Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il nostro fulgido destino di decadenza

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Addio Giorgio Bocca. In questo momento io ho cominciato a scrivere, mentre a Milano da qualche giorno si è celebrato il tuo funerale, ultimo tempo sospeso tra la vita sociale e la definitiva scomparsa dal nostro mondo. Nel quale, peraltro, molti sono ora qui divisi, e sconcertati, a dibattere animatamente, contrapponendo il "cosa sei stato" al "chi", lontanissimi dalla buona abitudine borghese del "De mortui nihil nisi bene". Ti rimproverano di aver cambiato idea troppe volte. Come se ciascuno di noi fosse stato scolpito in un blocco di immutabile granito.

Del resto è proprio vero che tu sei stato molte cose: fascista, partigiano, antifascista, azionista, giornalista, scrittore, polemista, legaiolo, socialista, anticomunista, antimeridionalista.... e si potrebbe, volendo, continuare per un po'. Errare è umano. E poi avevi scelto per la tua rubrica fissa sull'Espresso un titolo fortemente polemico. Si chiamava - se non sbaglio - l'Antitaliano?

 

Che in ogni modo non voleva significare un italiano "contro", ma "diverso". E tu scrivendola non pretendevi di insegnarci a vivere secondo le regole di un'astratta educazione formale, ma, come non abbiamo mai fatto, nel segno di un civico rigore luterano. E proprio per questo tu, uomo spigoloso e puntuto, senza vie di mezzo, al pari del tuo amico Paolo Volponi, ti sei fatto apprezzare e odiare da tanti.

Ma perché scrivo di te mentre vorrei trattare di tutt'altra cosa? Perché credo proprio che la tua vicenda esistenziale racconti, meglio di tutti i tuoi libri, l'ascesa e la caduta dell'Italia e dell'Europa, dal secondo dopoguerra a oggi, le sue trasformazioni. Da antifascista a parafascista, con governi che sono andati peggiorando sempre col passare di anni, mesi e giorni, costringendo specularmente all'involuzione i propri amministrati. In questo scenario l'Italia europea di Spinelli, Hirschman, Colorni e Rossi (1941) è diventata poco alla volta l'Itallietta provinciale, cafona, bigotta, egoista, chiusa e retriva di Bossi e Berlusconi (2001-'11). Niente da dire, proprio una gran bella parabola!

E adesso siamo in crisi. Non perché i mercati e le banche siano ingrati e cattivi, ma perché non abbiamo saputo usare vela e timone nel modo giusto quando il mare era calmo. Ora a comandare sono i venti procellosi e le onde alte e forse potrebbe non bastare un pur bravo marinaio per vincere la loro forza.

Ho avuto modo di formulare queste considerazioni leggendo l'edizione su FB del quotidiano linglese "Guardian" (27/12/11) che in materia di economia riporta questo titolo:  Economic growth - Brazil overtakes UK as sixth-largest economy (http://apps.facebook.com/theguardian/?ref=ts). Nel quale si spiega in primo luogo perché il più grande paese sudamericano, fino a tre lustri fa zona depressa, ha scavalcato economicamente il colosso inglese, sin dall'ottocento vittoriano colonna mondiale della finanza e del commercio. Nell'articolo in questione, però, si riferiscono anche le proiezioni dopo il 2020, scaturite dallo studio di un pool mondiale di economisti (CEBR = Center for Economics and Business Research), secondo le quali lo scenario dovrebbe essere il seguente:

  1. il Brasile dovrebbe passare dal sesto al quinto posto per le sue esportazioni verso Cina e Oriente e per il commercio complessivo con quei paesi;
  2. l'India, pure in presenza di una notevole inflazione associata a una bassa crescita, dovrebbe salire al quarto posto per la grande preparazione della sua forza lavoro, particolarmente abile nell'informatica e nell'organizzazione-progettazione dei servizi;
  3. la Russia, dopo aver realizzato enormi profitti con la vendita di gas e petrolio all'UE, investendo i relativi utili, dovrebbe collocarsi a ridosso di India e Brasile;
  4. altre economie emergenti, come ad esempio la Turchia e l'Arabia Saudita, si muoveranno verso l'alto, spingendo in direzione contraria alcune potenze minori della vecchia Europa;
  5. il sunnominato CEBR prevede in conclusione che le società emergenti cresceranno, mentre l'Europa continuerà a calare trascinando in basso con sé il PIL mondiale. Secondo alcuni economisti cinesi il male dell'Europa starebbe in "una società sgretolata dal welfare";
  6. sempre a giudizio del CEBR, alcuni paesi "potrebbero" uscire dall'euro e fallire, perdendo buona parte della loro sovranità, mentre le loro banche probabilmente potrebbero essere salvate o paracadutate.

Il tristo panorama rappresentato, ammesso che quelle previsioni si realizzino, mentisce per noi ogni auspicio di crescita, sia esso prospettato o semplicemente auspicato dal premier. Non ci sarà nessuna risalita chissà per quanto tempo. Dell'Italia semplicemente si tace, ma questo silenzio è più assordante di una cannonata. Significa serie B.

Perché il centro degli affari, dei traffici, delle transazioni e delle trattative, in parole semplici delle decisioni che contano, si è spostato da Occidente a Oriente, dall'Atlantico al Pacifico, dall'Europa all'Asia, dopo che l'URSS è morta e l'Europa - in ogni senso - non serve più agli USA, perché le guerre oggi si fanno con i computer, muovendo per il mondo montagne di capitali, fondi d'investimento, titoli di borsa e certificati di credito con la semplice pressione di un tasto. E a molti di noi quella previsione del CEBR e di altri ambienti economici, prefigurante uscite dall'euro, fallimenti morbidi, perdita di sovranità e salvataggio di banche, fa provare un brivido di terrore, perché facilmente "de te fabula narratur".

Ragion per cui assisteremo ad un processo storico molto simile a quello che colpì l'Italia del Rinascimento dopo il 1492. Se si leggerà l'articolo fino in fondo, infatti, non si troverà menzione alcuna del nostro paese. E un silenzio così è più assordante delle cannonate perché significa uscita dal club degli eletti: serie B. Ma, comunque vadano le cose, anche da questa retrocessione ricaveremo certamente un vantaggio: quello di non dover più organizzare la pagliacciata del G8 in alcuna delle nostre città più belle.

Le decadenze non sono mai percepite con fatti tangibili perché sono come una subsidenza della politica: si sprofonda impercettibilmente ogni giorno di centesimi di millimetro, sì che ogni cosa ci appare costantemente immutabile. E perciò non troviamo ragioni plausibili per spiegare il declino. Venezia conobbe un tramonto malinconico e lunghissimo dopo che la via dell'Atlantico si era sostituita a quella delle carovaniere, ma poi lentamente si consumò e si spense.

 

Di più: il 1571, con la battaglia di Lepanto, anziché un segno di riaffermazione di potenza egemonica, fu un errore storico, perché separò definitivamente le due sponde del Mediterraneo, quando invece la cosa migliore sarebbe stata unire genti e paesi per creare una comunità nuova di popoli diversi, ma solidali nel realizzare un fantastico progetto civile di collaborazione e sviluppo (v. Ferdinand Braudel, Civiltà e Imperi nel Mediterraneo all'epoca di Filippo II di Spagna, Einaudi).

 

Proprio come aveva immaginato qualche secolo prima, restando ovviamente inascoltato, un pazzo visionario proiettato fuori del tempo, dello spazio e di ogni umana comprensione conosciuto come Francesco d'Assisi. Così oggi il PIL europeo non cresce affatto o cresce pochissimo, mentre gli altri volano alto. E non si esclude anche qualche evento traumatico. Il tutto mentre massmedia e TV fanno a gara per raccontarci in forma rassicurante che nulla sta succedendo, né è previsto che accada.

Ma occorre anche tornare sul discorso cinese del "welfare che consuma le società europee", perché ha una sua ragione d'essere. Però dovremmo interrogarci sul perché della crescita tendenziale unita a un relativo benessere delle comunità scandinave, che riescono in presenza di ogni crisi ad armonizzare quasi al meglio la demografia con le risorse. L'Europa del welfare, invece, ha creato un continente sovrappopolato, nel quale anziani egoisti e conservatori difendono la loro condizione economico-sociale, ottenuta col lavoro tanti anni fa. In tal modo, però, sbarrando il passo ai giovani, all'innovazione, al miglioramento, al progresso, alla ricerca, ad ogni spostamento in avanti che coinvolga cultura, economia, politica e società.

 

E' stato probabilmente per queste ragioni che la socialdemocrazia, creatrice del welfare nell'epoca dei Fronti Popolari, non ha saputo ritrovare un sia pur minimo slancio negli anni 80-90 del XX secolo?  Forse è questo il motivo per cui le destre hanno sempre vinto, salvo brevi e insignificanti intermezzi, in tutta Europa e negli USA dal 1978 (Margaret Thatcher premier in GB) a oggi e , nonostante tutto sembrano più vive che mai? Quando appare una politica nuova e quella vecchia non prova a cambiarsi, quella che non cambia è una politica morta. La stagnazione in cui versiamo, in definitiva, non è semplicemente attribuibile a questo o a quel governo, ma, a fronte di una forte crescita demografica, a una cultura dello stare fermi che ha mortalmente pervaso la gerontocrazia diffusa che regge l'Italia e l'Europa.

Una seconda considerazione problematica, comunque, non può essere ignorata e riguarda l'evoluzione nei decenni a venire, tenendo conto delle recenti stime di economisti e commissioni ONU. Poiché, se è vero che nel 2050 questo pianeta sarà abitato da 9 miliardi di persone, in una situazione di decrescita pro capite di risorse energetiche, agroalimentari, minerarie e idriche, come potranno rendersi compatibili le previsioni sul PIL con quel che passa il convento-mondo? Più semplicemente: che senso ha, in condizioni simili, continuare a formulare ipotesi basandosi su teorie economiche già in qualche caso palesemente obsolete?

 

Non sarebbe meglio che noi, in quanto comunità politica e sociale, dichiarassimo subito la morte del capitalismo finanziario e ci dessimo da fare per cercare nella nostra mente e nel nostro spirito, invece che nei caveau delle banche, la soluzione adatta per superare questo problema epocale? Pensando per esempio a una seria politica demografica mondiale? Perché è giusto che i finanzieri e i politici passino i loro giorni a ricercare e operare nel segno di movimenti di denaro e  investimenti nei settori e nelle attività umane che danno loro maggior profitto, ma a noi compete considerare ogni cosa in termini di sopravvivenza del pianeta, di collettivo che comprende l'individuale, del nostro particolare dentro il tutto, ovvero, aggiornando il lessico, di comunismo.

Nè il nostro premier, con il suo compassato e inapputabile aplomb oxfordiano, potrà persuaderci che dopo l'ennesima manovra torneremo ad essere più belli e più grandi che prìa. Perché, essendosi spostato il centro geopolitico del mondo e restando noi in una posizione defilata rispetto ad esso, non ci sarà manovra che tenga per evitare lo scivolamento in basso. E allora non ci resta che prepararci al peggio, per diventare periferia della periferia dell'Impero.

Ma allora tanto vale costruirci fin da questo momento una via politica di fuga, che ci consenta di ricostruire dal basso una comunità di volenterosi per preparare nuove ipotesi di vita e nuove forme di comunità nelle quali identificarci.

 

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