Il Louvre inciampa a Napoli. E si fa male.

Categoria principale: Libere riflessioni
Pubblicato Mercoledì, 28 Dicembre 2011 14:26
Scritto da Riccardo Limongi
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Tutti dovrebbero sapere come sono state "acquisite" una grande parte delle collezioni d’arte dei più famosi musei del mondo: acquisti diretti da tombaroli singoli ed organizzati che oltretutto devastano siti ed oggetti preziosi, furti su commissione, razzie, bottini di guerra ed altri mezzi illeciti.

Nulla di nuovo.

 

Lord Colin Renfrew, una delle più importanti personalità del panorama archeologico mondiale, durante l’ultima edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico di Paestum non si è fatto certo frenare dalla diplomazia: "Bisognerebbe mettere le manette al direttore del Metropolitan Musem.

 

Il Louvre, il British Museum, il Museo delle Antichità di Vienna, il Metropolitan Museum di New York, il Getty di Los Angeles e altri grandi musei del mondo hanno costruito le loro collezioni fondandole sull’acquisto di beni rubati.


Il Metropolitan Museum non ha alcun tipo di codice deontologico per le acquisizioni.

 

E l’ultimo Presidente francese, Jaques Chirac, incoraggiava le acquisizioni di reperti africani per il Museo delle Arti Primitive".


 

Il motivo per il quale mi sono deciso a scrivere sull’argomento, però, va un po’ oltre. Magari ai più sembrerà di nessuna importanza, quasi un inconsapevole dettaglio; a me è parso invece di una chiarezza esemplare di quanto tutto questo sia accompagnato da arroganza, ipocrisia e mancanza di cultura, intesa nel più ampio senso di appartenenza ad una comune eredità piuttosto che non ad uno sciovinismo nemmeno sotterraneo.


Parlerò del Louvre.

 

Come per molti altri casi simili, anche il Louvre ha fatto largo uso di provenienze illecite, o quantomeno derivanti da tristi leggi di sopraffazione: Napoleone lo riempì di opere d’arte razziate durante le sue campagne militari in Europa, secondo il principio del bottino di guerra che ha caratterizzato tutte le peggiori civiltà che si sono misurate nelle guerre, e così saccheggiò il Belgio, la Germania e soprattutto l’Italia. Con lo scopo di rifornire un museo che, secondo le intenzioni dei rivoluzionari, doveva perfino diventare il simbolo della vittoria del popolo contro i tiranni (a me pare esattamente il contrario).

 

Ed ancora oggi, per i francesi deve essere tutto regolare, se sotto i capolavori rubati da Napoleone durante la campagna d’Italia, solo in parte recuperati, hanno apposto una targhetta che recita: «Acquisite nel 1797», occultando il dove ed in che modo siano state "acquisite".

 

Ma fin qui, ripeto, nulla di nuovo. Quello che mi ha colpito, l’ultima volta che sono entrato nel Louvre, è stato un particolare che mi è saltato agli occhi come un vero e proprio pugno nello stomaco, una offesa gratuita, che tuttavia alla fine si ritorce contro chi l’ha proposta. E se non fosse stata ingegnata in maniera cosciente, allora suonerebbe come una mancanza di stile clamorosa, di cui tuttavia non mi sorprenderei.

 

Nell’ala Sully, al primo piano, all’ingresso della stanza n. 37, sul soffitto c’è un dipinto di Charles Meynier del 1827 intitolato Les Nymphes de Parthénope, emportant loin de leurs rivages les Pénates, images de leurs dieux, sont conduites par la déesse des Beaux-Arts sur les bords de la Seine.

Oggetto della rappresentazione sono le ninfe di Napoli, l’antica Partenope, nell’atto di portare i reperti pompeiani a Parigi, identificata con la facciata del Louvre.

 

L’indubbia grazia dell’atto con il quale esse elegantemente omaggiano dei loro averi il Louvre, per me, è pari soltanto al pugno nello stomaco dato da una volgarità rara, quale è quella di aver illustrato nella prima sala di quelle dedicate alle preziosità di Pompei, Ercolano, Stabia, un percorso che viene fatto apparire gentile e pieno di grazia -un regalo "spontaneo" delle Ninfe nientedimeno!- quando esso è stato invece per gran parte costruito su guerre, furti, razzie e bottini di guerra. Di cui peraltro si sono vantati senza risparmio.

 

In un primo momento l’ho trovato insultante come poche altre cose, poi pensandoci, soltanto ridicolo.

 

Perchè è uno di quegli insulti che tornano indietro. Tornano al mittente a dire che se un pezzo della nostra eredità materiale sta in quelle sale, noi ne siamo perfino felici, come lo dovremmo essere, secondo me, di tutte le occasioni in cui il nostro patrimonio culturale viene ovunque ammirato e considerato come merita. Dovunque, nel mondo, ho provato questa sensazione, aperta e di ampio respiro.

 

E se ne siamo felici, è anche perché la nostra cultura ci ha insegnato che i confini delle civiltà non si misurano con i metri quadrati di una sala di un museo, nemmeno se si chiama Louvre e crede di poter rappresentare popoli e civiltà di una qualità superiore.

 

Ci ha insegnato invece che i confini, semmai, vengono tracciati da chi sta al di là di essi, e che se li disegna, forse lo fa solo perché non è in grado di varcarli.