Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il 25 aprile 1945: fu lotta di nazione, non di fazione

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A ottant’anni dal 25 aprile 1945, giorno della liberazione di Milano, ha ancora senso ricordare la Resistenza e la fine del fascismo e dell’occupazione nazista?

Autorevoli editorialisti, come Pierluigi Battista, ritengono che archiviato l’appuntamento di quest’anno sarebbe meglio mettere in naftalina questa data pubblica perché divisiva. Ma è proprio vero che la guerra di liberazione rappresenti una “frattura” nell’Italia dell’oggi?

In realtà per troppo tempo la Resistenza è stata raccontata in modo parziale e con paraocchi ideologici, dovuti al clima di contrapposizione tra Occidente e Unione Sovietica. Grazie alla storiografia del nuovo millennio, più libera di quella del passato, e grazie agli sforzi degli ultimi presidenti della Repubblica, da Carlo Azeglio Ciampi a Sergio Mattarella, ora invece abbiamo gli strumenti per una lettura inedita della guerra di liberazione e la possibilità per tutti di riconoscersi in quei valori. Cosa sappiamo di nuovo e di diverso?

Innanzitutto, che la Resistenza fu un movimento di Nazione, non di fazione. Un movimento che, al fianco degli Alleati, coinvolse comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani, democristiani ma anche parroci come don Pietro Pappagallo e don Giuseppe Morosini, entrambi uccisi dai nazifascisti (a loro due s’ispirò Roberto Rossellini nel film Roma Città Aperta raccontando la storia di don Pietro, interpretato da Aldo Fabrizi), militari monarchici e anticomunisti come Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte militare clandestino, poliziotti, finanzieri e carabinieri come Giovanni Frignani, cattolico e liberale, l’uomo che arrestò Mussolini, finito alle Fosse Ardeatine, e il napoletano Salvo D’Acquisto, che offrì la sua vita per salvare dei civili innocenti. Non fu una storia declinata solo al maschile.

Ci furono tantissime donne che aderirono alla Resistenza impugnando le armi, come Carla Capponi e la napoletana Maddalena Cerasuolo, oppure fecero le staffette o, in numero ancora maggiore, a rischio della vita aiutarono soldati sbandati, ex prigionieri alleati e partigiani a sfamarsi e a sfuggire all’arresto, diedero soccorso ai militari deportati al loro passaggio nelle stazioni ferroviarie e nascosero migliaia di ebrei.

Un altro dato acquisito è che la Resistenza fu opera non solo delle bande partigiane ma anche di decine di migliaia di militari che nei giorni successivi all’8 settembre 1943 si opposero con le armi ai tedeschi a Napoli, a Roma, a Cefalonia, nei Balcani e degli oltre 650 mila soldati catturati dai tedeschi che ebbero il coraggio di dire “no” alla proposta di continuare a combattere con Hitler e Mussolini (tra i quali il comunista Alessandro Natta e il cattolico Giovannino Guareschi, autore della saga di Peppone e don Camillo) a prezzo della deportazione come internati militari nei lager nazisti, dove più di 50 mila di loro morirono.

Particolare non trascurabile: la proposta di una giornata della memoria degli Imi, che si celebrerà per la prima volta il 20 settembre di quest’anno, è stata avanzata dal forzista Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, ed è stata votata all’unanimità in Parlamento da tutte le forze politiche.

L’8 settembre non rappresentò la “morte della patria” o il tradimento dell’alleato tedesco ma, come affermò il presidente Ciampi, il momento del riscatto dell’Italia dopo il Ventennio di dittatura fascista che aveva privato la popolazione delle libertà, imposto odiose leggi razziste e trascinato gli italiani in varie guerre sanguinarie. Infine, il movimento di liberazione non riguardò soltanto l’Italia centrale e settentrionale.

Oltre alle straordinarie Quattro Giornate di Napoli (un’intera città che si ribellò all’esercito più potente del mondo, costringendolo a una vergognosa fuga), anche in molte altre località del nostro Sud vi furono episodi di opposizione ai tedeschi (a Barletta, Bari, Salerno), di sollevazione popolare (Matera, Lanciano, Acerra, Scafati), di costituzione di bande partigiane o di rivolta di singoli individui e i meridionali furono membri delle brigate partigiane all’estero e in tutta l’Italia occupata, oltre che della resistenza senz’armi degli Imi.

Questa visione più reale del movimento di liberazione, plurale e trasversale a donne e uomini di diversa provenienza geografica, orientamento politico ed estrazione sociale e religiosa (alle Fosse Ardeatine c’erano banchieri, imprenditori, avvocati, giornalisti, operai, contadini, insegnanti, studenti; e poi atei, cattolici, protestanti ed ebrei), dovrebbe far finalmente comprendere che la Resistenza è un patrimonio comune della Nazione.

Tanto più che da quella lotta, come ci ha insegnato Piero Calamandrei, nacque poi la nostra Costituzione. Insomma, il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani, del ritorno alla democrazia e alla libertà. Beni preziosi, non scontati, da difendere ogni giorno.

 

Mario Avagliano

 

 

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