Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il labirinto della libertà

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Vi sono, tanto nel discorso comune quanto in quello filosofico, termini che possono variare il loro significato in funzione del contesto socio-culturale in cui vengono utilizzati. Uno di questi è certamente “verità”, che è chiaramente polisemico. Lo stesso vale per “libertà”, parola usatissima da tutti benché, a ben guardare, sia molto difficile fornirne un senso ampiamente condiviso.

In sostanza, quando diciamo che qualcuno è “libero” ci sembra di avere idee ben chiare sul significato della frase. Salvo accorgerci, ad un’analisi attenta, che il concetto di libertà diffuso in Occidente non è condiviso in altri contesti sociali e culturali. Eppure a noi sembra che il termine abbia un significato non solo preciso, ma anche condivisibile da tutti.

Ne consegue, tra l’altro, che le nazioni occidentali sono spesso entrate in guerra con altri Paesi che hanno della libertà una concezione molto diversa.

Le tanto vituperate “guerre democratiche” così diffuse negli ultimi due secoli sono motivate proprio dall’esigenza di diffondere la “nostra” libertà in contesti politici, sociali e culturali in cui essa non è presente.

Di qui l’accusa, spesso rivolta all’Occidente, di voler imporre agli altri la propria visione del mondo, senza chiedersi se la forza, soprattutto militare, sia davvero lo strumento adatto a raggiungere tale scopo. La presenza del verbo “imporre”, tuttavia, sembrerebbe escludere sin dall’inizio che questa sia la strada giusta.

 

Il fatto è che da noi, a partire in primis dall’Illuminismo, è diffusa l’idea di libertà “individuale”. Soltanto il singolo individuo è libero, e tale condizione non può essere messa in pericolo da alcuna entità o autorità pubblica e sovra-individuale. Ma non sempre è stato così.

Nell’antichità, per esempio, libero era chi poteva partecipare al governo della propria città. Il che significa che il concetto di libertà non si riferiva agli individui, bensì alla comunità di cui essi facevano parte. In altri termini, l’attività dell’individuo acquistava senso solo in un contesto collettivo e sociale, e gli antichi poco si curavano di appurare se tutti avevano la possibilità “reale” di partecipare alla vita collettiva. Le categorie sociali più umili e gli schiavi ne erano infatti esclusi.

In epoca odierna il progresso tecnologico a volte sembra porre limiti alla nostra libertà. Si pensi, per fare un solo esempio, agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale che, nonostante l’entusiasmo di molti, pone chiaramente dei pericoli alla libertà. E mette pure conto menzionare i progressi della robotica la quale, a dispetto di quanto pensava Isaac Asimov, non sembra poi così governabile dagli esseri umani.

Tutto questo induce a riflessioni di grande portata. Non è per nulla chiaro, infatti, se il tipo di realtà in cui gli esseri umani sono inseriti lasci davvero spazio alla libertà individuale. Potremmo, anche se non abbiamo certezze al riguardo, vivere in un mondo in cui non esiste il libero arbitrio, e ogni nostra azione viene determinata da fattori che sfuggono totalmente al nostro controllo.

 

Michele Marsonet

 

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