Libertà e democrazia secondo Washington
Quando nel 1886 la Francia regalò agli Stati Uniti la Statua della Libertà per commemorare i 100 anni dell’indipendenza degli Stati Uniti, il regalo acquisì intrinsecamente un significato di libertà, democrazia e diritti umani, valori che apparentemente sia la Francia che gli Stati Uniti non solo condividono, ma anche difendono. Ecco dunque una prima menzogna, in quegli anni la Francia era già ben avviata sulla strada della colonizzazione e della messa in schiavitù di mezzo continente Africano. Allo stesso tempo sembra incredibile che molte persone sotto sotto ancora credono che gli Stati Uniti difendano la libertà, la democrazia e i diritti umani. Qualcuno disse che il capitalismo e i diritti umani sono incompatibili, ma lasciamo perdere, non è questa la sede per discettare di quella affermazione. Ciò che gli Stati Uniti difendono realmente sono i propri interessi nazionali e quelli delle loro grandi corporazioni, il resto è menzogna. Una volta in Cile venne eletto democraticamente un presidente che aveva iniziato ad arginare e regolamentare lo strapotere delle multinazionali statunitensi che si erano praticamente impossessate dell’intero paese. Ma non andò come previsto, infatti fu assassinato e sostituito con un militare, un dittatore che eliminò brutalmente negli anni a seguire tutti gli oppositori, politici e civili. Nel Cile degli anni '70 non solo si distrusse la democrazia con l’assassinio di Salvador Allende, ma si calpestarono anche i diritti umani sotto il pugno di ferro del dittatore Pinochet, grazie al sostegno degli Stati Uniti.
Quando i popoli Americani cercano la propria strada verso il progresso, secondo il principio di autodeterminazione, attraverso riforme agrarie e la nazionalizzazione delle risorse naturali tenute in ostaggio dalle multinazionali statunitensi ed europee, i burocrati di Washington organizzano subito una bella “Operazione Condor”, piazzando dittatori prezzolati filo-americani qua e là, fermando lo sviluppo di questi paesi a vantaggio della competitività finanziaria, politica e militare degli Stati Uniti d’America. Come dimenticare il massacro nelle piantagioni bananiere in Colombia del 6 dicembre 1928, quasi 100 anni fa, quando i militari dell’esercito nazionale colombiano uccisero a sangue freddo decine di contadini disarmati, lavoratori per la United Fruit Company, che chiedevano miglioramenti salariali. Gabriel García Márquez, premio Nobel della letteratura, narra quegli eventi nella la sua opera «Cent’anni di solitudine». Il massacro e la repressione degli operai iniziarono all’alba del 6 dicembre del 1928 e proseguì per tre settimane. Per quell’atto, quella compagnia doveva essere bandita dal mercato internazionale ma accadde l’esatto contrario. Le multinazionali USA hanno sempre ricevuto dai tecnocrati di Washington tutto il fiancheggiamento necessario, mentre i milioni di dollari di profitti ottenuti dallo sfruttamento dei paesi sottosviluppati finivano nelle banche di New York, sede della tanto venerata Statua della Libertà. Durante il ventesimo secolo la United Fruit Company è diventata una forza politica ed economica determinante in molti paesi americani, influenzando in modo decisivo governi e partiti politici, sponsorizzando colpi di stato e politici compiacenti. La multinazionale bananiera non era l’unica a lucrare con questo modus operandi, e se i popoli non conoscono nemmeno la propria storia sono condannati a ripeterla, magari sotto forma di farsa ma ugualmente tragica poiché ci sarà sempre qualcuno che, oltre ai risparmi, ci lascerà anche le “penne”. Nel 1954, il presidente guatemalteco Jacobo Árbenz, eletto democraticamente, fu rovesciato da un colpo di stato progettato ed eseguito dal governo degli Stati Uniti e dalla CIA, con il patrocinio della United Fruit Company. Il più grande errore di Jacobo Árbenz fu quello di attuare una riforma agraria a favore dei contadini, grazie alla quale la United Fruit Company sarebbe stata compressa nell’alveo della legalità e del rispetto dei diritti umani e dell’ambiente, anziché continuare indisturbata a godere dei frutti del suo saccheggio, dello sfruttamento degli esseri umani e del territorio, devastandolo. Dopo tanti massacri e scandali finanziari, la United Fruit Company, ispirata dagli esempi dei casati pirateschi d’oltremanica, decise di cambiare nome in Chiquita Brands International, continuando a fatturare grazie alla sofferenza e alla fatica dei contadini americani. Anche la narrazione dello sviluppo del Giappone e della Corea del Sud avvenuto grazie agli Stati Uniti, è un’altra menzogna. Punto primo: il Giappone era già un paese sviluppato e industrializzato prima della Seconda Guerra Mondiale, dopo la quale dovettero solo riattivare le loro industrie pressoché lasciate intatte dai bombardamenti, cosa che avvenne sotto il controllo e la militarizzazione degli Stati Uniti, i quali si guardarono bene dal “nuclearizzare” i siti produttivi strategici. Il Giappone è di certo un paese straordinario, ma non è sovrano e la sua politica estera giapponese è modulata in base agli interessi USA. Il Giappone è anche il paese che ospita più basi militari statunitensi e la sua costituzione fu redatta da militari e burocrati di Washington. Alla Corea del Sud è toccato più o meno lo stesso spartito da suonare ma lì è andata molto peggio. Il primo presidente sudcoreano, Syngman Rhee, laureatosi in prestigiose università statunitensi, noti vivai della CIA, eliminò qualsiasi tipo di opposizione con brutali misure autoritarie. Sostenuto dagli Stati Uniti, quando fu deposto, si rifugiò nelle isole Hawaii a godersi il bottino grazie all’immunità garantita da Washington. Non c’è da meravigliarsi, del resto, che le migliori “professionalità” naziste sono state accolte a braccia aperte negli States, grazie ad un passaporto falso fornito dagli “alleati”. La Corea del Sud ebbe poi un altro sanguinario dittatore che per quasi 20 anni sospese completamente le libertà individuali e di stampa. Il dittatore Park Chung-hee fu anch’egli giustapposto dagli Stati Uniti e molti anni dopo i sudcoreani “scelsero” sua figlia, Park Geun-hye, eletta presidente nel 2013. L’insaziabile cleptomane erede del dittatore non riuscì nemmeno a completare il suo mandato. Coinvolta in innumerevoli atti di corruzione, grazie ai quali le casse dello stato divennero il suo ATM personale, venne opportunamente rimossa dal potere. E la storia si ripete ancora oggi nella moderna Corea del Sud dello Squid Game, sotto forma di farsa. Giappone e Corea del Sud hanno loro storia, passata e recente, farcita di vicende penose poco o per nulla democratici, provocati dagli Stati Uniti con esperimenti di ingegneria sociale. Evidenziare che la posizione geografica di queste due potenze asiatiche aiuta a chiarire che essendo estremamente strategica, ha giocoforza costretto gli Stati Uniti ad essere più permissivi, concedendo a questi paesi il privilegio di progredire di più rispetto agli altri paesi dell’area e di godere di un “guinzaglio” un po’ più lungo. Per l’America invece, o per meglio dire per tutto quel territorio americano al di fuori dei confini di USA e Canada, le cose sono andate diversamente. «Non abbiamo bisogno di un Giappone a sud del confine» così tuonava Zbigniew Brzezinski, segretario alla Sicurezza degli Stati Uniti del governo di Jimmy Carter, cioè nel continente americano, al di fuori degli Stati Uniti e Canada, nessun paese può svilupparsi o industrializzarsi o tentare il percorso di “successo” del Giappone o della Corea del Sud, perché ciò rappresenterebbe una minaccia diretta per gli interessi degli Stati Uniti nel suo stesso continente. Da qui il vero significato del termine "cortile sul retro di casa", riferito a quel territorio fuori dai confini, ricco di risorse in cui le multinazionali statunitensi hanno carta bianca per manipolare a proprio uso e consumo popoli, territori, governi e dittature. Se invece emerge qualche ostinato oppositore, lo depongono subito o lo eliminano fisicamente, sostituendolo con qualcuno più in linea con i loro interessi, magari cooptato dal nulla, ad esempio come l’economista Milei in Argentina. Inviato a dare spettacolo in giro per il mondo, in questi giorni Milei è stato ospite di Atreju evento dove ha regalato ai rappresentanti del governo italiano venti minuti di una esilarante lectio magistralis di economia spiccia, rigorosamente in castigliano, platea di cui la maggioranza dava la netta impressione di non capire nulla ma che applaudiva e rideva ad ogni pausa. Chissà se avranno spiegato all’anarcolibertario Milei che quelli seduti in prima fila avevano appena proposto di tassare al 42% le cryptomonete, quelle che lui stesso ha venduto in campagna elettorale come soluzione alla crisi economica del debito pubblico Argentino. Forse è meglio così, che non si sono capiti (o che hanno fatto finta di non capire), almeno hanno risparmiato al popolo italiano e a popolo argentino un’altra figura barbina in mondovisione. Il paese delle libertà per eccellenza, dunque, ha sempre eterodiretto governi sottomessi che, per una valigetta piena di dollari e una pensione a Miami, proteggono gli interessi delle lobby invece di quelli del loro popolo. Questa è la cruda realtà, Nayib Bukele, decretando che le crypto monete sono utilizzabili al pari del dollaro, anche per comprare il pane, si è scavato la fossa da solo, ed è già stato avvertito; infatti pare che stia trattando la “resa” in cambio di un prestito del FMI, in dollari, prestito che El Salvador ovviamente non riuscirà mai a ripagare. I paesi che utilizzano il dollaro come moneta di scambio sul mercato mondiale, regalano agli Stati Uniti una grande quantità di denaro a cambio di nulla. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno ricevuto 10 trilioni di dollari senza muovere un dito, valuta piovuta dal cielo per il semplice fatto che il dollaro è utilizzato come moneta di riserva mondiale. Grazie ai tassi di interesse ed agli ingenti depositi di dollari di riserva di altri paesi nelle banche USA, guadagnare 10 trilioni di dollari è piuttosto significativo e a parecchi paesi a cui è stato trasmesso l’effetto della truffa dei prodotti derivati prima e del debito pubblico poi, è saltata la mosca al naso. In sostanza, gli Stati Uniti, grazie al dollaro, continuano a sfruttare altre economie del mondo a proprio favore, sostenendo praticamente a costo zero l’intero complesso politico-militare con il quale tenere sotto scacco buona parte del pianeta e allo stesso tempo “socializzando” a livello globale le perdite generate dai fallimenti geopolitici e finanziari che si succedono a ritmo incalzante. L’origine della truffa: Nel 1944 il mondo che “conta” accettò il dollaro statunitense come valuta di uso internazionale durante la conferenza di Bretton Woods. Furono presentati due progetti finanziari, quello britannico, elaborato da John Maynard Keynes, e quello statunitense. I delegati di 44 paesi dovevano scegliere uno di questi due progetti, che sarebbe stato adottato come sistema internazionale. La “scelta” non fu così democratica, visto che alla conferenza parteciparono solo 44 paesi, che non rappresentavano nemmeno la metà di tutti i popoli del pianeta la maggioranza dei quali avevano subito gli effetti di ben due guerre mondiali. Gli statunitensi proposero la loro moneta, il dollaro, per un uso internazionale, mentre i britannici proposero la creazione del Bancor, un’unità monetaria internazionale il cui valore sarebbe stato stabilito in relazione a 30 beni di consumo fondamentali. Evitando di analizzare la dinamica e nella corruttela che portò alla decisione finale, basta sapere che la proposta statunitense vinse e il “Bancor” non vide mai la luce. Magicamente il dollaro diventò una moneta forte e resistente sui mercati, quindi unificare i valori dei beni e servizi a livello internazionale rispetto al dollaro statunitense sembrava una soluzione ottima e allettante. Molti paesi per anni furono contenti dell’uso internazionale del dollaro ma nel 1971 scattò la trappola. Nixon soppresse la convertibilità tra il dollaro e l'oro, annunciando così che non c'era più oro a copertura della valuta stampata, e quest'ultima divenne il nuovo oro, fatto di cotone e di lino tinto di verde. In breve tempo iniziarono ad arrivare le lamentele, specialmente quando si scoprì che, sebbene in teoria tutti nel mondo avessero la libertà di usare il dollaro, così come gli Stati Uniti avevano promesso, in realtà questa libertà aveva un limite imposto unilateralmente dai burocrati di Washington, in base alla capacità di soddisfare i loro desideri e di allinearsi di volta in volta alle loro politiche. L’idea originale che fu “venduta” a Bretton Woods era che la loro moneta la offrivano garantita da riserve auree, per i traffici del commercio globale, assicurando che non avrebbero potuto usare la loro moneta come arma politica in quanto essa poteva essere subito convertita in oro. Quando il dollaro, ormai sganciato dall’oro, non ebbe praticamente alcun “competitor”, ben presto iniziarono a manifestarsi minacce, blocchi e guerre commerciali per frenare lo sviluppo dei rivali geopolitici e commerciali. A quelle nazioni che non fanno ciò che vogliono a Washington, con un semplice clic possono togliergli quella libertà che gli avevano concesso per usare il dollaro nel commercio internazionale. Limitare l’uso del dollaro, dopo che il dollaro era stato imposto a livello internazionale come unico strumento di transazione, mostra tutti i tratti tipici di autoritarismo e dittatura globale. Se una parte significativa del mondo ha scelto il dollaro come valuta di uso internazionale, Washington in astratto non dovrebbe sanzionare o bloccare un paese semplicemente perché vuole svilupparsi o perché non vuole farlo secondo i desiderata dell’inquilino di turno della casa bianca. Guardando in retrospettiva il Bancor, la proposta britannica del 1944, sarebbe stata una scelta migliore rispetto al dollaro, sempre se questa unità monetaria fosse stata creata come una valuta realmente libera, internazionale e decentralizzata, senza il controllo di un solo stato o di un blocco di potere. Una valuta globale infatti dovrebbe essere una moneta che non venga proibita a nessuno e dove le riserve nazionali valutate in quella moneta siano realmente intoccabili. A questo riguardo Keynes dovrebbe essere ritenuto il padre putativo della Blockchain e del protocollo Bitcoin. Questi concetti fanno parte del rispetto della proprietà privata che tanto difendono i neoliberisti occidentali, pirati che alla prima occasione si appropriano di ciò che appartiene ad altri e se non ci riescono, lo distruggono, magari con il nuovo processore quantico di Google, di cui si vocifera insistentemente, in grado di azzerare il valore delle cryptomonete in pochi minuti. Stanchi di questo sistema finanziario internazionale, creato dagli Stati Uniti, per gli Stati Uniti e su misura per gli Stati Uniti, un gruppo di paesi da diversi anni ha iniziato a creare sistemi alternativi. Gli abusi di potere statunitensi hanno portato questi paesi a coalizzarsi per creare meccanismi finanziari paralleli. Non per distruggere il dollaro o il sistema finanziario internazionale controllato dagli Stati Uniti, ma per sottrarsi al ricatto ed avere alternative in caso di crisi, sanzioni e blocchi. Le alternative sono parte fondante della democrazia e della libertà, ma il sistema finanziario internazionale fino a non molto tempo fa non offriva vie d’uscita e per esportare, c’era bisogno di dollari e dello SWIFT. Tuttavia la storia e la vita insegnano che nei casi in cui sembra non esserci una via d’uscita, se si vuole sopravvivere, c’è sempre una soluzione. La soluzione questa volta è stata quella di usare valute nazionali tra paesi che cercano una diversificazione monetaria internazionale e ciò che a molti sembrava impossibile, sta già accadendo da qualche anno. Ed è per questo che dal paese che ospita la Statua della Libertà, cercano in tutti i modi, leciti ed illeciti, di annichilire chi si azzarda ad aggirare il loro sistema. Da alcuni mesi i media internazionali rilanciano la notizia che i paesi BRICS progettano l’introduzione di una valuta comune per bilanciare significativamente il peso geopolitico dell’uso di dollari ed euro. Nel lungo periodo, si prevede che la futura valuta BRICS diventi un mezzo di pagamento e valuta di riserva alternativa, non solo all’interno del blocco economico dei paesi aderenti, ma anche in altri paesi non membri che mantengono buone relazioni con i paesi BRICS e che preferirebbero usare la nuova valuta anziché il dollaro. Per capire la portata della questione basta considerare che i BRICS rappresentano quasi il 44% della popolazione mondiale, un 44% che fino a poco tempo fa utilizzava solo il dollaro per le sue importazioni ed esportazioni e che, se fosse creata una valuta BRICS, userebbe il dollaro solo marginalmente nel commercio internazionale. I BRICS non distruggerebbero il dollaro ma certamente toglierebbero agli Stati Uniti una parte del mercato delle riserve monetarie e della sua influenza a livello globale. La nuova valuta potrebbe diventare una realtà in breve tempo e rappresenterebbe un efficace contrappeso allo strapotere del dollaro, riportando i Neocon a miti consigli. Quando il presidente eletto alza la voce e minaccia i BRICS per l’intenzione di creare di una nuova moneta, è sufficiente per iniziare a considerare seriamente che il tema di una valuta alternativa al dollaro è di importanza vitale per gli Stati Uniti e che cercheranno a tutti i costi di mantenere l’egemonia mondiale. Donald Trump ha dichiarato che, quando si insedierà a gennaio 2025, prenderà subito in considerazione l'imposizione di dazi del 100% su tutti i prodotti importati dagli Stati Uniti dai paesi BRICS, Cina, India, Sudafrica, Arabia Saudita, etc. Le parole di Trump non sono solo una chiara minaccia al libero commercio, tanto predicato dagli USA, ma anche alla libertà in generale, ovvero quella di poter creare, inventare, sviluppare o fare ciò che si desidera nel rispetto delle leggi e degli accordi internazionali. Russia e Cina per decenni hanno pagato in dollari il loro commercio bilaterale, ma dopo i blocchi, le sanzioni e le minacce, questi due paesi hanno deciso di utilizzare le loro valute nazionali, sviluppando allo stesso tempo altri meccanismi finanziari indipendenti.
La Russia e la Cina lo possono fare, ma solo perché hanno un efficientissimo arsenale nucleare, altri paesi meno attrezzati militarmente subirebbero la stessa sorte della Libia il cui governo si azzardò a dichiarare di voler emancipare dal franco CEFA e dal dollaro i paesi africani, creando una nuova moneta regionale garantita da ingenti risorse naturali. Molti ricorderanno come reagì il premio Nobel per la pace Barak Obama. Ovunque si utilizzano valute diverse dal dollaro, o si creano nuovi strumenti finanziari, si mina l'egemonia statunitense. Il Tycoon ha inoltre affermato che nessuno al mondo dovrebbe cercare di creare un'alternativa al potente dollaro: «per loro non c'è alcuna possibilità che i BRICS possano sostituire il dollaro nel commercio internazionale, e qualsiasi paese che tenti di farlo dovrebbe dire addio agli Stati Uniti. La suggestione che i membri dei BRICS stiano cercando di allontanarsi dal dollaro mentre noi restiamo con le mani in mano è finita, così come per i BRICS Plus sarà la fine del loro commercio con la meravigliosa economia statunitense se tentano di creare una valuta concorrente al dollaro». Per capire meglio basta grattare appena un po la superficie dei dati pubblici dell’economia USA, alla fine saranno gli stessi consumatori statunitensi a pagare quel dazio del 100%. I dazi nelle vere intenzioni di Trump, sono una tassa addizionale sui beni importati per renderli più costosi e spingere i my fellows americans a comprare prodotti nazionali. Ed è questa la nuova politica di colui che non è lo stesso Trump della passata presidenza, questo Trump ha un mandato diverso, un obiettivo diverso, una élite a sostegno di altissimo livello. La cerimonia di insediamento di questo Trump andrà in onda in diretta sul Prime Video di Jeff Bezos, il quale sosterrà tutte le spese del circo mediatico a copertura dell’evento oltre a sostenere il nuovo presidente con un robusto contributo in denaro per l’organizzazione della cerimonia. Le feroci campagne denigratorie del Washington Post che per anni hanno perseguitato il Tycoon sono ormai un ricordo lontano. Pace fatta anche con Mark Elliot Zuckerberg, che è stato più volte visto a Mar a Lago. Aggiungendo Musk, Gates, e qualche altro paperone meno noto, al tavolo da presieduto dalla figura di Trump, noteremo che la vera squadra a sostegno del Tycoon non è composta da scappati di casa, sacrificabili in quanto ricattabili, come quella ufficiale, pronti ad essere esautorati alla bisogna. Non possiamo quindi far altro che prendere atto che questi “Yankees che contano davvero” sanno fare squadra, compattarsi e saper giocare sporco appena sentono puzza di bruciato. La minacciata politica degli “extradazi” di Trump non investe solo i paesi rivali degli Stati Uniti, come i BRICS, ma anche i suoi vicini. All’inizio di novembre, Trump ha minacciato di introdurre dazi del 25% su tutti i prodotti di Messico e Canada accusati di non saper fermare il flusso di stupefacenti e migranti verso gli Stati Uniti. Un alto esempio di cortocircuito Trumpiano, infatti i maggiori consumatori di droghe e utilizzatori di mano d’opera sottopagata sono proprio i suoi my fellow americans, quelli che lo hanno votato e che hanno necessariamente bisogno di confini colabrodo, mentre i profitti generati da questi due tipici prodotti di importazione degli states, finiscono contabilizzati nel PIL. Per effetto delle sue minacce ai paesi BRICS, Trump ha già ricevuto una risposta anche dal Cremlino. Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, ha dichiarato che se gli Stati Uniti ricorressero alla forza per costringere i paesi a utilizzare il dollaro, rafforzerebbero ulteriormente la tendenza delle nazioni non allineate con gli Stati Uniti a passare all’uso di valute nazionali. Dalla Cina invece hanno fatto sapere che nulla e nessuno potrà indebolire la forte alleanza esistente tra i paesi BRICS, e che la Cina continuerà a rafforzare la cooperazione con i suoi partner. L’élite che conta, invece di negare l’esistenza di un mondo multipolare, esponendo il proprio paese ad un altissimo rischio di un conflitto civile interno senza precedenti, dovrebbero considerare seriamente le lagnanze dei loro elettori, soprattutto perché risultano legalmente e quantitativamente i privati cittadini meglio armati del pianeta. Più austerità e meno Colt, questa potrebbe essere l’unica ricetta che potrebbe salvare il popolo statunitense dal baratro in cui lo sta spingendo la loro stessa élite. L’impatto di un cittadino statunitense o canadese sull’ambiente è insostenibile. Un recente studio UNICEF certifica che se tutti i cittadini del mondo consumassero le risorse naturali allo stesso ritmo dei cittadini di Canada e Stati Uniti, sarebbero necessari almeno 5 pianeti Terra. I predecessori di Trump, i suoi oppositori politici, hanno contribuito significativamente ad indebolire le fondamenta del dollaro come valuta di riserva mondiale. Lo hanno fatto con le proprie mani, utilizzando il dollaro come strumento di lotta politica per i propri interessi personali a nocumento del cittadino comune statunitense. La partecipazione degli Stati Uniti nell’economia mondiale e dell’Europa sta diminuendo drasticamente, e quindi anche l’influenza del dollaro e dell’euro nei processi economici globali, ed è importante sottolineare che i processi legati all’uso di altri strumenti stanno avvenendo spontaneamente. Questi strumenti si svilupperanno in un modo o nell’altro perché tutti si sforzano di ridurre i costi e aumentare l’affidabilità dei mercati e la tenuta dei conti pubblici, essi fanno parte di un processo inevitabile quanto velocissimo, e la forza del dollaro non potrà fare nulla per impedirlo. Quello che avviene oggi nel mondo avviene in modo naturale, generando una contro spinta finanziaria anche da parte dei paesi “amici” degli Stati Uniti che stanno riducendo le loro riserve valutarie sia di dollari che di euro. Lo stesso Trump ha ammesso che è necessario creare una riserva strategica federale di crypto monete. Questa libera ricerca fotografa come la realtà di governi come quelli degli Stati Uniti e dei suoi alleati, non rappresentano né difendono la libertà, men che meno la democrazia. Sono stati messi lì a far da “scudo” a interessi che sono al di sopra di tutto e di tutti, perché è da questi interessi che dipende la sopravvivenza delle élite neoliberiste, quelle che muovono i fili da quando la sterlina ha ceduto la funzione al dollaro. Da Gennaio 2025 in poi, quindi, può succedere di tutto.
Luigi Speciale |
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