Castrati fisici e castrati mentali
E di castrati mentali se ne incontrano tuttora ogni giorno, spuntano come i funghi dopo le prime piogge autunnali e, come il prezzemolo, s’imbucano in ogni minestra, facendo capolino da ogni campo dello scibile umano, dalle scienze, alle lettere, alla politica, alla religione. Per illustrare – seppur marginalmente – la tanta sporcizia che galleggia allegramente nel campo scientifico, Giovanni Ferrari, all’epoca ordinario di biotecnologie vegetali all’Università di Padova, dove insegnava Biochimica Agraria e Fisiologia delle piante coltivate, scrisse un libretto dal titolo Homo Scientus – Crescita o declino di una nuova specie?1 In prefazione Ferrari ha scritto che «come il “politichese” ha creato il baratro tra cittadini e politici, lo “scientese” l’ha creato tra scienziati di diversa estrazione e tra produttori e destinatari dell’informazione scientifica.»
Vi sono tuttavia altri castrati, quelli fisici, la specie meno pericolosa ma più irrisa dal mondo, disseminata nel lunghissimo percorso storico del genere umano, verso cui molto raramente si è volta l’umana pietà. Tra gli innumerevoli scritti sugli eunuchi, a far data dal XVIII secolo, forse l’unico che ha manifestato pietà per la loro umana condizione è quello di Edmondo De Amicis, inviato nel 1874 come corrispondente nella città del Bosforo, in “Costantinopoli”, edito dai fratelli Treves di Milano, di cui è consultabile l’edizione del 1878 su Google libri, e che venne tradotto nelle principali lingue europee e anche in turco. Orhan Pamuk, premio Nobel per la Letteratura nel 2006, lo ha definito «il miglior libro scritto nel diciannovesimo secolo sulla mia città». Dodici anni dopo, il 18 ottobre 1886, primo giorno di scuola di quell’anno, vide la luce il suo celeberrimo libro Cuore, un inno d’amore dedicato alla sacralità della Patria, che vide in pochi mesi ben quaranta diverse edizioni e decine di traduzioni in altre lingue, ma ampiamente e vergognosamente denigrato nel secondo dopoguerra da tanta parte della politica italiana. Erano gli anni in cui nelle scuole italiane s’imponeva l’insegnamento del clericalissimo testo dei Promessi Sposi. «Ma vi sono altri esseri, a Costantinopoli, che fanno più compassione dei cani, e sono gli eunuchi… questi disgraziati s’incontrano ad ogni passo nelle strade, come s’incontrano ad ogni passo nelle storia… comprati o rubati bambini, in Abissinia o in Siria, uno su tre sopravvissuti al coltello infame…disprezzati, scherniti, senza famiglia, senza madre, senza un ricordo affettuoso, segregati dall’umanità e dalla natura…» Così scriveva De Amicis nell’ultimo scorcio del 19° secolo. Molti, rosi dall’odio per il mondo che li aveva mutilati, emarginati, asserviti e derisi, divenivano vendicativi, pettegoli, pusillanimi, feroci e talvolta astutamente traditori. La pratica della castrazione è tuttora molto diffusa negli animali domestici quali i bovini (il maschio anziché toro diventa bue), il gallo (diviene cappone) e poi suini, ovini, caprini e così via, ma sono in tanti a far castrare “amorevolmente” anche i gatti e i cani di compagnia. La castrazione maschile è una pratica antichissima, i cui effetti nel corpo e nella mente iniziarono però ad essere studiati dalla Medicina solo a partire dal sec. XVII. La definizione medica più rigorosa del termine “castrazione” denota la rimozione di uno o due testicoli, praticata come ultimo rifugio della chirurgia in parecchie malattie di quelle parti anatomiche ma anche del pene. La pratica trovava però ampia diffusione nei soggetti destinati alla custodia e servizio delle donne nei serragli, parti del palazzo nobiliare meglio conosciute come Harem, nell’impero ottomano. Talora sta ad indicare l’estirpazione delle ovaie, pratica rarissima poiché situate in profondità nell’addome e raggiungibili solo da «mano esercitata condotta maestrevolmente.»2 Fu osservato così che il fanciullo, castrato avanti l’epoca della pubertà, rimaneva imberbe, le membra non acquistavano le solide forme virili e la voce, causa il limitato sviluppo della laringe, diveniva “acre ed acuta”. I giovani castrati, a causa del particolare timbro della loro voce, venivano solitamente impiegati come cantanti nei teatri e nelle chiese. In Napoli a tale scopo esistevano delle botteghe di barbitonsori sulle quali campeggiava l’insegna: «Qui si castrano ragazzi a buon mercato» e la curiosità comparve su molte pubblicazioni mediche e scientifiche del tempo. Famoso fu il cantante pugliese Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, meglio conosciuto come Farinelli, che è ancor oggi ricordato come il più grande cantante nella storia dell'opera lirica. I ragazzi castrati che non servivano per il canto erano imbarcati per l’oriente ad infoltire le schiere degli eunuchi nei serragli. Il maggior numero di quegli sciagurati, tranne rare eccezioni, viveva in un perenne stato di apatia e manifestava i peggiori impulsi e sentimenti del genere umano: erano stati strappati alle famiglie in tenera età, privati di ogni affetto umano, anche della tanto agognata carezza più lieve, introversi e taciturni, odiavano l’intera umanità che li aveva emarginati e sbeffeggiati.
Tommaso Todaro
Note 1. Giovanni Ferrari, Homo scientus, Muzzio editore, Padova, 1993 2. Dizionario classico di medicina di chirurgia e d’igiene pubblica e privata, Tomo 5, tradotto dal francese da M. G. Levi, Venezia, G. Antonelli editore, 1832.
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