L’Italia, un paese di “espatrioti”
Un articolo pubblicato sul sito internet www.linkiesta.it del 5 giugno scorso mostra i dati Eurostat riguardanti l’emigrazione di giovani italiani under35 verso altri Paesi membri UE. Nonostante il titolo roboante, Lentamente, piaccia o no, gli Italiani stanno diventando sempre più europei (come se noi italiani non fossimo già europei), le statistiche presentate sembrano, in realtà, infrangere alcuni miti della cosiddetta “generazione Erasmus”: se da un lato esse confermano la perdita costante di connazionali che espatriano, dall’altro evidenziano come i Paesi di destinazione stiano cambiando. Si tende a scegliere, infatti, nazioni diverse dalle più gettonate (la Germania, ad esempio, è in calo), quali Spagna e Portogallo, e le ragioni di tale scelta riguardano non soltanto motivi economici o professionali, ma anche lo stile e il tenore di vita di quel Paese; inoltre, a emigrare non sono solo i giovani italiani, lo fanno anche francesi, tedeschi, olandesi e svedesi. Ora, premesso che ognuno è libero di scegliere come meglio crede, da questa breve disamina emerge quanto il fenomeno della “fuga dei cervelli” sia stato mistificato negli anni da una propaganda giornalistica anti-italiana, che ha creato il mito del giovane emigrante “eroe” pronto a fuggire dall’Italia. Il risultato è un’idea sbagliata del Paese, basata su alcuni falsi miti, da sfatare una volta per tutte.
1) Basta con le narrazioni negative. Una cosa sono le giuste analisi economiche, un’altra è invece raccontare la favola per cui non appena hai varcato il confine hai risolto tutti i tuoi problemi (tanto per cambiare, il giornalista Corrado Augias ha definito l’Italia una nazione “tecnicamente fallita” che sopravvive solo grazie alla “cintura di sicurezza” dell’Europa...bontà sua). 2) Basta utilizzare un linguaggio disfattista per cui bisogna “scappare” o “fuggire” dall’Italia - come se vivessimo in uno stato di guerra - oppure affermare che l’Italia sia “un Paese di vecchi” in cui non c’è spazio per i giovani - fomentando così l’odio generazionale e la mancanza di rispetto verso genitori e nonni. 3) Le statistiche suddette dimostrano che non c’è nulla di eroico nell’emigrare. I ragazzi cercano la convenienza economica (legittimo!) e se un posto non è più in grado di offrirla, semplicemente fanno le valigie e vanno da un’altra parte, come qualsiasi comune immigrato. 4) Basta con la retorica dei “cervelli in fuga”. La maggior parte degli italiani che emigrano non possiede una laurea e svolge lavori normali - solo meglio pagati che in Italia (questo è il vero problema!); intervistare, perciò, un ricercatore italiano all’estero che ce la fatta e generalizzare la sua esperienza risulta fuorviante. Inoltre le motivazioni per cui una persona emigra possono essere varie: per amore, per fare un’esperienza all’estero e poi tornare, per motivi famigliari. 5) Basta educare i giovani all’odio verso il proprio Paese per cui “chi può scappa e chi non può continua a soffrire” oppure “chi rimane in Italia è pigro e chi dice che resta per cambiare le cose lo dice solo per nascondere la sua pigrizia”. Il risultato è un esercito di neodiplomati che vogliono già andare via dall’Italia prima ancora di aver provato a fare qualcosa. La soluzione a questi problemi, però, a mio avviso, non è quella auspicata dal governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, secondo cui in Italia non arrivano abbastanza immigrati, come è stato riportato sulle pagine di Repubblica il 1° giugno, ma una maggiore consapevolezza delle nostre capacità e meno provincialismo.
Gianluca Rizzi |
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