Il Regolamento di polizia urbana di un piccolo comune della Calabria Ulteriore
Non erano ancora del tutto spenti gli echi delle battaglie napoleoniche quando, tra l’autunno del 1814 e il 9 giugno 1815, si riuniva a Vienna il congresso delle potenze europee che ridisegnava l’assetto geografico e politico dell’Europa, ripristinando i vecchi regimi. Waterloo (18 giugno 1815) segnava per sempre la fine dell’era napoleonica e nel Regno di Napoli, quattro mesi dopo (13 ottobre 1815), al Pizzo, si spegnevano i sogni e l’avventurosa vita di Gioacchino Murat. L’8 dicembre dell’anno successivo il Regno di Sicilia fu unificato con il Regno di Napoli, originando il Regno delle Due Sicilie sotto lo scettro di Ferdinando IV che il Congresso ribattezzò Ferdinando I e i lazzaroni Re nasone, unico appellativo conosciuto dai napoletani.1 Uno dei primi atti del regno fu l’approvazione della Legge Organica sull’Amministrazione Civile del 12 dicembre 1816, n. 570 che sostanzialmente ricalcava, per i domini di qua del Faro, la legge dell’8 agosto 1806 voluta da Giuseppe Bonaparte.2 Per i domini di là del Faro si provvide con il decreto 11 ottobre 1817 completato dalla legge 8 marzo 1826.
La legge seguiva di poco quella del 1° maggio 1816 n. 360 che stabiliva la circoscrizione amministrativa dei domini di qua del Faro, apportante lievi modifiche al decreto del Regno di Napoli 4 maggio 1811 n. 922. Durante il decennio francese si era avuta una rapida, irreversibile evoluzione dello Stato da un modello incentrato sul potere feudale ad una struttura amministrativa e burocratica moderna, iniziata con la legge data in Napoli il 2 agosto 1806 da Gioacchino Napoleone, composta da 20 articoli, che all’art. 1 così recita: «La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque, che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili”. E all’articolo 2: “Tutte le città, terre, e castelli, non esclusi quelli annessi alla Corona, abolita qualunque differenza, saranno governati secondo la legge comune del regno».3 Gli interessi dei comuni dopo le leggi eversive delle feudalità erano rappresentati dal Decurionato. Nella Legge Organica l’amministrazione civile era suddivisa in provinciale, distrettuale e comunale (art. 1). L’articolo 53 stabiliva per l’amministrazione comunale le seguenti figure: il sindaco quale prima autorità e poi un primo eletto, un secondo eletto, un cancelliere archiviario, un cassiere e un consiglio comunale con la denominazione di Decurionato, corpo in cui risiedeva la rappresentanza del comune (art. 68), avente il Sindaco quale presidente. Compito del Decurionato (art. 68) era fra l’altro quello di nominare il sindaco e di scegliere nel suo ambito i due deputati (primo e secondo eletto perché assistessero il Sindaco), il cancelliere archiviario, il cassiere ed ogni altro agente, impiegato o incaricato comunale. Il primo eletto, in particolare, era incaricato della polizia urbana e rurale, secondo le istruzioni stabilite dal decurionato. Il capo IV della legge detta le norme sui regolamenti locali di polizia amministrativa, distinta in polizia urbana e polizia rurale (artt. 277 a 297). «I regolamenti di polizia urbana hanno per oggetto la conservazione della tranquillità e dell’ordine pubblico; la legittimità ed esattezza dei pesi e delle misure; la vigilanza sull’annona e sui venditori di generi annonarj; la vigilanza sulla conservazione e nettezza delle strade, delle piazze e dè pubblici stabilimenti; e la pubblica salute» (art. 278 comma 1) «Quelli di polizia rurale si propongono la salubrità, la sicurezza e la custodia delle campagne, degli animali, degli strumenti, e dé prodotti di esse; la ripartizione e l’uso delle acque pubbliche, e degli acquedotti addetti al pubblico comodo» (art. 278 comma 2) L’argomento della polizia amministrativa fu ampiamente commentato in un apposito volume di Rocco Zerbi (Oppido Mamertina 1792-1863), funzionario consigliere d’intendenza in Reggio, sottintendente a Palmi e poi a Gerace, quindi intendente a Bari.4 I regolamenti di polizia urbana e rurale approvati dalle amministrazioni comunali a partire dalla Restaurazione, sino al crollo della monarchia borbonica, sono stati oggetto di sporadiche attenzioni da parte degli storici, che hanno preferito invece rivolgersi agli avvenimenti della grande storia.5 Il notevole intesse che rivestono quei documenti consentirebbe invece di focalizzare i numerosi aspetti delle comunità locali mettendone a nudo luci, ombre, aspetti più o meno controversi e necessità. Le norme furono emanate nel contesto di una povertà estrema delle classi operaie e contadine del Regno, dove ancora i potentati locali, clero e nobiltà, la facevano da padroni e l’analfabetismo regnava incontrastato, anche tra le classi più agiate. Horace de Rilliet, chirurgo aggregato al 13° Battaglione Cacciatori, al seguito di Ferdinando II nelle esercitazioni militari del 1852 in Calabria, incluse nel suo diario vari bozzetti della vita familiare dei contadini, dove nella medesima stanza vivevano genitori, bambini, maiali, gatti e galline.6 Non desta meraviglia, infine, lo stupore di Norman Douglas che visitò la Calabria nel 1907 e nel 1911, innanzi alla strana fattura delle porte d’ingresso delle abitazioni, che si aprivano spesso con due battenti orizzontali anziché verticali.7 Il battente inferiore rimaneva chiuso e quello superiore aperto dall’alba al tramonto per dare aria all’abitazione/porcile e per impedire ai maiali di scorrazzare per la pubblica via, cosa che invece facevano allegramente le galline. Ambedue i battenti rimanevano invece chiusi durante la notte. Ho sottomano il manoscritto originale del regolamento di polizia urbana di una piccola comunità della collina interna catanzarese che all’epoca contava, secondo la circoscrizione amministrativa del 1816, poco meno di 900 abitanti, approvato dal Decurionato il 19 febbraio 1828 e dalla Giunta P.A. con il numero 70 del 28 Febbraio 1828 che, integralmente trascritto, unisco a questo articolo. Una curiosità: quel regolamento di polizia urbana è stato ripreso integralmente dal consiglio comunale nella tornata del 10 febbraio 1876 mentre l’articolo 49 bis è stato aggiunto con deliberazione consiliare del 4 dicembre 1897 N° 29 e approvato dalla Giunta Provinciale Amministrativa nella seduta del 20 dicembre 1897.8 Il Regolamento, in particolare, detta norme sull’ordine pubblico, igiene, prevenzione e soccorso in caso di calamità, edilizia privata e commercio. L’articolo 49 bis, aggiunto nel 1897, è inteso a reprimere il malvezzo dei proprietari di forni da pane (che ardevano frasche e legname) di chiudervi all’interno gli operai per evitare che trafugassero pane e farina. In caso d’incendio non avrebbero avuto alcuna possibilità di scampo. Scorrendo i vari articoli del regolamento che è superfluo commentare, ci si rende conto di quali e quante fossero le problematiche del microcosmo delle realtà locali.
Capitolo 1°: Tranquillità ed ordine pubblico Art. 1. Dopo le ore undici di notte, o quell’altra che verrà determinata dall’Autorità Politica del Circondario, sentita la Giunta Municipale, è proibito di perturbare la pubblica quiete con clamori, canti e rumori. Art. 2. E’ proibito di mettere al corso od a fuga precipitosa per l’interno dell’abitato, o nei luoghi di pubblico passaggio, buoi, muli, cavalli, carri ed ogni altra specie di veicolo a ruote. I cavalli, i muli, gli asini, quando si menano per le strade interne dell’abitato, debbono essere guidati per le redini, o per la cavizza.9 Art. 3. Sono vietati nell’interno del Comune tutti quei giuochi che richiamano concorso di persone e che possono arrecar danno in qualsiasi maniera, e fra essi specialmente quelli delle palle, dette bocce, e della ruzzola, volgarmente Bollo.10 Art. 4. Nessuno può esercitarsi tirando al bersaglio o con qualsiasi arma esplodente, se non nei luoghi che saranno stati preventivamente indicati dal Municipio. Art. 5. Non è permesso su le finestre, sui balconi, in la loggia o terrazze sovrapposte ai luoghi di pubblico passaggio, oggetti sporgenti, che cadendo possono recar offesa o grave disturbo ai passaggieri od ai vicini. Art. 6. E’ vietato di scagliare in qualsiasi maniera pietre, neve, terra, acqua o fango od altri oggetti che arrecar possono danno od offendere le persone. Art. 7. Coloro che intendono sparare mortaretti, petardi, lanciare razzi, accendere fuochi di artifizio o esercitare giuochi pirotecnici, debbono preventivamente ottenere la permissione dell’Autorità di pubblica sicurezza. Art. 8. I proprietari dei casamenti han l’obbligo di fabbricare i primi terminanti delle tegole dei tetti che sporgono sulla pubblica via. Similmente, i proprietari di vasche, cisterne o altre gole d’acqua, tanto nell’interno dell’abitato che nelle preadiacenze hanno l’obbligo di cingerli con mezzo o ringhiera dell’altezza di un metro dal terreno. Art. 9. I fabbricati e muri di qualunque genere esistenti lungo le strade debbono essere conservati in modo da non compromettere la sicurezza pubblica. Se il proprietario a ciò non provvede, ed i fabbricati minacciano rovina, l’autorità della Provincia o del Comune, può provocare dal giudice competente la facoltà di demolirli a spese dello stesso proprietario, salvi quei provvedimenti istantanei che sono nelle attribuzioni del Sindaco per la pubblica sicurezza senza pregiudizio della contravvenzione allo art. 685 del Codice Penale. Art. 10. E’ proibito eseguire qualsiasi scavo nelle pubbliche vie o nei siti pubblici, però nei casi d’urgenza il Sindaco potrà ordinare che lo scavo venga eseguito, determinando le condizioni. E’ vietato ancora di staccar pietre o cavar massi in siti dove gli scoscendimenti potessero arrecar danno a coloro che passano, senza l’autorizzazione dell’autorità comunale che prescriverà le cautele necessarie. Art. 11. Non è permesso di alterare, lacerare o cassare, od in qualsiasi modo distruggere, gli scritti e gli stampati affissi al pubblico per opera o permissione della pubblica autorità. La defissione non potrà eseguirsi pria che sia decorsa un’ora di notte. Art. 12. Cadono in contravvenzione coloro che nei casi di tumulto, di naufragi, d’inondazioni, d’incendi e di altra calamità, avranno rifiutato o trascurato di fare quei lavori o servizi, o prestar quei soccorsi di cui saranno da legittima autorità richiesti. Art. 13. A premunirsi e allontanare i pericoli d’incendio, tutti i canali o camini da fumo dovranno essere spazzati una volta almeno per ogni anno, a cura dei proprietari o degli inquilini della casa, ed allo scopo si ricordino le disposizioni del Codice Penale art. 662 e 663 n° 3°. Le canne fumarie dei cammini potranno protrarsi ad un metro al disopra del tetto, ed essere collocati in modo da non recar danno od incomodo ai vicini. Art. 14. I lavoranti che si adoperano all’estinzione di un incendio potranno introdursi nella casa o sui tetti vicini, con gli utensili occorrenti, ed i proprietari od inquilini saranno obbligati a permetterlo. Art. 15. Qualora l’incendio accada di notte, gli abitanti delle vicine case non potranno ricusarsi dallo illuminare la loro finestra ove ne siano richiesti. Art. 16. In detti casi d’incendio sarà obbligo di ognuno mettere a disposizione dell’Autorità tutti quegli utensili che verranno richiesti per la estinzione dell’incendio, salvo il risarcimento dei danni. Art. 17. Resta a cura del municipio, secondo l’importanza dei casi, promuovere dal Governo quelle riconoscenze che valgono a premiare lo zelo, il valore e l’abnegazione di coloro che più si saranno distinti nel prestare l’opera loro a salvamento delle persone pericolanti nelle alluvioni, uragani di neve, incendi.
Capitolo 2°. Dei venditori pubblici ed all’annona. Art. 18. Chiunque intenda aprire al pubblico trattorie, osterie, bettole, locande, caffè ecc. ecc. deve osservare il disposto degli art.li 35 e 36 della legge di P.S. Art. 19. Niuno, ottenuta la permissione di cui nel precedente articolo, può aprire l’esercizio assunto se pria non avrà denunziato all’Autorità Municipale il luogo in cui vuole stabilire il negozio ed il genere che intende apporre in vendita. Art. 20. I pubblici venditori di cui all’art 22 e seguenti, i quali intendessero dismettersi dal commercio disopro, sono obbligati di farne analoga dichiarazione al Sindaco del Comune 15 giorni prima della cessazione dall’esercizio. Art. 21. I venditori di commestibili, sia in luogo stabile, sia ambulante, sono tenuti di fare preventiva dichiarazione al Sindaco, del genere di esercizio aperto o da assumersi. Art. 22. Quando lo richiedessero eccezionali circostanze locali, e pel solo tempo della loro durata, la Giunta Municipale ha facoltà di stabilire la meta sul pane, sulla pasta, sulla farina e sulle carni fresche, e dovrà rivederla almeno ogni 15 giorni sulla base del prezzo corrente dei generi, del costo di produzione, compresi i dazi ed un equo guadagno per gli esercenti che son tenuti di osservare la meta stessa.11 Art. 23. Tutti i luoghi aperti alla vendita dei commestibili e delle bevande, sono soggetti alla vigilanza del Sindaco o dell’Assessore da lui delegato, e ciò ad oggetto di verificare nei limiti fissati dal presente regolamento, gli abusi che si potessero commettere, sia sulla meta, sia sul prezzo o sulla misura delle cose vendute, a danno dei compratori. Art. 24. I venditori di commestibili di qualsiasi genere, sono obbligati di tenere costantemente esposti al pubblico i pesi e le misure di che fanno uso nei loro esercizi, come altresì la tariffa indicante il prezzo di smercio di ciascheduno articolo sottoposto a meta ed in luogo di poter essere comodamente letto e compreso dagli avventori. Art. 25. I venditori per lo smercio di commestibili o di qualsiasi altro genere, non potranno usare che pesi e misure, secondo il sistema metrico decimale, bollati dal R. Verificatore. Art. 26. I venditori di generi, di cui all’art. 22 del presente regolamento, sono tenuti di mantenere aperti i loro esercizi sino ad un’ora e mezzo di notte in tempo di està e a due ore nei mesi invernali. Però i macellai non sono tenuti a tenerli aperti se non per un certo numero di ore, da indicarsi dall’Autorità Comunale secondo le stagioni. Art. 27. Ogni venditore di cui all’art. 22 è obbligato fornire il pubblico di detti generi, secondo l’utilità del proprio negozio e proporzionatamente allo smercio giornaliero di ciascun esercente. Art. 28. Nel caso volessero impiantarsi polverifici nel territorio del comune, dovrà osservarsi la distanza di metri 500 dalle pubbliche vie e di un chilometro dall’abitato. Art.29. È vietata nei fiumi la pesca con la dinamite o con altra sostanza velenosa. Capitolo 3° - Libera circolazione nelle vie. Art. 30. È vietato di porre ostacolo alla libera circolazione nelle pubbliche strade dell’abitato, e perciò nessuno potrà occuparle, benché temporaneamente, con qualsivoglia specie d’ingombro. Art. 31. Non è permesso di fermarsi nelle strade interne dell’abitato, e specialmente nella piazza del Municipio, con carri o con animali. I carri e gli animali che trasporteranno generi non potranno fermarsi nel luogo dello scaricamento, se non pel tempo necessario allo scaricamento medesimo. Art. 32. E’ proibito di porre sulle pubbliche vie ammassi di pietre, di travi, di calce, di arena, terra, concime, come anche ingombrarle con legname, carri o con qualsiasi altro oggetto. L’autorità Municipale però nei casi di urgenza potrà permettere per un determinato tempo detti ingombri, sempreché non si arrechi incomodo al transito. Art. 33. In verun punto dell’abitato potranno depositarsi materiali, ingombri, rottami, frantumi o altri oggetti provenienti da demolizioni di fabbriche o da scavamenti che i privati potessero fare nelle loro proprietà. Se mai qualche opera in costruzione o in ristauro abbisogna di puntelli che poggino sulla pubblica via, essa deve ottenere il permesso dell’Autorità Municipale e può farsi alle condizioni che dalla stessa verranno indicate. Art. 34. Ogni individuo che intende costruire un nuovo fabbricato o ristaurare di quelli esistenti, in qualunque punto dell’abitato, adiacenti alle strade o piazze comunali, deve preventivamente darne avviso all’Autorità Municipale. In seguito a tale avviso l’Autorità Municipale, o per esso la Giunta, si recherà nel luogo dove sono le fabbriche che debbono essere piantate o restaurate per verificare se vengono lesi gli interessi del Comune, occupando suolo pubblico comunale o larghi adiacenti, qualora le nuove fabbriche o le riparazioni occupassero l'area pubblica, o contravvenissero alle regole di ornato, all’igiene e sicurezza pubblica, la Giunta potrà opporsi nelle vie legali alla loro esecuzione proponendo le modificazioni che crederà necessarie. Art. 35. Allorché è necessario demolire qualche muro che sporge su la pubblica via, il proprietario è obbligato di adoperare, per quant’è possibile, tutte quelle cautele affinché il materiale demolito non cadesse su la via medesima. Art. 36. Non è permesso d’ingombrare le pubbliche vie con la formazione di palchi e smuovere quindi il selciato, senza avere ottenuto licenza dall’autorità municipale. Tale licenza però non esonera gli autori delle opere suddette, di rimettere a loro spese il suolo nel pristino stato. Art. 37. Non è permesso ad alcuno smuovere le pietre del selciato, scavare la terra delle vie o delle piazze, far dighe di pietre, di zolle, di strame, di terreno su le pubbliche vie e nelle cunette adiacenti, ad oggetto di raccogliere concime. Art. 38. Non è permesso alterare l’andamento normale delle acque che si raccolgono in tempo di pioggia su le vie pubbliche dello abitato, deviarle in altri luoghi a mezzo di dighe di qualsiasi natura o far loro prendere un corso diverso da quello stabilito con la sistemazione delle strade, ad oggetto di recar danno altrui. Art. 39. In tempo di alluvioni, ed anco di pioggia, nessuno proprietario di fondi rustici adiacenti all’abitato, potrà far dighe o praticare scavi su le pubbliche vie, ad oggetto d’impedire che le lavine arrechino danno alle sue proprietà. Art. 40. Chiunque faccia degli scavi o qualche altra opera per cui occorra smuovere il selciato, ancorché ottenutane licenza dall’Autorità municipale, è obbligato ritornarlo subito nel primiero stato. Art. 41. Nessuno potrà tenere dei porci liberi e vaganti per l’abitato, ma chi vorrà tenerne, dovrà farlo nei propri cortili e bassi delle rispettive loro case di abitazione, coll’obbligo di pulire ogni giorno i luoghi dove dimorano i porci.
Capitolo di Sgombro, nettezza e conservazione dei luoghi pubblici. Art. 42. Oltre di quanto è stabilito nelle leggi e regolamenti municipali, è proibito di decorticare, sfrondare o mutilare gli alberi delle passeggiate o piantati per abbellimento ai luoghi, come anche danneggiarli in qualsiasi modo. I proprietari degli animali che arrecano danni sono chiamati responsabili. Art. 43. È vietato danneggiare o imbrattare gli edifizi pubblici e privati, i monumenti e qualsiasi altra opera pubblica con sgarbi, scritti, figure e simili, come altresì cancellare i numeri delle case o le iscrizioni che nominano le strade. Art. 44. La spazzatura delle vie si farà due volte alla settimana a cura dei proprietari e degli inquilini delle case che fronteggiano le vie o strade medesime, ciascuno per la larghezza della casa e sino all’asse o alla metà della strada. La spazzatura delle piazze si farà a cura del municipio, ma gli inquilini o proprietari delle case che fronteggiano le piazze hanno l’obbligo di ripulirle e spazzarle per una larghezza di metri due. Art. 45. È vietato di lavar panni o fare il bucato nelle pubbliche fontane, come pure è vietato di contaminare le acque che filtravano nelle vasche adiacenti alle fontane medesime, lavando panni, gramigne e qualunque altro oggetto. Art. 46. Le acque esistenti nelle pubbliche fontane o nelle vasche adiacenti, non possono essere deviate da chicchessia per qualsiasi ragione o per qualunque mezzo. Art. 47. E’ vietato a chiunque depositare su le pubbliche vie bottiglie rotte, pezzi di vetro, stoviglie rotte ed ogni altro oggetto che possa cagionare incomodo o pericolo ai passanti. Art. 48. Per qualunque volontario devastamento, rottura o guasto ad argini, a dighe, a ripari, a ponti, ad edifizi, o ad altri manufatti, sarà punito giusto l’art. 666 Codice Penale. Sarà punito poi dell’art. 628: 1° - chi avrà senza alcun titolo estratto o fatto estrarre da qualsiasi cava, fiumara, torrente, rivo, fonte, canale ed acquedotto, acqua a lui non dovuta, e l’avrà divertita in qualunque uso. 2° - chi per tale oggetto romperà o smuoverà dighe o paratoie, o simili manufatti esistenti lungo qualche fiumara, torrente, cava, riva, fonte, canale ed acquedotto. 3° - Chi porrà ostacolo od impedimento all’esercizio del diritto che altri possono avere su quelle acque. 4° - Chi in fine sul corso della medesima usurperà qualsivoglia diritto, o ne turberà il legittimo altrui possesso. Art. 49. È vietato di gettare o fare scorrere su le pubbliche vie, sia di giorno che di notte, acque, orine o altre materie fecali. Art. 49 bis. È espressamente vietato ai proprietari dei forni di chiuderli di notte dal di fuori per impedirne l’uscita degli operai e l’asportazione fraudolenta dei generi, restando in facoltà degli stessi trovare altro modo per conciliare i loro interessi con la tutela della vita degli operai.
Capitolo 5° - Disposizioni penali. Art. 50. Quando non siano soggette a pene o procedimenti prescritti da leggi o regolamenti generali, le infrazioni al presente regolamento, saranno punite in conformità e col procedimento degli art. 146 e seguenti della legge 20 marzo 1865 sull’Amministrazione Comunale. Art. 51. Il presente regolamento avrà pieno vigore, quindici giorni dopo la sua approvazione e regolare pubblicazione.
Note
1. Alessandro Dumas, Re Nasone ne Il Corricolo, con prefazione di Salvatore Di Giacomo, prima versione italiana, editore Il Mezzogiorno, Napoli, 1923. 2. Scaricabile da Google libri 3. Bollettino delle leggi del regno di Napoli, anno 1806, Napoli, Fonderia Reale, 1813. 4. La polizia amministrativa municipale del Regno delle Due Sicilie, Napoli, Tipografia dell’Urania, 1846, pagine 402. 5. “Il regolamento di polizia urbana e rurale della città di Matera” (1853) di Luigi Calabrese, in: Bollettino storico della Basilicata, 2008, n. 24, pag. 337-350] 6. Horace de Rilliet – Tournee en Calabre dans l’année 1852, Genéve, 1852] 7. Norman Douglas, Vecchia Calabria, Giunti, Firenze, 1967 8. T.U. Legge Comunale e Provinciale 10 febbraio 1889 n. 5921 e Regolamento R.D, 10 giugno 1889, n. 6107. 9. "Cavizza" (cavezza o capezza) era solitamente una lunga fune, talora una catena, legata al morso di asini e muli per condurli o anche per impedire che vaghino liberamente per la campagna o nell’abitato. 10. La "Ruzzola" era un disco di legno che si lanciava con la mano in modo da farlo rotolare per la strada o sul suolo. Vinceva il giocatore che era riuscito a mandare più lontana la sua ruzzola. La ruzzola paesana si giocava sovente con forme di formaggio pecorino secco che si facevano similmente rotolare. 11. La Meta era il prezzo massimo stabilito dal Decurionato e, dopo l’Unità, dalla Giunta Municipale, per la vendita dei generi alimentari di prima necessità, fissato per unità di misura (chilogrammo o litro di prodotto). Quelle delibere, ritenute generalmente di nessuna rilevanza storica o economica poiché riferite a singole, talora microscopiche realtà locali, tranne rare eccezioni, sono andate perdute. Dispongo dei dati della meta fissata per il medesimo comune della Ulteriore Calabria 2.a con delibera di G.M. nel periodo dal 1882 al 1889, che non era stabilita con cadenze regolari ma alla bisogna. Il prezzo massimo (meta) fissato per il pane bianco nel periodo considerato, è variato da 0,25 a 0,35 lire al chilogrammo mentre per il pane di granone (o di granturco, l’unico accessibile ad operai e contadini) si è sempre mantenuto costante in Lire 0.20 al chilogrammo. La pasta era un lusso consentito solo ai pochi eletti, talvolta surrogata nelle mense povere dai maccheroni casalinghi, sorta di sfoglie lavorate con il mattarello (un manico di scopa) e ridotte in lunghe strisce, fatti con farina di grano tenero.
(Lire 1,00 corrispondono attualmente ad € 4,77. La meta per il pane di grano bianco variava quindi da €/Kg 1,19 ad €/Kg 1,67)
Va sottolineato che il ricorso ai rivenditori di generi alimentari e ai macellai avveniva solo sporadicamente poiché ogni famiglia cuoceva in casa il pane, la carne di ovini e caprini come pure la pasta si acquistavano e si consumavano solo nelle feste comandate, ogni famiglia allevava al minimo un maiale all’anno in angusto locale (zimba o zimbune) sotto casa se non nella casa stessa di abitazione e la carne bovina derivava da vecchi animali non più capaci di produrre latte e lavoro o da animali abbattuti perché infortunati. Baccalà e stocco si usavano cotti con le patate molto spesso per gli operai assunti a giornata, secondo le pattuizioni: senza vitto (alla scarsa) o con salario e vitto. Il vino non figurava mai nella meta ma veniva ugualmente fornito (nella quantità pattuita) agli operai nell’intervallo di lavoro del mezzodì. «Parole dell’Ecclesiaste, figliuolo di Davide, re di Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste; vanità delle vanità; tutto è vanità. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che dura sotto il sole? Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste in perpetuo». (La Bibbia, Ecclesiaste cap. 1, circa anno 1000 a.C) |
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