Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Campi Flegrei, il rigurgito di un Napòlide

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L’attuale evoluzione della caldera dei Campi Flegrei rappresenta una delle crisi vulcanologiche più complesse e imprevedibili degli ultimi decenni.

Studi recenti, tra cui una pubblicazione su Nature, hanno evidenziato come l’aumento significativo dell’emissione di gas isotopicamente legati al magma e la crescente deformazione del suolo siano segnali chiari di un’intensificazione dell’attività vulcanica.

Un altro studio INGV  ha confermato che l’origine dell’agitazione nella caldera sembra essere di natura magmatica, sebbene alcune interpretazioni alternative attribuiscano il fenomeno a un incremento della pressione nelle falde acquifere.

Questa incertezza scientifica ha generato una divergenza nella comunicazione del rischio: da un lato, alcuni studiosi ritengono che il sistema vulcanico si stia progressivamente avvicinando a condizioni favorevoli a un’eruzione; dall’altro, vi è chi enfatizza la ciclicità del bradisismo e la necessità di concentrarsi sulla vulnerabilità edilizia piuttosto che su un’eventuale attività eruttiva.

L’incoerenza nella lettura dei dati e nelle conseguenti strategie di comunicazione ha portato a una gestione dell’informazione che appare frammentata e condizionata da variabili non esclusivamente scientifiche.

La recente pubblicazione di un articolo di un esperto dell’INGV ha sottolineato la prevedibilità dei terremoti in termini di localizzazione e magnitudo, ma ha lasciato aperta l’incognita della tempistica.

L’analisi si è concentrata sul rischio sismico e sulla necessità di interventi mirati per la sicurezza degli edifici, ma il fatto che il discorso è stato circoscritto a un’area limitata, includendo un piano più ampio di messa in sicurezza delle infrastrutture strategiche, solleva interrogativi sulla reale percezione del rischio da parte delle istituzioni.

La gestione dell’informazione scientifica diventa quindi una questione politica e mediatica: perché certe ipotesi trovano spazio su alcuni canali, mentre altre vengono relegate ai margini del dibattito pubblico?

La rimozione temporanea di un servizio della RSI svizzera, che mostrava una simulazione avanzata dello scenario peggiore, ha rafforzato l’idea che la comunicazione del rischio venga gestita con criteri diversi a seconda del momento storico e delle implicazioni politiche. Scenario peggiore sempre minimizzato nonostante la lucida analisi di scienziati studiosi del fenomeno Campi Flegrei che da anni sottolineano i limiti oggettivi della conoscenza.  

L’incertezza scientifica si combina con un aspetto ancora più preoccupante: l’impreparazione politica. L’analisi grossolana e dilettantesca dei dati storici sulle eruzioni vulcaniche mostra che, in media, il tempo di preavviso tra i primi segnali premonitori e un’eruzione è di circa 102 giorni, con una deviazione standard di 122 giorni. Tuttavia, questa stima è basata su vulcani con una storia eruttiva ben documentata.

I Campi Flegrei hanno una dinamica geologica completamente diversa, e nessuna eruzione recente può essere utilizzata come riferimento per stabilire se il sistema seguirà le tempistiche osservate altrove.

 Questo elemento rafforza la consapevolezza che gli scienziati, per loro stessa ammissione, si trovano in un territorio inesplorato e che le loro previsioni, per quanto fondate su dati rigorosi, non possono garantire un’accurata determinazione dell’evoluzione del fenomeno.

Senza un modello predittivo affidabile, qualsiasi decisione politica dovrebbe basarsi sul principio di precauzione. Tuttavia, la gestione dell’emergenza Campi Flegrei sembra rientrare nella perversa dinamica già vista in altri casi storici, in cui le autorità, per timore delle conseguenze economiche e sociali di un’evacuazione, ritardano l’adozione di misure adeguate.

La storia ci offre tragici esempi delle conseguenze dell’inazione.

L’eruzione del Monte Pelée nel 1902 vide la città di Saint-Pierre completamente distrutta e 30.000 persone morte a causa dell’inerzia politica e del rifiuto di accettare le prove scientifiche del rischio imminente. Nel caso del Nevado del Ruiz nel 1985, in Colombia, le raccomandazioni degli scienziati furono ignorate o attuate con ritardo, portando alla morte di oltre 23.000 persone.

In Cile, l'eruzione del vulcano Chaitén nel 2008 costrinse all'evacuazione forzata, ma la risposta fu tardiva e mal coordinata, con gravi danni e difficoltà nella gestione dell’emergenza. Nel caso del Mount St. Helens nel 1980, nonostante i segnali di allarme, la politica di gestione del rischio fu compromessa da pressioni economiche delle lobby del legname e da un’errata valutazione della zona di sicurezza, causando 57 vittime.

Oggi, i Campi Flegrei presentano le stesse dinamiche, gli scienziati, in ordine sparso, avvertono del rischio crescente, ma le autorità politiche preferiscono mantenere un basso livello di allerta, evitando decisioni impopolari fino a quando la situazione non diventerà inevitabile. A differenza delle tragedie del passato, oggi noi non possiamo neanche appigliarci all'alibi dell'ignoranza.

L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che distrusse Pompei ed Ercolano, rappresenta un esempio storico in cui l’assenza di conoscenze scientifiche e di strumenti di monitoraggio rese impossibile qualsiasi azione preventiva. Gli amministratori dell’epoca non avevano certezza del fenomeno con cui avevano a che fare e, per quanto oggi possa sembrare assurdo, la loro possibile inerzia poteva essere giustificata dal contesto storico in cui operavano.

Nonostante ciò, la maggioranza della popolazione si mise in salvo affidandosi all’istinto di sopravvivenza e al rapporto più intimo con la natura di cui percepivano chiaramente la pericolosità.

Oggi, invece, abbiamo tutti gli strumenti della scienza moderna, una conoscenza approfondita dei fenomeni vulcanici e sismici, una rete di monitoraggio attiva, eppure stiamo ripercorrendo la stessa strada, ma con la differenza che la narrativa imposta dall’alto assicura che è tutto sotto controllo mentre la scienza che alza le mani e la natura che si fa sentire, dicono insistentemente l’esatto contrario, ed è evidente che la situazione è insostenibile anche per Faccia Gialla, nel caso qualcuno fosse tentato di fare ricorso al santo per sedare sia il vulcano ma soprattutto gli animi.

La differenza tra una tragedia evitata e una catastrofe annunciata è nelle decisioni che verranno prese oggi. E quando la scienza ha incontrato il proprio limite, è la politica che deve raccogliere il testimone.

È qui che la responsabilità pubblica deve emergere con forza, sottraendosi alla logica del rimpallo di responsabilità e affidandosi alla guida sicura del diritto vivente che i nostri padri costituenti ci hanno lasciato in eredità per affrontare i momenti più drammatici della nostra storia.

La Costituzione non è un documento statico, ma un faro che illumina il cammino nei momenti di maggiore incertezza nell’ora delle decisioni.

La soluzione definitiva a questa situazione non può essere un mero tampone emergenziale, né una gestione a breve termine del rischio.

L’unica risposta strutturata, sostenibile e realmente efficace, sebbene fanciullesca e palesemente antisistema, è la definitiva riconversione dell’intera area vulcanica in un parco naturale protetto e riserva naturale, con una pianificazione graduale e controllata dell’evacuazione della popolazione, un programma di rilocalizzazione incentivata e un piano di riconversione economica basato sulla valorizzazione ambientale e turistica del territorio.

Con il perdurare del fenomeno il patrimonio immobiliare è palesemente compromesso ed è prossimo al punto di non ritorno, ovvero abbattere e ricostruire anziché consolidare il marciume. Ma ricostruire altrove. Altre soluzioni non faranno altro che scaricare il problema sulle future generazioni, così come lo smaltimento di scorie nucleari.

L’evoluzione del fenomeno dei Campi Flegrei ci mette di fronte a una realtà ineludibile: la natura seguirà il suo corso indipendentemente dalle esitazioni umane, ad esempio su quale colore scegliere tra giallo limone o arancione cocozza per il livello di allerta attuale.

Il dovere degli amministratori pubblici è far vivere la Carta costituzionale nella realtà concreta, così come hanno giurato di fare, soprattutto quelli che indossano la fascia tricolore, e non trattarla come un pezzo di carta qualunque. La scienza ha già fatto la sua parte, dimostrando che il sistema è in una fase di cambiamento senza precedenti. Ora tocca alla politica agire prima che sia troppo tardi, sempre se esiste ancora una politica degna di questo nome.

«Chi nato a Napoli si stacca, perde la cittadinanza. È napòlide. Porta nel sistema nervoso un apparecchio cercapersone messo dalla città in ognuno dei suoi. Da una distanza non panoramica queste pagine reagiscono al segnale. Su Napoli non si ha il diritto di sguardo dall'alto, solo il vulcano ha titolo per sovrastare. La sua orbita sta spalancata nelle cartoline e negli incubi. È bene che resti cieca.» cit. Erri De Luca -Napòlide - Dante & Descartes - 2006

 

Luigi Speciale

 

 

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