La questione albanese e il panslavismo russo
Per un complesso atteggiamento convenzionalistico, astutamente subdolo, tutt'oggi, non si esprimono valutazioni positive riguardo la totale avversione che gli attuali Albanesi, in particolar modo quelli della parte meridionale, serbano per i greci e per la loro entità giuridica territoriale.
Tale problematica non è da risolversi in un pregiudizio di competente astio derivante da mero campanilismo di frontiera, ma da una serie di tristi avvenimenti per i quali la Storia è chiamata ad esercitare le proprie funzioni: la ricerca del vero, allorchè, sereno giudizio possa essere espresso dalle generazioni future.
Con il "Protocollo di Londra" (1830), le potenze europee, Gran Bretagna, Francia e Russia in particolare, hanno cercato di imporre la loro politica protezionistica su quel territorio, senz'altro molto importante per la sua naturale locazione strategica, anello di congiunzione fra occidente, penisola balcanica e medio oriente.
Vero è che con la decadenza dell'Impero Ottomano, si rivitalizzarono le nazionalità balcaniche: Serbia, Bulgaria, Romania e Grecia, le quali, per come detto prima per la Greca, patrocinate politicamente da qualche potente stato europeo, proclamarono l'indipendenza.
Dal congresso di Berlino la sola Albania, senza il sostegno di un organismo statale europeo, fu lasciata a se stessa, venendo considerata nient'altro che una semplice espressione geografica. La Russia di Gorciakov, d'altro canto, ne uscì profondamente delusa; l'accordo degli occidentali fu per loro un astuto raggiro: l'antitesi tra Oriente ed Occidente, sulla quale riposa il panslavismo, trova qui la più evidente giustificazione.
D'ora in avanti la Russia, raccolta nel suo intento di propagare lo slavismo, rincrudisce ed esaspera all'interno una violenta russificazione degli allogeni: Polacchi, Finlandesi, Ucraini e Baltici: lo slavismo, in questo caso, diventa panslavismo e lo stesso diventa panrussismo, strumento di politica di uno stato, la Russia determinata a divenire "Grande Russia".
Gli slavi dei Balcani, come serbi, rumeni e bulgari, non potevano considerare paternalistico lo slavismo russo, dopo il trattamento che esso aveva riservato alla Polonia, vittima della sopracitata russificazione. Tutto questo però non si presentava, nel quadro politico orientale, pregiudizievole per il convergente interesse antiturco delle nazioni Balcaniche e della Russia stessa.
Danilevskij e Dostoevskij, teorici del panslavismo, riaccendendo vecchi moti reazionari, come autocrazia, ortodossia, nazionalismo, criteri ideali, questi, dello slavismo, che si contrappongono allo spirito liberale o costituzionale, cattolico o protestante, federalistico o nazionalistico, elementi che sono inerenti e partecipi all'intima composizione degli organismi statali dell'Europa Occidentale, avevano inoltre deliberato che venisse demonizzato e abbattuto, con qualsiasi mezzo, il dogma dell'integrità territoriale dell'Impero Ottomano.
L'Albania, seppur simbolicamente, faceva ancora parte, come entità territoriale, di quel, ormai, fatiscente impero. Ma come lenire le sofferenze per le violenze protratte dal panslavismo russo ai bulgari, ai serbi e pur anche agli ambigui greci? Gorciakov e i teorici trovarono rimedio innaturale: i serbi e i greci, prima con il tacito consenso e poi con accentuato stimolo dei russi, essendo disinteressati i paesi occidentali, ormai soddisfatti dai positivi risultati del Congresso di Berlino, si sentirono autorizzati a spartirsi il territorio albanese come una preda contesa tra due sciacalli e sciacallaggio fu. Sorda si rivelò l'Europa a questo grido di dolore. Solo il governo e l'opinione pubblica italiana, spronati dagli indomiti ARBËRESHE", percepirono il lamento proveniente da oltre Adriatico e gli albanesi guardavano l'Italia come unica e fedele protettrice. Il governo italiano, guidato da un arbëreshe, Francesco Crispi, era consapevole dei vantaggi che ne avrebbe tratto oltre l'Adriatico, ma fu necessario attendere. Patrioti, letterati e poeti italo albanesi, come Lorecchio, Camillo Vaccaro, De Rada, Zef Serembe, Vincenzo Dorsa, Michele Scutari, Guglielmo Tocci, il Generale Damis, il colonnello Schirò ed altri, con missive, libri, riviste, conferenze, mobilitarono all'inizio del XX secolo, l'opinione pubblica affinchè si adoperasse a sensibilizzare il governo italiano, inducendolo a prendere una netta posizione riguardo la questione dei fratelli albanesi.
Documenti di rilevante importanza , riguardo la funzione dei letterati e dei patrioti arbëreshe, sono stati rinvenuti da Aurelia Nociti presso gli archivi della Prefettura di Napoli e presso quelli del Ministero degli Esteri e degli Interni. In uno di questi documenti addirittura si mette in evidenza la possibilità di intervenire con un esercito di volontari affinché l'Albania venga liberata dall'ignobile opera di spartizione dei serbi e dei greci , proclamando la propria indipendenza.
Questo documento così catalogato: ( Pacco 666- N 6744- Roma 10-04 1904, dal Ministero dell'Interno-Dir P.S. 9 al Ministero degli Esteri), ritengo sia bene che venga, in questa esposizione, pubblicato nella sua sostanza: "Credo opportuno di comunicare a V.E. ( Ministro degli Esteri) il seguente rapporto del Prefetto di Roma. Pregovi manifestare all'E.V. che nel pomeriggio del 24 marzo in Via Foro Traiano n. 25 e precisamente nell'abitazione del Generale Ricciotti Garibaldi, ( figlio di Giuseppe), ebbe luogo una riunione dei maggiorenti delle colonie Albanesi d'Italia, allo scopo di prendere accordi per un piano di azione. I convenuti erano 14, tra cui il sig. Lorecchio Anselmo direttore del giornale " L'Albanese d'Italia", l'avv. G Giusi direttore del periodico La Nuova Albania, il sig. F . Musacchio, Presidente dell'Associazione Albanese di Palermo, il si. Manlio Bennici pubblicista, il Generale Domenico Damis di Lungro e il Colonnelo G. Schirò di Piana dei Greci. Il Generale R. Garibaldi avrebbe espresso il proposito non appena dovessero scoppiare le ostilità nei balcani di organizzare un esercito di volontari. " Da questo documento si evince che molti volontari arbëreshe sarebbero stati arruolati per la causa albanese. Nel 1901 il Prefetto di Livorno, informò il Ministro degi Esteri che Garibaldi , Damis , Mereu e Cottorno stavano organizzando un partito albanese in Italia allo scopo di impedire alle truppe austriache di occupare le province albanesi. Costoro non riuscirono nei loro intenti anche perché nell'ottobre del 1904 venne a mancare il Generale arbëreshe Domenico Damis, al quale Ricciotti Garibaldi era legato da fraterna amicizia e nel quale molto confidava.
Posseggo una ricca documentazione riguardo le usurpazioni e gli eccidi protratti dai serbi e dai greci in Albania all'inizio del XX secolo di cui mi obbligo a rendere pubblica al più presto possibile, ma da un fascicolo dell'Agenzia Stefanini del 21 giugno del 1911 desidero estrarne un stralcio di telegramma inviato al Comitato Albanese di Milano:
"Ieri sessantanove notabili della Ciameria invitati a recarsi a Janina vennero trucidati durante il viaggio. Trecento altri cimarioti trovansi prigionieri per aver rifiutato di firmare indirizzi grecofili. Nel distretto di Argirocastro le truppe e le bande greche hanno oltrepassato ogni limite: Il Monastero di Bektashi è stato raso al suolo e tutti i religiosi sono stati uccisi. Molte donne soprattutto cristiane son state violentate; moltissimi i cittadini imprigionati per lesa maestà.
A Plaza e nel villaggio di Damesi nel circondario di Tepeleni tutta la popolazione è stata trucidata dalle bande greche. Bande di greci stamane hanno saccheggiato Janina, oltre cento notabili sono stati trucidati......il solo Leonida Frasheri è riuscito a fuggire. |
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