Sulla divulgazione scientifica
Tempo fa destò una certa preoccupazione nella comunità scientifica (e non solo), una proposta di legge elaborata da un deputato mirante al controllo della divulgazione scientifica da parte di una commissione ministeriale. La suddetta commissione, nominata dal Ministero dello Sviluppo economico, dovrebbe decidere quali trasmissioni riguardanti la divulgazione della scienza debbano andare in onda e quali no. Chiarendo subito che si trattava, per l’appunto, di una semplice proposta, la vicenda presenta aspetti perlomeno curiosi. Perché, in una democrazia liberale, dovrebbe essere una commissione ministeriale a concedere il “visto” alle trasmissioni che si occupano di scienza? E perché attribuire un simile compito al MISE e non, poniamo, al MIUR, che è il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca? Com’era ampiamente prevedibile, molti hanno subito avanzato il sospetto che, in questo modo, s’intenda (1) sottoporre la scienza al controllo della politica, e (2) promuovere ancor più forme di scienza “alternative” peraltro già molto popolari presso larghi settori dell’opinione pubblica e nello stesso Parlamento (dove, per esempio, i “terrapiattisti” sono ben presenti). Dunque cure per il cancro prive di riscontri oggettivi o addirittura dannose, promozione di campagne contrarie alla vaccinazione, e chi più ne ha più ne metta. Cosa ci si debba attendere nel prossimo futuro non è ancora chiaro. Tuttavia, consultando i tanti blog contrari alla scienza “ufficiale” che nascono come funghi nel web, non ci sarebbe da stupirsi se in tempi brevi qualcuno proponesse di elaborare le previsioni meteorologiche o quelle sulle eruzioni dei vulcani in base a considerazioni tratte dall’astrologia. Del resto, molti sono già convinti che l’accesso alla scienza sia facile e aperto a tutti. Basta un po’ di buona volontà, un pizzico d’impegno, un’occhiata a Wikipedia, e i misteri della meccanica quantistica verranno svelati senza problemi a chiunque, meglio ancora se privo della indispensabile formazione in materia.
Ed ecco quindi che il socratico “sapere di non sapere”, ai nostri giorni rinverdito da Karl Popper, viene del tutto disatteso. Non è più un monito valido, volto a rammentare i limiti degli esseri umani. La conoscenza – non solo scientifica – non è più un processo faticoso e dall’esito incerto. Si conosce anche senza studiare, basta volerlo. L’importante è autoconvincersi (e convincere gli altri) di sapere, e il gioco è fatto. Questo scenario ha anche risvolti divertenti e affascinanti e, contrariamente a quanto tanti pensano, non è affatto nuovo. Si ripresenta a ritmi ciclici nell’evoluzione culturale dell’umanità. Facendo leva sui vantaggi che la conoscenza “facile” promette, seduce i cittadini e a volte s’insinua pure nelle aule universitarie. Basterebbe un po’ di familiarità con la storia per capire che lo scenario anzidetto è foriero di tragedie. Ma, com’è noto, i nostri legislatori pensano che della storia insegnata a scuola si possa fare a meno.
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