Il colonialismo italiano e l’eccidio di Debre Libanos in Etiopia
Nel 1911, approfittando del disfacimento dell’impero ottomano, fu inviata una spedizione militare nelle regioni nordafricane della Tripolitania e Cirenaica. La conquista della Libia fu poi proseguita dal regime fascista con feroci repressioni per domare i tentativi di resistenza all’occupazione. I protettorati nel Corno d’Africa e la conquista della Libia non sembrarono tuttavia sufficienti al regime e nel 1935 fu decisa l’invasione dell’Etiopia, uno stato sovrano, governato da una monarchia illuminata. Il Negus Neghesti, il grande imperatore, detto anche Haile Selassie, era sostenuto dal clero copto costituito da cristiani africanizzati. L’invasione fu condannata dalla Società delle Nazioni Unite e all’Italia vennero applicate le sanzioni sulle importazioni di materie prime.
Il regime reagì con iniziative autarchiche, anche ridicole, come la raccolta di metalli da parte della popolazione con pentole e inferriate dei giardini portate all’ammasso del ferro, oppure con la campagna “Oro alla Patria”, per sostenere le spese belliche: le donne ricevevano un cerchietto di metallo in cambio delle loro fedi nuziali. Il 9 maggio 1936 dal balcone di piazza Venezia Mussolini dichiarava con voce stentorea alla folla osannante: «l’Italia ha finalmente il suo impero, impero fascista!» Erano sottaciuti l’uso dei gas tossici sulle popolazioni civili durante l’invasione e l’ostinata opposizione del popolo etiopico all’occupazione italiana.Il 17 febbraio 1937 ad Addis Abeba vi fu un attentato a Rodolfo Graziani vicerè della Etiopia che riportò serie ferite; nell’immediata rappresaglia la città fu messa a ferro e fuoco per tre giorni. Ciro Poggiali, inviato del Corriere della Sera, restò inorridito e scrisse nel diario: «Tutti i civili che si trovano in Addis Abeba hanno assunto il compito della vendetta, condotta fulmineamente con i sistemi del più autentico squadrismo fascista. Girano armati di manganelli e di sbarre di ferro, accoppando quanti indigeni si trovano ancora in strada. Inutile dire che lo scempio s’abbatte contro gente ignara e innocente». Secondo lo storico inglese, I. L. Campbell autore di The Addis Abeba Massacre (2017), furono 3mila le vittime e incendiate circa 40mila case. Nei giorni successivi Graziani telegrafò al generale Maletti comandante delle truppe italiane: «raggiunto prova assoluta complicità dei monaci convento Debra Libanos con gli autori dell’attentato. Passi pertanto per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice-priore». Il monastero di Debra Libanòs, si trova a circa 80 km a nord di Addis Abeba ed è riconosciuto come il più autorevole centro religioso di Etiopia. Fondato nel XIII secolo dal santo tigrino Tecle Haymanot, comprendeva due grandi chiese in muratura, un migliaio di tucul abitati da monaci, preti, diaconi, studenti di teologia, suore e un centinaio di tombe di illustri capi abissini Maletti vi arrivò con una marcia che lo storico Angelo del Boca nel suo libro Italiani, brava gente? (2014), accomunò alle scorrerie di Attila. Dai documenti redatti dallo stesso Maletti, le sue truppe incendiarono 115.442 tucul, tre chiese, e il convento di Gulteniè Ghedem Micael (dopo averne fucilato i monaci) e uccisi oltre duemila guerriglieri. La città-convento di Debra Libanos venne circondata e, per assicurarsi che le esecuzioni fossero eseguite senza testimoni, i monaci furono portati con autocarri in una valle isolata a dieci km di distanza. In poche ore vennero giustiziati sommariamente 297 monaci e 23 laici, anche con l'utilizzo di mitragliatrici. Il giorno successivo furono uccisi anche 129 diaconi, facendo salire così il numero a 449. Questi numeri furono comunicati a Roma e Maletti inviò a Graziani un telegramma laconico: «Liquidazione completa». I sopravvissuti furono deportati in campi di concentramento e tenuti in terribili condizioni, gli arredi preziosi del monastero saccheggiati e gli edifici circostanti dati alle fiamme. In realtà le cifre delle vittime furono molto più elevate. Lo storico Campbell e l'etiopico Degife Gabre-Tsadik, dopo aver effettuato decine di interviste, interrogazioni dei testimoni e raccolta di documenti tra il 1991 e il 1994, dichiararono nel libro The Massacre of Debre Libanos – Ethiopia 1937, che il numero dei massacrati a Debre Libanos, era più probabile fosse di 1000-1600. Altri studi condotti sempre da Campbell tra il 1993 e il 1998 nella zona di Engacha portarono la cifra a 1500-2000 tra preti, diaconi e disabili. Furono anche rinvenuti scheletri di bambini. Di recente pubblicazione è il libro di Paolo Borruso, Debre Libanos 1937, Il più grave crimine di guerra dell’Italia (2020). Su You Tube, TV 2000 è visibile TG2000 Speciale Debre Libanos 2017. L’attacco al monastero, giustificato come rappresaglia, fu in realtà un pretesto per eliminare definitivamente l’apparato della chiesa copta che si opponeva all’occupazione italiana; lo affermò lo stesso Graziani: «Non è millanteria la mia quella di rivendicare la completa responsabilità della tremenda lezione data al clero intero dell'Etiopia [...]. Ma è semmai titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d'animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall'Abuna all'ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono di dover desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo [...]» Ma la resistenza all’occupazione non diminuì dopo i massacri e Mussolini fu costretto a sostituire la ferocia di Graziani con i metodi più collaborativi di Amedeo di Savoia. L’impero fascista si dissolse comunque quattro anni dopo nel 1941 con l’invasione delle truppe inglesi durante il secondo conflitto mondiale. Al ritorno sul trono Haile Selassie si rivolse cosi agli etiopici e in particolare ai guerriglieri: «Io vi raccomando di accogliere in modo conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno con o senza le armi. Non rimproverate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo». Gli etiopici aderirono all’appello e negli anni successivi gli italiani rimasti in Etiopia hanno vissuto in pace. Il generale Pietro Maletti, morì in guerra nel nord Africa, nel 1940. A Cocquio Trevisago, piccolo comune del varesotto, gli fu dedicata la via centrale dal podestà fascista per meriti di guerra. Nel 2012 il sindaco Danilo Centrella ha dichiarato: «Cancelleremo l’intitolazione a Pietro Maletti della strada della nostra parrocchia che verrà intitolata alle vittime della strage di cui il generale fu responsabile, in segno di rispetto a tutta la comunità cristiana, di ogni chiesa, in ogni parte del mondo». A Maletti erano state dedicate vie anche nei comuni di Mantova e a Castiglione delle Stiviere dove era nato. In quest’ultimo comune la dedica è stata tolta per “inopportunità” nel febbraio 2017, stessa cosa è avvenuta a Mantova nell’aprile 2018. Rodolfo Graziani, nato a Filettino (FR) nel 1882, aveva partecipato al primo confitto mondiale del 1915-18. Nominato colonnello, era stato nel 1930 inviato dal governo fascista in Libia dove soffocò ogni tentativo di ribellione: intere popolazioni, furono decimate, costrette a marce forzate nel deserto, le “marce della morte” e deportate in campi di concentramento, i capi ribelli impiccati dopo sommari processi. Nel 1935, inviato in Etiopia come comandante delle truppe d’invasione, condusse la guerra con ogni mezzo compreso l’uso di gas asfissianti sulle popolazioni inermi. Dopo l’attentato ad Addis Abeba nel 1937 e le successive stragi a Debre Libanos fu richiamato in patria e messo a riposo, ma dopo l’8 settembre 1943 Mussolini lo nominò Ministro della Difesa della Repubblica di Salò per collaborare con gli occupanti tedeschi nella lotta antipartigiana e nelle stragi di civili. Alla fine del conflitto nel 1946 fu condannato a 19 anni di reclusione per “collaborazionismo”. Con i successivi condoni trascorse in carcere poco più di cinque mesi; aderì al M.S.I. e gli fu conferita la carica di Presidente Onorario. Mori nel 1955 a 73 anni. È sepolto ad Affile, un piccolo comune nella provincia di Roma, dove nel 2012 è stato addirittura inaugurato un monumento in memoria. Graziani scrisse un libro Ho difeso la patria nel quale affermò che Patria si difende aggredendoaltri Paesi e con le atrocità commesse su popolazioni inermi: il risultato di aberranti farneticazioni in cerca di giustificazioni politiche. Le personedaonorare sono quelli del Negus etiopico chenon volle vendette edelPresidente della Repubblicaitaliana Sergio Mattarellache in nome della Costituzione cheripudiala guerra,porta sempre un messaggiodi pace e di collaborazione alle popolazioni africane e in particolare all’Etiopia. Il monumento a Graziani è un’offesa alla storiadell’umanità.
Alberto Dolara
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