Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Vittime innocenti. Dicembre 1967-2015

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Il 1° dicembre del 2008 a Casalnuovo (NA) venne ucciso il commerciante di prodotti agricoli e mangimi 62enne Raffaele Manna.

Venne rapinato da un gruppo criminale di quattro persone. Raffaele reagì all’aggressione colpendo uno dei ladri con un bastone di legno. I malviventi esplosero a questo punto proiettili calibro 7,65 verso Raffaele che rimase mortalmente ferito.

All'indomani dell'omicidio i carabinieri di Castello di Cisterna costituirono una task force comandata dal maggiore Fabio Cagnazzo e coordinata dal pm Salvatore Pisco. Catturati, gli assassini son stati giudicati con rito abbreviato. Due hanno ricevuto una condanna all'ergastolo, mentre altri due sono stati condannati a venti anni di reclusione.

Il 2 dicembre del 1981 a Fasano (BR) venne uccisa a soli 14 anni Palmira Martinelli. Fu bruciata viva perché non voleva prostituirsi.

Fu arsa viva e trovata ancora in fiamme dal fratello maggiore Antonio che, rientrando, sentì odore di bruciato ed i suoi deboli lamenti. Palmina aveva cercato di spegnere il fuoco sotto la doccia ma in quel momento mancava l’acqua. Il fratello la caricò in auto, portandola subito in ospedale.

Morì dopo 22 giorni di sofferenza a causa della gravità e l’estensione delle ustioni. Prima che morisse, un magistrato, munito di registratore, la interrogò, chiedendo cosa fosse successo e chi fosse stato. La ragazza era lucida, ancora in grado di capire e di rispondere anche se con una voce appena percettibile.

Rispose “Alcool e fiammifero” e fece i nomi di due ragazzi all’epoca circa ventenni. Di uno dei due fece anche il cognome ed era il ragazzo di cui si era innamorata. Dell’altro, rispose “Non so”, conosceva solo il nome. I due volevano costringerla a prostituirsi e lei si era fermamente ribellata e opposta.

In seguito a varie udienze processuali, furono entrambi scagionati per insufficienza di prove e tutt’ora risultano persone libere. In aula venne anche fatto ascoltare il nastro registrato ma, alla conclusione del processo, si chiuse il caso come suicidio dovuto alla disperazione.

Nel libro ‘Fatti tuoi, cronaca di un omicidio negato”, Nicola Magrone, il magistrato che si occupò del caso, raccogliendo anche la testimonianza di Palmina resa in ospedale, ha scritto “Palmina Martinelli, la ragazzina che venne bruciata viva e che, alla fine del processo, venne “condannata” per calunnia, naturalmente (lo dico senza ironia che sarebbe fuori posto e senza senso) “alla memoria”.

Il 4 dicembre del 1986 a Pianura, Napoli, venne ucciso l’agente di polizia Domenico Attianese, 45 anni.

Fu ucciso da due rapinatori durante una sparatoria. Quel giorno Attianese era a casa e fuori servizio e venne avvisato da un passante che in una gioielleria vicino casa era in corso una rapina. Attianese corse verso la gioielleria e sorprese i rapinatori in fuga dalla stessa: intimò loro di fermarsi ma questi aprirono il fuoco contro il poliziotto che venne colpito prima di poter reagire. I rapinatori fuggirono subito dopo a bordo di un ciclomotore lasciato all’esterno del negozio.

Trentasette anni dopo, attraverso una nuova analisi delle prove scientifiche hanno consentito alla Procura di Napoli di acquisire nuovi elementi a carico di due indagati. A distanza di trentotto anni dai fatti uno dei due indagati viene condannato a trent’anni di reclusione per l’omicidio di Domenico Attianese.

Il 5 dicembre del 2009 Taurianova (RC) venne ucciso il 18enne Francesco Maria Inzitari.

Viveva insieme alla famiglia a Rizziconi, in provincia di Reggio Calabria. La sera del 5 dicembre si trovava ad una festa insieme agli amici in una pizzeria di Taurianova: appena uscito dal locale alcuni killer lo uccisero con dieci colpi di pistola. Secondo gli inquirenti, l’omicidio di Francesco fu una vendetta nei confronti del padre, Pasquale Inzitari, imprenditore di Rizziconi, ex consigliere comunale e provinciale dell’Udc che, nel 2006, aveva permesso la cattura del boss Teodoro Crea.

 Il 9 dicembre del 2012 a Caserta venne uccisa la 27enne Giovanna De Lucia.

Madre di tre figli, venne uccisa dal marito Giovanni Venturato, suo coetaneo. Venturato tentò in seguito il suicidio colpendosi alla gola con lo stesso coltello utilizzato per l’omicidio di Giovanna. Prima della tragedia i coniugi vivevano ad Acerra.

Venturato quel giorno raggiunse Giovanna presso la casa della madre, dove la donna si era nuovamente trasferita dopo l’ennesimo litigio con il marito.

Verso le 15:00, Giovanna ed il marito si appartarono in una stanza per discutere. Il secco rifiuto della donna di tornare con Giovanni divenne il pretesto per uccidere.

Venturato estrasse il coltello che aveva portato con sé e inflisse a Giovanna nove fendenti. Il trasporto in ospedale fu inutile per la ragazza mentre l’uxoricida, giudicato guaribile in pochi giorni, venne fermato dai carabinieri di Maddaloni con l’accusa di omicidio volontario.

Il 1° luglio 2014 si è concluso il processo nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di Giovanni Venturato; l'uomo è stato condannato a 30 anni di reclusione. Nel marzo 2016 la Corte di Assise d’Appello di Napoli ha confermato a 30 anni di reclusione la pena inflitta all'uomo.

10 dicembre 1969. Palermo Strage di Via Lazio. 4 morti, tra cui, vittime innocenti, Giovanni Domé, custode del cantiere, e Salvatore Bevilacqua, manovale che stava chiedendo un anticipo.

10 dicembre 1976 a Cittanova (RC) ucciso Francesco Vinci, 18 anni, per un errore, in un episodio legato alla faida di Cittanova.

10 dicembre 1982 Locri (RC) ucciso Francesco Panzera, insegnante e Vicepreside al Liceo Scientifico Zaleuco.

10 dicembre 1993. Napoli. Ucciso Vincenzo Vitale per impedirgli di partecipare ad un’asta pubblica. Vittima innocente di camorra.

A seguito delle ferite riportate, il commerciante morì quattro giorni dopo in ospedale. Uomo onesto e coraggioso, Vincenzo non aderì alla minaccia che gli imponeva di astenersi da un'asta pubblica, indetta dal comune di Pimonte, per l'assegnazione di un lotto di terra. Successivamente si scoprì che l'appezzamento era occupato da persone legate alla camorra. L'episodio criminoso avvenne nel giardino di sua proprietà, dove Vincenzo trascorreva del tempo ogni mattino prima di raggiungere la sua attività di Pimonte. 

L’11 dicembre del 1980 a Pagani (SA) venne ucciso il sindaco Marcello Torre, 48 anni.

Appena eletto sindaco, si era schierato contro la camorra che stava cercando di ottenere il controllo del dopo-terremoto e dei fondi che sarebbero arrivati per la ricostruzione: “si era impegnato a fare pulizia e a non guardare in faccia a nessuno”, compresi i finti terremotati.

L’11 dicembre, due killer esplosero decine di colpi di lupara che raggiunsero l’auto guidata da un conoscente con cui Marcello stava rientrando a casa. Poco più di cinque mesi prima, in piena campagna elettorale, Torre aveva scritto. «Temo per la mia vita. Torno nella lotta soltanto per un nuovo progetto di vita a Pagani. Sogno una Pagani civile e libera».

Nel 2001 Raffaele Cutolo è stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio, sentenza confermata in Cassazione l’anno successivo.

Il 12 dicembre del 1994 a Pianura (NA) venne uccisa Palma Scamardella, 35 anni.

Poco dopo le 14.00, Palma era sulla scala esterna della sua abitazione quando fu colpita alla testa da un proiettile. Il colpo fu fatale. La donna perse la vita per mano criminale pur essendo estranea agli ambienti della malavita.

Solo dopo si venne a sapere cosa fosse successo. Fu vittima di uno scambio di persona. La villetta nella quale viveva era divisa in due parti tenute tra loro da una scala centrale. Da una parte la famiglia di Palma, “persone normali”, dall’altra vi erano appartenenti al clan di Lago che in quel periodo si contendeva il territorio di Pianura.

Le scale erano ricolme di cespugli e, un clan rivale ai vicini di casa, attendevano all’esterno della villa per un agguato. Vedendo una sagoma muoversi dietro il fogliame, i sicari spararono senza preoccuparsi di chi ci fosse dall’altra parte.

A oggi non sono stati individuati i mandanti e gli esecutori che hanno portato all'uccisione di Palma. Le indagini hanno comunque portato al riconoscimento di Palmina Scamardella quale vittima innocente della criminalità organizzata e in sua memoria è stata costituita un'associazione.

La sera del 12 dicembre del 1995, a Gallico, dove Natale si è trasferito insieme alla sua famiglia, pioveva forte. Intorno alle 19.00, uscì di casa e salì su un’auto di servizio. Con lui c’erano altri due componenti del pool, il maresciallo Nicolò Moschitta e il carabiniere Rosario Francaviglia. Si misero in viaggio alla volta di La Spezia. Lì Natale avrebbe dovuto raccogliere una serie di riscontri su mandato della Procura.

All’altezza di Campagna, i tre fecero una sosta per la cena. Si fermarono al ristorante “da Mario”, consumarono un pasto veloce e si rimisero in viaggio. A pochi chilometri dal casello di Nocera Inferiore, Natale De Grazia si sentì male. L’auto accostò, i militari chiamarono un’ambulanza. Il capitano venne trasportato in ospedale ma ormai non ci fu nulla da fare. Morì così, sul sedile posteriore dell’auto civetta

La morte di Natale De Grazia è ancora oggi un mistero. L’autopsia viene effettuata 10 giorni più tardi, a Reggio Calabria. Se ne occupa il medico legale Simona Del Vecchio. Il referto sulle cause del decesso è lapidario: “morte improvvisa dell’adulto”.

De Grazia è morto per un arresto cardio-circolatorio dovuto a cause naturali. Una conclusione che non convince nessuno, meno che mai la famiglia, che un anno dopo chiede una nuova autopsia. Inspiegabilmente, il nuovo esame autoptico viene affidato allo stesso medico legale, che ovviamente conferma le conclusioni cui era già giunta.

È la stessa dottoressa Del Vecchio che, nel maggio del 2018, verrà condannata in primo grado dal Tribunale di Imperia (con condanna ridotta in appello a seguito di un concordato) a 6 anni e 6 mesi di carcere per i reati di falso, truffa e peculato: aveva firmato decine di verbali senza mai aver effettuato gli esami.

Nel 2009 viene istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, che prova anche a fare luce, sebbene non in sede giudiziaria, sulla vicenda del capitano De Grazia. La relazione sulla morte dell’ufficiale viene approvata all’unanimità nel febbraio del 2013 ed è la summa di tutti i dubbi irrisolti e le domande senza risposta che accompagnano questa storia.

Tra le poche certezze, quella sulla superficialità e sull’infondatezza dei risultati delle due autopsie. Lo afferma il dottor Giovanni Arcudi, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Roma Tor Vergata, nonché consulente della Commissione, che mette nero su bianco l’ipotesi drammatica della “causa tossica”: Natale De Grazia sarebbe stato avvelenato.

Il 13 dicembre del 1995 a NoceraInferiore (SA) venne ucciso il Capitano della Marina Militare Natale de Grazia, 39 anni. 

Si ipotizza sia stato ucciso perché stava conducendo indagini molto importanti su traffici internazionali di rifiuti e materiale nucleare.

Il Procuratore della Repubblica Francesco Scuderi lo volle nel pool costituito in Procura per indagare, a seguito di un esposto presentato da Legambiente, sui traffici illeciti di rifiuti, coordinato dal sostituto Franco Neri.

Il 14 dicembre del 1988 a Palermo venne ucciso l’imprenditore 60enne Luigi Ranieri. Fu ucciso in un agguato davanti alla sua villa il 14 dicembre perché non voleva assoggettarsi al sistema degli appalti controllato da #CosaNostra. La resistenza di Ranieri alle pressioni mafiose è stata confermata da vari pentiti. Luigi fu assassinato perché aveva rifiutato di rinunciare all’appalto pubblico per la realizzazione di una scuola a Caltanissetta, lavoro che Riina aveva promesso (in cambio di oltre 200 milioni) a un’altra impresa.

Nel 1996 Totò Riina fu condannato all'ergastolo come mandante dell'omicidio di Ranieri, grazie anche alla testimonianza di diversi collaboratori giustizia, tra cui Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Leonardo Messina e Balduccio Di Maggio.

Il 15 dicembre del 1983 a Poggioreale, Napoli, venne ucciso un bambino di soli 10 anni, Luigi Cangiano. “Gigi” venne ucciso nel rione Siberia, alle spalle del corso Malta, tra il cimitero e il carcere. Lo colpì una pallottola di quelle esplose durante una sparatoria tra criminali e polizia. Uno dei colpi, esplosi tra la folla, lo ferì mortalmente mentre stava tornando a casa, dopo aver comprato un pacchetto di caramelle.

Dopo poco le nove di sera Gigi uscì di casa per incontrare gli amici. Mentre il gruppetto si stava riunendo, la Polizia ed una banda di spacciatori cominciarono a fronteggiarsi in un conflitto a fuoco. Tre agenti della Sezione Narcotici della Squadra Mobile della Questura di Napoli, in abiti civili, bloccarono due persone (una di queste era proprio il fratello maggiore di Luigi), trovate in possesso di droga e con in auto anche una pistola.

Gli agenti procedettero alla identificazione degli spacciatori, ma proprio in quel momento da un pianerottolo vicino alcuni sconosciuti aprirono il fuoco. Gli agenti risposero con le pistole di ordinanza. Alla fine dell'intensa sparatoria, ci si accorse che a terra era rimasto il piccolo Luigi. Trasportato immediatamente nell'ospedale ''Nuovo Pellegrini'', il piccolo morì alcuni minuti dopo il ricovero.    

Il 16 dicembre del 1996 a Lamezia Terme (CZ) venne ucciso il fotografo ed ex carabiniere Gennaro Ventura, 28 anni.

Ucciso e gettato in una botola per la fermentazione del mosto. Fu questo il prezzo pagato da Gennaro Ventura, ex carabiniere ausiliario, che nel 1996 permise di arrestare un conterraneo, Raffaele Rao, responsabile a Tivoli (Roma) di una rapina ai danni di un perito del tribunale di Roma.

Lontano dalla Calabria delle faide, la famiglia lo pensava al sicuro. Eppure, proprio lì, ha incrociato il destino di Raffaele Rao, giovanissimo compaesano, che “studiava” da picciotto. Per ordine del clan, il 15 luglio del ‘91 aveva rapinato un perito chimico del Tribunale di Roma di un importante quantitativo di eroina e cocaina. Ma proprio mentre si allontanava dall’appartamento dell’uomo, Rao si è scontrato con Ventura, la cui testimonianza è stata fondamentale per arrivare all’individuazione e alla condanna del giovane. E questo il clan non glielo ha mai perdonato. Sette anni dopo, hanno individuato l’ex carabiniere proprio a Lamezia Terme e gli hanno presentato quel conto rimasto in sospeso da anni. (Repubblica.it)

La Corte d’Appello di Catanzaro ha confermato 30 anni di carcere per il mandante dell’omicidio, Antonio Domenico “Mimmo” Cannizzaro. Il killer (il collaboratore di giustizia Gennaro Pulice, condannato a 10 anni in primo grado dal Gup (con il rito abbreviato e a 7 anni e 8 mesi in appello.

Il 17 dicembre del 1980 a Giugliano (NA) venne uccisa l’insegnate 25enne Filomena Morlando.

Fu assassinata a pochi passi dalla sua abitazione mentre rincasava. Tra le poche centinaia di metri che la separavano da via Monte Sion, la giovane donna si trovò coinvolta in una sparatoria tra appartenenti a bande rivali della camorra locale. La giovane fu colpita alla testa da un proiettile e si accasciò al suolo a causa della ferita che ne causò il decesso pressoché immediato.

Per troppo tempo la stampa ha ingiuriato il nome e la storia di Mena parlando del suo caso nei termini di un omicidio passionale. I familiari, su tutti il fratello Francesco, si sono battuti negli anni perché Mena fosse riconosciuta quale vittima innocente di camorra. Il magistrato Raffaele Cantone ha adottato questa terribile vicenda e nel corso di numerosi interventi pubblici e nel libro “Solo per giustizia” ha sempre sottolineato la matrice camorristica dell'assassinio di Mena.  

La dinamica dei fatti non è mai stata ricostruita in un processo.

Il 18 dicembre del 1982 a Castrolibero (CS) venne ucciso l’imprenditore Mario Dodaro, 43 anni.

Quella sera stava rientrando stava dal suo salumificio e fu affrontato davanti casa, a Castrolibero, da alcune persone, una delle quali armata di pistola. Dodaro aveva un borsello con l’incasso della giornata. Pare reagì. Chi era armato sparò. Dodaro, preso al collo, giunse cadavere all’ospedale di Cosenza intorno alle 20.45, dove era stato portato da alcuni parenti. Il borsello rimase per terra. Nessuno lo prese.

Mario Dodaro era un personaggio in vista in città ed era uno dei più noti imprenditori della provincia. Ma era anche un uomo che, proprio perché si era fatto da sé, rifiutava i compromessi e soprattutto aveva sbattuto la porta in faccia agli uomini del racket che erano andati a chiedergli duecento milioni di lire come acconto per la sua sicurezza.

Il caso è stato archiviato e giustizia non è mai stata fatta.

Il 19 dicembre del 1995 a Somma Vesuviana (NA) venne ucciso il finanziere Angelo Prisco, 28 anni. 

Fu ucciso il in una radura all’interno del Parco Nazionale del Vesuvio. Il militare venne ritrovato in una località impervia, colpito a morte da una rosa di pallini esplosi da breve distanza.

Il 20 dicembre del 1987 a Torre del Greco (NA) venne ucciso il sottoufficiale di polizia in pensione Aniello Giordano, 63 anni.

Si trovò coinvolto in una sparatoria di camorra all’interno del mobilificio “2P” di Torre del Greco.  Era lì trova lì per acquistare un salotto per il figlio, sposato da poco, quando due uomini armati fanno irruzione nel locale. Un terzo rimase all’esterno di vedetta. Pochi attimi e i malviventi aprirono il fuoco. L’obiettivo dell’agguato avrebbe dovuto essere il titolare del mobilificio, Pasquale Polese, 33 anni, bersaglio dei clan per la sua scelta di non pagare il pizzo. Il titolare, il cognato di questi, Ciro Izzo, di 36 anni, un dipendente, il 48enne Giuseppe Russo, rimasero feriti dalle pallottole esplose. Aniello Giordano, ferito più seriamente, morì qualche giorno dopo il ricovero presso l’ospedale “Maresca”.

A distanza di trent'anni non si conoscono ancora i nomi degli assassini di Aniello, anche se questo non ha fermato la sete di giustizia e di verità dei suoi cari.

A distanza di 37 anni non si conoscono ancora i nomi degli assassini di Aniello, anche se questo non ha fermato la sete di giustizia e di verità dei suoi cari.

Il 23 dicembre 1984 nella Grande Galleria dell'Appennino avvenne la Strage del Rapido 904 proveniente da Napoli e diretto a Milano.

La responsabilità dell'atto è da attribuirsi a Cosa nostra. L'attentato venne compiuto di domenica nel fine settimana precedente le feste natalizie. Il treno, trainato dal locomotore E.444.030, era pieno di viaggiatori che ritornavano a casa o andavano in visita a parenti per le festività. Intorno alle 19:08, il convoglio fu dilaniato da un'esplosione violentissima mentre percorreva la Direttissima in direzione Nord, all’interno della Grande galleria dell'Appennino, in località Vernio.

La detonazione fu causata da una carica di esplosivo radiocomandata, posta su una griglia portabagagli del corridoio della 9ª carrozza di seconda classe, a centro convoglio: l'ordigno era stato collocato sul treno durante la sosta alla stazione di Firenze Santa Maria Novella.

 

Le vittime:

Giovanbattista Altobelli (a.51).

Anna Maria Brandi (a.26).

Angela Calvanese in De Simone (a.33).

Anna De Simone (a.9).

Giovanni De Simone (a.4).

Nicola De Simone (a.40).

Susanna Cavalli (a.22).

Lucia Cerrato (a.66).

Pier Francesco Leoni (a.23).

Luisella Matarazzo (a.25).

Carmine Moccia (a.30).

Valeria Moratello (a.22).

Maria Luigia Morini (a.45).

Federica Taglialatela (a.12).

Abramo Vastarella (a.29).

Gioacchino Taglialatela (a.50, successivamente).

 

La notte tra il 24 ed il 25 dicembre del 2014 a Forcella, Napoli, venne colpito alla testa da un proiettile il 26enne georgiano Giorgi Gorgadze, deceduto dopo quattro giorni in sala di rianimazione al Loreto Mare. 

 Sarebbe stato il proiettile esploso da uno dei palazzi di vico delle Zite, a Forcella, a colpire il 26enne. Pallottola vagante, omicidio volontario? Non si sa.  

Il gran numero di bossoli repertati dalla polizia lungo la strada che si trova a pochi passi dalla scuola intitolata alla povera Annalisa Durante dimostra che poco prima della mezzanotte del 24 in tutto il rione ci fu una vera e propria pioggia di fuoco.

Giorgi stava giocando con la sua playstation quando ha avvertito un fortissimo bruciore al capo. Neppure il tempo di sedersi sul divano e si è accasciato. La moglie, una connazionale, pensava a un malore, un’emorragia. L’ambulanza del 118 l’ha condotto al pronto soccorso del Loreto Mare.

Nulla si è saputo. Chi è stato? Perché? Niente. È stato ucciso. Una notizia di cronaca nera dimenticata.

Il 27 dicembre del 1989 a Messina morì Provvidenza Bonasera, 65 anni, colpita per errore durante un raid.

Al villaggio Aldisio, quartiere di Messina, quel giorno, , vicino al capolinea dell’autobus numero 2, la povera 65enne Provvidenza Bonasera stava facendo la spesa nel supermercato Despar, che apparteneva ai genitori del boss mafioso Pippo Leo, la vittima designata dei killer della fazione avversa. Quattro sicari armati arrivarono davanti al supermercato, scesero dall’auto, una Giulietta poi ritrovata bruciata, con i volti coperti da passamontagna, e cominciarono a sparare all’impazzata con un fucile a canne mozze, per eliminare Leo. Stile Chicago anni 30. Ma lui riuscì a salvarsi mentre cinque persone, ben cinque persone, tra clienti del market e passanti, rimasero feriti. Provvidenza fu ricoverata per mesi in ospedale, soffrendo atrocemente per le ferite ad una gamba, fino a morire il 27 dicembre dello stesso anno.

Il 29 dicembre del 1967 a Torre del Greco (NA) venne ucciso l’appuntato dei Carabinieri Giuseppe Piani, 38 anni. Cadde, colpito da diversi colpi di pistola, mentre eseguiva l'arresto di Giuseppe Cosenza.

Quella sera il carabiniere Piani, nativo della provincia di Messina, prese in Caserma la telefonata anonima con la quale si segnalava la presenza in città di Cosenza. Erano giorni di festa e non erano disponibili auto di servizio. Giuseppe non si perse d'animo, salì a bordo della sua Fiat 500 e, accompagnato dal brigadiere Antonio Pizzo, si diresse verso la barberia Ascione. Cosenza si consegnò senza opporre resistenza e chiese per questo di non essere ammanettato.

La decisione, insieme a quella di non perquisire un pregiudicato che si era consegnato senza problemi e doveva scontare appena dieci giorni di carcerazione, si rivelerò tuttavia fatale per i due carabinieri. Cosenza estrasse infatti nel corso del tragitto verso l'auto una pistola dal giubbotto. Con questa esplose 5 colpi che feriranno Pizzo e 4 all'indirizzo di Piani. Giuseppe perse subito conoscenza e morì poco dopo in ospedale.

Catturato qualche giorno più tardi, Cosenza venne condannato all'ergastolo. Per l'estremo e generoso sacrificio, il Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri ha conferito al Carabiniere scelto Piani la promozione al grado di Appuntato, concedendo inoltre la medaglia d'oro "per benemerenza d'istituto".

Il Ministero dell'Interno, con propri Decreti, ha riconosciuto all'Appuntato Piani Giuseppe, caduto in attività di servizio, la qualifica di "vittima del dovere". Nel 2010 il Presidente della Repubblica ha consegnato la medaglia d'oro al merito civile alla memoria di Giuseppe.

 

Vittime del 31 dicembre:

 

2007 a Torre Annunziata fu ucciso Giuseppe Veropalumbo. Un giovane carrozziere di trent’anni sposato e padre di una bambina. Durante i festeggiamenti per il Capodanno 2008, Giuseppe era con la sua famiglia nell’abitazione di via Vittorio Emanuele. Erano le 23:15 e in quel preciso momento venne esploso da ignoti il proiettile che lo uccise;

 

2008, a Napoli venne ucciso il 24enne Nicola Sarpa. Stava festeggiando la sera di capodanno con la sua famiglia e si affacciò al balcone per far rientrare in casa il fratellino di 8 anni che si trovava in cortile a giocare con gli amici. In una casa poco distante, Manuela Terracciano, figlia del boss Salvatore, decise di festeggiare l’arrivo del nuovo anno esplodendo alcuni colpi di pistola in aria: uno di questi colpì Nicola e la corsa in ospedale si rivelò inutile.

 

2010, a Crispano venne ucciso Carmine Cannillo, operaio di 39 anni. Aveva deciso di festeggiare l’arrivo del nuovo anno a casa di amici, a Crispano. Verso mezzanotte, Carmine e il figlio piccolo si spostarono in cortile per guardare meglio lo spettacolo offerto dai fuochi. Proprio nel giardino antistante l’abitazione, l’operaio edile viene colpito a morte da un proiettile vagante;

 

2015, a Forcella venne ucciso Maikol Giuseppe Russo, venditore Ambulante di 27 anni. È stato ucciso a Napoli all’interno di un bar di Piazza Calenda a da un proiettile vagante sparato durante una stesa la sera del 31 dicembre 2015.

 

 

Francesco Emilio Borrelli

 

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