Remo Wolf e le maschere napoletane
Nel 1927 si iscrisse alla Scuola Tecnico Industriale di Trento dove fu allievo di Stefano Zueg per poi trasferirsi a Parma dove si diplomò all'Istituto d'arte. Nel 1929 si trasferì a Firenze dove apprese l'arte della xilografia lavorando al contempo come illustratore per "Il frotenspizio" di Firenze diretto da Giovanni Papini. La xilografia è una tecnica artistica che consente di incidere, mediante un bulino o una sgorbia, delle tavolette di legno da trasferire poi su altri supporti (tessuto, carta, etc). Le prime xilografie, risalenti al IX secolo, provengono dalla Cina mentre gli antichi egizi utilizzavano il cuoio per decorare i sarcofagi; in Europa comparve nel XV secolo per illustrare i libri freschi di stampa. Rispetto alle altre tecniche a pressione, l'artista non deve tracciare i contorni delle figure che corrispondono alla linea nera visiva ma deve scavare il legno lasciando le parti che poi diventeranno scure con l'inchiostratura. Il supporto utilizzato è quasi sempre in legno sia per la sua preziosità che per la resistenza; questo materiale diventa al contempo una metafora della vita umana sempre suscettibile di cambiamenti.
Nel 1940 si arruolò come volontario per combattere sul fronte francese pur continuando la sua indefessa attività artistica come dimostrano le due esposizioni sindacali del 1941 e del 1942. Il 4 novembre 1942 venne catturato dagli inglesi e condotto in un campo di prigionia in Egitto da dove fece ritorno in Italia alla fine della guerra. Negli anni '50 frequentò il circolo di poeti del “Caffè degli specchi” di Trento a insieme Cesarina Seppi e a Guido Polo mentre nel 1952 ha contribuito a fondare il Centro culturale “Fratelli Bronzetti” dedicato al mondo dell'incisione. Negli anni '60 Remo Wolf elaborò una nuova tecnica “a legno perso di filo” in cui il tronco viene intagliato seguendo il senso delle venature e stampato progressivamente su diversi strati per ogni colore. Si tratta di una scelta che denota la complessità dell'opera e che rende l'artista meritevole di essere ricordato come vero e proprio “creatore di immagini” piuttosto che come un comune incisore; per tali motivi stato per ben quattro volte presidente della Biennale dell'incisione e, non da ultimo, è stato insignito della medaglia d'oro al merito per la Cultura e l'Arte. Nel 1979 Remo Wolf realizzò una serie di xilografie sulle maschere italiane. Si tratta di venti pezzi di piccolo formato (390cm x 180cm) con una comune struttura compositiva costituita da una cornice con motivi floreali con l'etichetta “maschere italiane ex libris M. De Filippis”, una figura del personaggio accompagnato da alcuni elementi simbolici ed un paesaggio o un ambiente interno. Tra le maschere spiccano tre protagonisti della commedia napoletana: Pulcinella, Scaramuccia e Capitan Coviello. Rispetto alle prime due, risalenti rispettivamente al XVI e al XVII secolo, il meno noto Capitan Coviello apparve per la prima volta nel Corriere dei Piccoli (1964) su firma di Mario Uggeri con testi di Mino Miani. Con il termine “ex libris” si intende un contrassegno apposto in un libro per indicarne il proprietario, nel nostro caso Mario De Filippis che era un noto bibliofilo aretino.
La vuole che vi siano alcune parti destinate ad accogliere gli occhi e il naso scoprendo la bocca che sembra incorporata al cappuccio “a pan di zucchero” e leggermente sbuffato all'indietro con due elementi sferoidali applicati sul tessuto. All'interno della maschera si intravedono dei bulbi oculari come se il personaggio avesse un doppio volto: la versione gioiosa e quella drammatica di Napoli. Il girocollo plissettato rimanda ad un passato lontano quando la maschera iniziava a farsi notare nella Commedia dell'arte. In tal senso l'incisione si può considerare una derivazione di una certa corrente di artisti del'900 che richiamava il tipico abito rinascimentale con l'aggiunta di elementi simbolici che in questo caso sono la chitarra, l'ombrello e l'anguria che, per la loro formazione originaria, non sono propriamente tipici dell'ambiente partenopeo ma sono comunque riconducibili alla simbologia religiosa tanto cara all'artista trentino. La parola “chitarra” deriva dal greco “kitara” che designava la cetra, uno strumento a quattro corde, di cui si fa cenno anche nella Bibbia (Libro della Genesi 4,21). L'origine dell'ombrello lo si può far risalire agli antichi egizi anche se il suo uso è attestato tra gli Assiri e i Babilonesi per scopi rituali e per enfatizzare un privilegio di casta. L'anguria è un frutto a falsa bacca (carnoso con una consistenza morbida e acquosa) originariamente proveniente dall'Africa tropicale. Nella religione egizia l'anguria, nascendo dal seme del dio Seth, costituiva una forma di sostentamento per l'immortalità dei faraoni in attesa di passare nell'aldilà. Gli elementi tipici dell'ambiente partenopeo ritornano sullo sfondo dell'opera dove emergono il golfo di Napoli e il Vesu La seconda incisione ritrae Scaramuccia in abiti scuri nell'atto di mimare una danza. Il viso è liber dalla maschera mentre al posto del cappuccio c'è un cappello a tesa larga con una penna nera sulla sinistra da cui scendono lunghi riccioli che circondano il capo. L'abito è arricchito da una mantellina scura fissata sul davanti con una spilla. Ciò che traspare dalla mantellina rivela una tonalità più chiara così come le maniche plissettate e il panciotto. Le calzature presentano un'asola alta con una borchia rotonda e sono dotate di tacchi alti. Leggermente defilato sulla coscia destra, appena sotto il gluteo si nota il fodero di una spada forse una sciabola come si evince anche dall'impugnatura situata sul fianco sinistro. Difficile interpretare il movimento del corpo del personaggio che sembra mimare una danza locale o magari una tarantella che prevede il sollevamento di entrambe le mani e i piedi. A completare l'incisione figurano un mandolino e un albero con dei fiori a foglia larga forse dei gigli che simboleggiano fertilità e prosperità. In questa, come nella seguente incisione, si scorge l'influenza artistica del XVIII secolo, uno dei periodi più felici della storia napoletana. La terza e ultima incisione ritrae Capitan Coviello nell'atto di impugnare una spada. Rispetto agli altri due riquadri dove il personaggio ha il volto scoperto, qui indossa la maschera, sempre di tipo semi-ovale con la bocca scoperta (la mascella è molto più marcata) ed un naso pronunciato. Mentre nella prima e nella seconda incisione il volto è ritratto frontalmente, qui è posto di profilo con appena sbozzate le orecchie dietro le quali scendono dei riccioli. Il c Il temadella “maschera” non è nuovo nella pittura trentina, in quanto già se ne erano occupati Fortunato Depero, Guido Polo, Perhem Gelmi e Carlo Bonacina ma il maestro Remo Wolf ha saputo trarre profitto dall'incontro delle tradizioni napoletane con la creatività trentina da cui ne scaturisce un nuovo modo di interpretare l'arte conciliando il punto di vista sacro con quello profano. Di lui ha scritto il pittore Gino Pancheri: «C'è in questi lavori la poesia malinconica e cruda delle favole umane e il senso intimo delle passioni della povera gente, espresse con gli affetti di un popolano nutrito di idee messianiche. L'arte diventa così in Wolf, come negli antichi pittori, una confessione e una preghiera: ed è per questo che una sua stampa, scabra e sofferta, sottintende quasi un atto di fede. Si può dire che l'arte sua abbia un accento profondamente religioso, e uno stile intimo e duro che rifugge da motivi volgari e da ogni esercizio sterile: proprio come la sua vita che trascorre solitaria in quel suo studio di fronte all'Argentario, senz'altra avventura che il suo lavoro.» (Pancheri G., Nota per Remo Wolf, “Trentino”, 1935, 3, p. 97).
Luigi Badolati
Bibliografia Failoni A. et al., Remo Wolf (7 agosto 18 settembre 2005), Arco, 2005. Grasso Fravega G., De Filippis M., Ex libris M. De Filippis, Le maschere italiane, Stamperia Aor, Trento, 1987. Nicoletti G. (a cura di) Remo Wolf-Alda Failoni, Il segno vitalità della materia (Borgo Valsugana, Sala Guido Polo, Piazzetta Ceschi 12 dicembre 1995-7 gennaio 1996), Rovereto, 1996, p. 5. Pancheri G., Nota per Remo Wolf, “Trentino”, 1935, 3, p. 97. Primerano D., Turrina R., La mia arte io la chiamo mestiere. Remo Wolf uomo e artista del '900, Temi, Trento, 2010.
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