Pietracupa. Autobiografia di un paese
È la vita di un paese del Molise di per sé piccolo per dimensioni demografiche ed urbanistica ma con una storia lunga, che l’autrice ricostruisce sin dai primissimi insediamenti umani della località e da una fattoria sannita ritrovata dagli archeologi nell’agro circostante, anteriore persino alla conquista romana. Il periodo cronologico coperto va infatti dall’età del ferro sino alla fine del XX secolo. La metodologia impiegata dall’autrice combina felicemente tre correnti storiografiche diverse. La prima è quella tradizionale della storia narrativa, espressa ad alto livello dagli storici antichi e proseguita sino al XXI secolo, con i suoi pregi di perspicuità e comprensibilità, ricostruzione evenemenziale, affascinazione del lettore. La seconda è la sua figlia moderna ossia la microstoria, con la sua analisi eccezionalmente minuziosa di singole persone od eventi ed uno sguardo privilegiato alla sterminata folla di tutti coloro che, per vari motivi, compaiono pochissimo nelle fonti anteriori all’era contemporanea ed in intere tipologie di ricerca storica. La terza è lo studio della cultura orale, che viene approcciata dall’autrice ricorrendo al magistero ed alle suggestioni della metodologia che cerca di comprendere l’immaginario delle classi rurali premoderna servendosi delle loro stesse categorie mentali.
L’esito è un lavoro che coniuga diverse qualità positive: la facilità di lettura e di comprensione, potendosi leggere quasi fosse un romanzo anche se i fatti riportati sono documentati; la capacità di ritrovare aneddoti minuti, spesso veramente minimi, con un’attenzione ossessiva al singolo particolare storico; la trasposizione della mentalità e del sentire quotidiani degli abitanti di Pietracupa.
La storia locale del borgo però naturalmente s’interseca ed incastra in quella più ampia della sua regione e del Mezzogiorno intero. Risaltano per interesse i capitoli in cui Delmonaco esamina quanto avvenne a Pietracupa in occasione della grande carestia del 1763-1764, che sterminò centinaia di migliaia di abitanti del regno di Napoli, del 1799, della conquista francese dei Napoleonidi, della epidemia di colera del 1836, del ’48, sino al 1860. Ad esempio, Delmonaco rintraccia le cause profonde della carestia del ’63-’64 nel loro contesto generale, per poi mostrarne gli effetti tragici su Pietracupa. Vi furono sicuramente problemi meteorologici e climatici, ma essi da soli non sarebbero bastati a provocare una mancanza di cibo che fece morire di fame un numero incalcolabile di persone in tutto il regno. Altri fattori furono: la speculazione da parte dei grandi proprietari; l’incapacità del governo borbonico d’acquistare cibo all’estero; il cinico sfruttamento delle province per poter alimentare la capitale. Lasciamo la parola all’autrice citando due passi salienti del suo libro: «La città doveva essere nutrita, si pensò al grano inglese, ma la cosa non ebbe seguito. Il pensiero di tutti corse alle province, lì c'erano riserve. […] bisognava incettare il grano, scovarlo, strapparlo ai depositi […] perché Napoli fosse rifornita.» «Sotto Natale il governo si decise: sarebbe stato inviato nelle province il suo agente Gennaro Pallante che […] avrebbe trovato il grano. Gli si affidarono denaro, soldati, sbirri, forche e confessori, […] doveva portare il grano a Napoli. Per tutto gennaio Pallante percorse le province. Il 20 aveva sequestrato nel contado di Molise 21.656 tomoli di grano, oltre a quello che aveva strappato in altre parti del regno. Il risultato fu che il grano rimanente fu nascosto in maniera definitiva, per essere venduto nell'ombra fino a cinque o sei ducati il tomolo.» In breve, il governo di re Ferdinando di Borbone invece di comprare grano dall’Inghilterra preferì sfruttare sino all’osso le province privandole delle loro magre scorte di cibo per poter nutrire adeguatamente Napoli, in cui si minacciava un’insurrezione. Il risultato fu che, al di fuori dalla capitale, il grano divenne ancora più scarso e con prezzi proibitivi per i poveri. I più miseri furono falciati dalla carestia e praticamente sterminati. «La fame non colpiva alla cieca. Seguiva un itinerario ben preciso […] fece scomparire dal nostro paese e dal regno il ceto più umile e disperato. Tutte le famiglie più misere, dalla prima all'ultima, furono sterminate dalla fame come il grano era stato distrutto dalle tempeste di primavera. Di settecento persone, fra quelli che la fame aveva ammazzati e quelli che erano partiti per non tornare più rimasero a Pietracupa poco più di cinquecento». Il saggio è ricchissimo di annotazioni ed informazioni utili sui rapporti sociali, le consuetudini, le strutture fondiarie, le norme feudali, le dinamiche politiche, etc. d’un piccolo mondo antico ormai scomparso, quello delle province del regno di Napoli. La minuscola comunità di Pietracupa diviene uno spaccato della società rurale del vecchio Sud, dominata da nobili ed ecclesiastici e sottoposta costantemente alla minaccia dei briganti che terrorizzavano e vessavano la popolazione. Le fonti adoperate dall’autrice sono stratificate e diversificate, comprendendo una ricca documentazione archivistica (pubblica e privata, laica ed ecclesiastica), una folta bibliografia secondaria di ottima qualità, che abbina studi generali ad altri di storia locale, non da ultimo anche fonti materiali ed altre orali. L’apparato critico, specialmente archivistico, è utile anche per lo studioso che voglia approfondire alcuni punti specifici. Pietracupa. Autobiografia di un paese è uno studio originale, utilissimo per meglio conoscere la storia del Molise e di notevole raffinatezza. L’apparente semplicità dello scritto nasconde la profondità della ricerca e dell’analisi, in cui si segue il magistero di studiosi come Giuseppe Galasso, Carlo Ginzburg o Piero Camporesi. |
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