Ancora polemiche sul Premio Nobel per la pace
Basti citare il premier etiope Abiy Ahmed Ali, vincitore nel 2019 nonostante fosse accusato di aver favorito stragi di civili nel suo stesso Paese. Ma la lista è lunga. In precedenza, ad esempio, sono stati premiati Henry Kissinger nel 1973, Yasser Arafat nel 1994, Barack Obama nel 2009. Tutti personaggi controversi, anche se per motivi diversi. Impegnati in ogni caso in guerre e operazioni belliche che con la pace hanno poco a che fare. L’impressione, insomma, è che i Premi vengano assegnati per motivazioni politiche (o, ancor meglio, geopolitiche) che non dovrebbero ufficialmente avere alcun ruolo. Tra i premiati si salvano soltanto Martin Luther King e pochi altri.
In base a queste premesse non dovrebbero quindi suscitare eccessiva sorpresa le candidature per l’anno in corso. In testa troviamo il portoghese Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite dal 2017. Figura piuttosto controversa perché la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese è apparsa a molti unilaterale. Ha sempre accusato lo Stato ebraico senza tuttavia condannare con uguale fermezza il pogrom organizzato da Hamas il 7 ottobre 2023. La polemica, comunque, è destinata a crescere poiché tra i candidati al Nobel per la Pace figura anche l’UNRWA, vale a dire l’agenzia dell’Onu per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi. Impegno nobile, ma si dà il caso che alcuni suoi membri siano poi risultati affiliati di Hamas, partecipando in qualche caso personalmente alla strage del 7 ottobre. Nel caso l’agenzia risultasse davvero vincitrice, crescerà il numero di coloro che chiedono l’abolizione del Premio Nobel per la pace, ritenendo che i criteri di scelta siano sempre e irrimediabilmente viziati da pregiudizi di fondo.
Michele Marsonet |
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