Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Mameli, Novaro e il Canto degli Italiani

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Goffredo MameliAlla maggior parte dei cittadini italiani Il Canto degli Italiani è noto come l’Inno di Mameli, ma la storia di Angelo Novaro, che lo ha musicato, è sicuramente meno conosciuta se non del tutto ignorata. Vale pertanto la pena di ricordare il fervore patriottico che ha ispirato questi giovani italiani, e anche la lunga attesa del riconoscimento dell’inno di Mameli come inno nazionale.    

Goffredo Mameli nacque a Genova il 5 settembre 1827 da un’importante famiglia aristocratica; fino dalla scuola dimostrò il suo talento letterario, componendo versi d'ispirazione romantica.

Conquistato dallo spirito patriottico divenne rapidamente parte attiva del movimento rivoluzionario; a diciannove anni, nel settembre 1846, in occasione della ricorrenza del centenario della cacciata degli austriaci da Genova, la nota rivolta capeggiata dal “balilla”, fu alla testa delle manifestazioni ed espose il tricolore, subito ritirato dalla polizia.

Iniziò a comporre poesie politiche e canti militari, tra cui Ai fratelli BandieraDante e l’Italia, Dio e il popolo, e nel 1847 il Canto degli Italiani, noto in seguito come “Fratelli d’Italia “dalla prima strofa, o “Inno di Mameli”.

 

Nel marzo 1848 fu tra gli organizzatori di una spedizione di trecento volontari in aiuto a Nino Bixio durante le Cinque Giornate di Milano e fu arruolato nell'esercito di Garibaldi con il grado di capitano nella prima guerra d’indipendenza.

Tornato a Genova, per protesta contro l’armistizio, pubblicò un Inno militare, che aveva composto su invito di Mazzini, e musicato poi da Giuseppe Verdi, ma con modesto esito artistico.

Contemporaneamente divenne direttore del giornale Il Diario del Popolo. La città di Genova in quel periodo era indipendente dal dominio austriaco.

Nel 1849 si recò a Roma dove partecipò alla stesura della Costituzione della Repubblica Romana, secondo i dettami politici di Mazzini e il 9 febbraio, avvenuta la proclamazione della Repubblica, inviò a Mazzini in esilio il famoso dispaccio: «Roma! Repubblica! Venite!»

Durante l’assedio della città da parte delle truppe francesi, Mameli si occupò soprattutto dell'organizzazione militare come aiutante di Garibaldi. Si batté eroicamente, ma durante l’ultimo assalto riportò una ferita alla gamba sinistra.

Le sue condizioni apparvero immediatamente molto gravi, come scrisse il medico Pietro Maestri che lo accolse in ospedale: «Ferito il giorno 3 giugno nei primi momenti dell'azione, fu portato all'ospedale privo di sensi. Io lo vidi dopo tre ore circa, in uno stato quasi di stupefazione. Non era bene in sé stesso e cadeva in gravi e frequenti deliqui. Pallido e sparuto nel volto, quasi avesse sofferto più mesi di malattia: nei pochi momenti in cui non gli mancava la coscienza di sé accusava dolori spasmodici in conseguenza della ferita. [...]»

Dopo quattro giorni l’arto colpito andò in gangrena. Nonostante l’amputazione, la situazione peggiorò gradualmente per la sopravvenuta infezione fino a condurlo alla morte.

Agostino Bertani, medico e patriota che lo assisteva, descrisse nel suo diario gli ultimi istanti di vita: «Il dì 6 luglio, alle sette e mezzo di mattina, cantando, quasi conscio di sé, attendendo che gli passasse quell'accesso nervoso come lo chiamava, ebbe pochi momenti di agonia». Aveva solo 21 anni.

Il suo monumento funebre è al Verano, a Roma, e le spoglie riposano dal 1941 nel Mausoleo Ossario Garibaldino al Gianicolo.

Michele NovaroMichele Novaro nacque a Genova il 23 dicembre 1819, da una famiglia di artisti.

Dopo aver frequentato la scuola di canto e composizione annessa al teatro Carlo Felice, iniziò una carriera di cantante lirico che lo portò ad esibirsi in varie città.

Era a Torino nel settembre 1847 quando ricevette da Mameli il manoscritto del Canto degli italiani. Ne fu da subito entusiasta, si precipitò a Genova e propose a Mameli di musicarlo.

L’inno fu completato nel dicembre successivo e cantato per la prima volta a Genova durante una festa popolare. Nonostante il divieto poliziesco, fu suonato e cantato dalle bande musicali e dai soldati in partenza per l’insurrezione di Milano nel 1848.

Convinto liberale, Novaro pose il suo talento compositivo al servizio della causa d'indipendenza, musicando molti canti patriottici e organizzando raccolte di fondi per finanziare e sostenere le imprese di Garibaldi.

Tra il 1864 e il 1865 fondò a Genova una Scuola Corale Popolare, ad accesso gratuito, dedicandovi tutto il suo impegno. Morì dimenticato, il 20 ottobre 1885, tra difficoltà finanziarie e problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli fu eretto un monumento funebre nella città natale nel cimitero monumentale di Staglieno accanto alla tomba di Giuseppe Mazzini.

Durante il regime fascista l’inno di Mameli fu sostituito da inni propagandistici.

Il 12 ottobre 1946, il Consiglio dei ministri presieduto da Alcide De Gasperi, acconsentì all'uso dell'inno di Mameli come inno nazionale della Repubblica Italiana. «(…) Su proposta del Ministro della Guerra si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli».

La provvisorietà fu giustificata da una eventuale sostituzione con altro inno.  

Fu il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che nel suo settennato (1999 – 2006) ribadì la centralità patriottica dell’inno: «É un canto di libertà di un popolo che, unito, risorge dopo secoli di divisioni, di umiliazioni».

La legge n. 181 del 4 dicembre 2017 pubblicata sulla Gazzetta ufficiale così recita: «La Repubblica riconosce il testo del Canto degli italiani di Goffredo Mameli e lo spartito musicale originale di Michele Novaro quale proprio inno nazionale».

Seguendo un deprecabile costume tutto italiano dello scarso amore per le istituzioni pubbliche, anche l’inno di Mameli è stato oggetto delle critiche più varie.

Gli attacchi sono di tipo snobistico per quanto riguardo il testo e/ o la struttura musicale oppure hanno matrice secessionistica dal momento che l’inno è uno dei tre simboli che insieme alla bandiera tricolore e al Presidente della Repubblica rappresenta l’unità della Nazione. La risposta ai detrattori si trova nella storia risorgimentale e nella potenza dell’incipit.

 

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