Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le fasciste di Salò

Condividi

La Repubblica Sociale Italiana (RSI - settembre 1943- aprile 1945) è conosciuta anche come Repubblica di Salò in quanto questa cittadina sul lago di Garda, provincia di Brescia era sede del governo fascista.

Fu un regime collaborazionista con la Germania nazista voluto da Hitler e guidato da Mussolini al fine di governare i territori italiani controllati militarmente dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 dell’Italia con le forze alleate.

La storia della RSI è stata trattata da numerosi scrittori, registi, politici, saggisti. meno noto è il ruolo avuto dalla componente femminile delle donne fasciste che vi militarono, in varie forme.

Circa seimila donne si arruolarono volontariamente nella SAF (Servizio Ausiliario Femminile), con compiti di fiancheggiamento; molte altre volontarie. facevano parte delle varie brigate maschili ed erano armate.

 

All’apice della piramide gerarchica della RSI vi era un Mussolini privo di ogni potere decisionale. Il capo delle forze armate era Rodolfo Graziani, responsabile di crimini di guerra durante le guerre coloniali fasciste. Gli uffici politici e le ricostituite federazioni fasciste erano diretti da personaggi di secondo o terzo piano del passato regime, ex squadristi, criminali comuni, ed ex spie della polizia politica fascista.

Alla base della piramide, insieme alle donne, vi erano circa 60mila soldati arruolati nell’esercito dopo l’armistizio dell’8 settembre.

Le brigate combattenti, divenute le “brigate nere” nel 1944. formate da volontari dai 18 ai 60 anni iscritti al partito fascista consistevano in circa 17 mila aderenti. Il teschio che portavano sul berretto era indicativo del messaggio di morte di questi corpi paramilitari. Ne facevano parte anche i cosiddetti “ragazzi di Salò” che si erano arruolati nella RSI per «salvare l'onore della Italia e difenderla dagli invasori anglo americani e titini». Il loro numero rimane imprecisato. Alcuni formarono una colonna insieme alla SS tedesche.

Le armate raccogliticce di Graziani, volontari autentici o assoldati di autorità, ebbero una parte insignificante nella guerra contro gli angloamericani. L’obbiettivo principale della RSI era il controllo del territorio e la guerra antipartigiana da condurre con i nazisti mediante rastrellamenti, fucilazioni, impiccagioni, stragi di popolazioni inermi, l’individuazione nel territorio dei “nemici” partigiani, di prigionieri alleati, renitenti alla leva, antifascisti ed ebrei da deportare nei campi di sterminio. Seguivano arresti, torture anche le più efferate, applicate in modo sistematico per ottenere informazioni. per sadismo o per vendetta. Frequente l’esposizione pubblica dei corpi dei fucilati o impiccati con i segni delle torture che dovevano essere visibili per terrorizzare la popolazione.

Le donne fasciste erano fiancheggiatrici attive nel conseguimento di questi obbiettivi. I motivi erano l’adesione all’ ideologia fascista, la vendetta o la pura convenienza.

Guidavano i nazisti nei rastrellamenti dei partigiani, partecipavano ai massacri della popolazione civile, assistevano alle torture o torturavano personalmente i prigionieri, svolgevano con zelo il ruolo di delatrici favorite dall’essere donne e per il quale erano anche nei libri paga fascisti o nazisti. Agli ebrei veniva estorto denaro con le promesse non mantenute di portarli al sicuro.

Nell’immediato dopoguerra oltre agli uomini anche le donne fasciste colpevoli di reati gravi furono sottoposte a processo. Nel libro Fasciste di Salò la storica Cecilia Nubola ha riportato le storie personali di circa 40 di loro, descrivendo i reati commessi, le pene comminate e le amnistie successive.

Sono storie terribili, come quella di Linda Dell’Amico di 35 anni, che in divisa tedesca e armata di mitra, era nella Brigata nera responsabile in insieme alle SS tedesche della strage del paese di Vinca in provincia di Massa Carrara nell’agosto del 44. La donna fu riconosciuta da testimoni in quanto nata in un paese vicino.

Furono uccisi 171 civili, di cui solo 60 erano uomini, le altre donne, vecchi e bambini.

Giuseppe Diamanti, comandante della Brigata nera, presunto amante della donna, fu visto da testimoni mentre sparava ad una bambina lanciata per aria come bersaglio. È opportuno tralasciare altri particolari atroci della strage.

Una storia di orrori è quella della banda Carità, una delle più feroci formazioni della RSI. A capo era Mario, ex squadrista, e due figlie Franca ed Elsa, quest’ultima minorenne. La banda si era insediata prima a Firenze nella cosiddetta “Villa triste” sulla via Bolognese, poi si era spostata a Padova nel Palazzo Giusti.

Gli appartenenti alla banda si caratterizzavano per l’uso sistematico della tortura dei prigionieri; i sopravvissuti testimoniarono che le due ragazze vi partecipavano direttamente.

Nei processi le fasciste di Salò negarono sempre le attività criminali e quando erano messe di fronte all’evidenza dei fatti e alle testimonianze dei sopravvissuti inventavano scuse assurde. Raramente esprimevano motivazioni ideologiche, talora mostravano nei processi arroganza o ironia verso le vittime. I familiari delle imputate, in particolare le madri, testimoniavano sempre a favore delle figlie adducendo la impossibilità a credere che si fossero macchiate di tali atrocità.

L’atteggiamento dei giudici era duplice, talora più indulgente per la convinzione che le donne per loro natura siano incapaci di commettere “delitti efferati”. Infatti la pena di morte, contrariamente a quanto avvenne per gli uomini, non venne mai eseguita. Talora al contrario questi comportamenti criminali erano giudicati come frutto di perversione. e amoralità e comportavano pene più severe.

Le sentenze per i reati commessi dalle trentasei fasciste di Salò. descritti nel libro di Cecilia Nubola ed emesse dai tribunali militari e civili nell’immediato dopoguerra, variavano dai 10 anni di reclusione alla pena di morte.

Negli anni successivi anche per le donne, come per gli uomini, la durata della carcerazione fu progressivamente ridotta per le ripetute amnistie da quella di Togliatti del 1946, alla libertà condizionale prevista dal decreto Zoli del 1951, al decreto Moro del 1955.

I processi di revisione delle pene si svolsero in un clima politico-giudiziario e sociale tendente alla riconciliazione e ritorno alla normalità; non si teneva conto che il perdono delle vittime non fu quasi mai concesso.

Dieci anni dopo le trentasei fasciste di Salò furono tutte rimesse in libertà: Linda dell’Amico, condannata a 30 di reclusione, fu scarcerata dopo poco più di 6 anni, Franca Carità condannata a 10 anni era libera dopo cinque.

L’ultima a uscire dal carcere nel 1956 fu Margerita Alfani che aveva denunciato il marito ai tedeschi inviato in un campo di sterminio in Germania dove morì.

Riacquistata la libertà le fasciste scomparvero dalla scena pubblica. Nessuna ha mai avuto espressioni di solidarietà o pietà per le vittime, nessun ripensamento critico su una ideologia basata sulla sopraffazione e la violenza.

Attraverso interviste o testimonianze mostrarono di essere rimaste ancorate al fascismo. Franca Carità, tornata libera, scriveva ad una ex camerata: «Non posso dimenticare un solo istante di quei giorni. Brutti è vero, ma colmi di quelle speranze che oggi sono del tutto sfumate dinanzi ad una realtà ben diversa.»

Le urla di dolore dei torturati facevano parte di “quelle speranze”? La domanda è inevitabile

Il libro della Nubola mostra il quadro terribile dei comportamenti delle donne dalla parte sbagliata della storia. Le lettere delle condannate a morte della resistenza italiana ed europea indicheranno quale era la parte giusta.

 

Alberto Dolara

 

Statistiche

Utenti registrati
19
Articoli
3355
Web Links
6
Visite agli articoli
18277333

La registrazione degli utenti è riservata esclusivamente ai collaboratori interni.

Abbiamo 522 visitatori e nessun utente online