraverso flussi immateriali, dal capitale finanziario globale alle reti di comunicazione elettroniche. La velocità con cui gli eventi geopolitici evolvono rende difficile una comprensione stabile delle dinamiche di potere. Le potenze contemporanee non sono più orientate esclusivamente verso l'acquisizione territoriale, ad esempio, il controllo delle infrastrutture digitali, la sovranità informatica e la capacità di influenzare i flussi economici attraverso il cyberspazio sono diventate aree cruciali in un contesto che Spykman difficilmente avrebbe potuto prevedere. Inoltre, la didattica geopolitica oggi fatica a mantenere il passo con la rapidità dei cambiamenti globali, infatti la formazione accademica, specialmente in Italia, tende a privilegiare l'analisi geografica e storica, ma non sempre è in grado di adattarsi alla crescente interdipendenza globale e alle nuove dimensioni del potere. Le crisi contemporanee vengono spesso analizzate attraverso una prospettiva ideologica che ne semplifica strumentalmente la complessità, trascurando l'analisi rigorosa dei fattori economici, sociali e tecnologici che interagiscono nei conflitti. La teoria del Rimland, pur rimanendo una pietra miliare nell'analisi geopolitica, ha bisogno di una rielaborazione profonda per restare utile nell’interpretare le dinamiche geopolitiche contemporanee. La sua applicazione nelle scuole di pensiero strategiche dovrebbe essere costantemente aggiornata, tenendo conto delle nuove forme di potere che non sono più confinabili nel solo spazio fisico, ma che si estendono a livello globale attraverso la tecnologia, la finanza e le reti di comunicazione. Le sfide del XXI secolo, infatti, non si combattono solo sui terreni militari, ma anche nei cyberspazi e sui mercati globali. In questo scenario la sempre più riluttante geopolitica tradizionale non può più atteggiarsi a verità assoluta, ma deve necessariamente evolversi integrando le nuove dimensioni del potere, per poter comprendere le dinamiche internazionali moderne in modo efficace e preciso. In sintesi, la teoria del Rimland, pur fornendo una guida fondamentale per comprendere la proiezione di potenza degli Stati Uniti nel contesto della Guerra Fredda e nel periodo post-bipolare, è oggi messa in crisi da una serie di dinamiche geopolitiche globali; la crescente ascesa di potenze come la Cina, la Russia e i Paesi del BRICS ha contribuito a definire un contesto internazionale caratterizzato da un ordine multipolare, in cui il predominio statunitense nel Rimland e il controllo delle rotte vitali del commercio mondiale non sono più considerati come un dato scontato. La Belt and Road Initiative della Cina, la creazione di un'alternativa al sistema finanziario occidentale attraverso l'introduzione di monete digitali e accordi economici tra potenze emergenti, e l'assertività della Russia in scenari di conflitto come quello ucraino e siriano, sono manifestazioni di un cambiamento che segna il tramonto della visione unipolare e la nascita di un nuovo equilibrio globale. In questo scenario, il multipolarismo rappresenta non solo un'opposizione alla supremazia statunitense, ma una riorganizzazione della distribuzione del potere globale, dove nuove alleanze e forme di competizione coesistono e si intrecciano. La teoria del Rimland, che un tempo sembrava inscrivere un dominio unipolare su spazi geostrategici cruciali, si trova ora a dover fare i conti con una molteplicità di attori globali che si contendono il controllo di rotte, comprese quelle Artiche, di risorse e tecnologie vitali per il futuro. In definitiva, la sfida posta dal multipolarismo, pur non invalidando completamente la rilevanza storica del Rimland, ne evidenzia ormai i limiti in un mondo che si sta spostando verso una gestione più complessa e diffusa del potere. La geostrategia contemporanea, pur ancora influenzata dalla lotta per il controllo del Rimland, non può più essere letta in modo lineare perché il futuro geopolitico si scrive ora anche attraverso l’interazione e il confronto tra diverse potenze, che vanno ben oltre la visione dominante dell’egemonia unipolare. La crisi pedagogica che stanno vivendo le scienze politiche è quindi la crisi di una visione, glaucomatosa ab origine, del mondo, che non riesce più a rispondere alle sfide di un sistema globale sempre più interconnesso e tecnologicamente avanzato.
Luigi Speciale
Fonti: Spykman, Nicholas John. The Geography of Peace. New York: Harcourt, Brace, 1944. Mackinder, Halford J. Democratic Ideals and Reality: A Study in the Politics of Reconstruction. Washington, DC: National Defense University Press, 1942. Kissinger, Henry. World Order: Reflections on the Character of Nations and the Course of History. New York: Penguin Press, 2014. Project for the New American Century. "Rebuilding America's Defenses: Strategy, Forces, and Resources for a New Century." September 2000.
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