Costanza e coerenza, simili ma non troppo
“Costanza” e “coerenza” sono apparentemente simili per etimologia, ambedue provengono dal latino: costanza da constare (cum e stare), coerenza da cohaerere (co - insieme e haerere essere attaccato). Differiscono tuttavia per la semantica: il significato di “coerenza”, a differenza di quello di “costanza”, può variare notevolmente. Da segnalare anche una notevole diversità nella popolarità in rete: 40 milioni di item per “costanza”, dieci milioni per “coerenza”. Per “costanza” si indica la tendenza a conservare invariate determinate caratteristiche fondamentali; stabilità, continuità. Si può riferire ad una struttura meccanica per esempio nel rendimento di un motore, ma è di solito usata per indicare caratteristiche morali nel senso di perseveranza e fermezza nei sentimenti. È considerata una qualità positiva, necessaria per ottenere dei risultati nelle attività umane; dare il nome di Costanza ad una neonata appare benaugurante. Nomen omen, il nome è un presagio. Hanno avuto questo nome regine famose e i richiami letterari sono molteplici e tutti laudativi.
Giuseppe Parini, simbolo del letterato impegnato in senso civile e morale del Settecento, con l‘ode La Caduta, composta nel 1786, la ritenne scudo difensivo contro la durezza della vita: «E se i duri mortali a lui voltano il tergo, ei si fa contra a i mali de la costanza sua scudo ed usbergo». Giacomo Leopardi nei Canti si rivolse all’Italia con rammarico per l’assenza: «Dov’è la forza antica? Dove l’armi e il valore e la costanza?» Lo scrittore Vasco Pratolini in un suo libro del 1963, La costanza della ragione, sottolineava già nel titolo la sua importanza nel tenere vigile la ragione, fondamentale per la formazione sentimentale del protagonista. Anche il suo opposto, l’incostanza, può avere un significato diverso rispetto ad incoerenza; in medicina per esempio un paziente che non ha costanza nell’assumere la terapia può aggravarsi, ma l’incoerenza nel linguaggio significa la presenza di gravi malattie mentali come la schizofrenia. La coerenza indica in botanica e fisica l’intima connessione e interdipendenza delle parti, nell’uomo la connessione logica e affettiva nel pensiero e nelle azioni Anche la coerenza è considerata una qualità positiva, ma il significato varia in rapporto ai valori morali a cui fa riferimento: rimane positivo se sono universalmente riconosciuti come tali, fortemente negativo se è rappresentato da ideologie criminali e/o totalizzanti. Era impressionante ascoltare in una recente trasmissione TV un ex SS, intervistato mentre era gravemente malato e prossimo alla morte, che confermava senza esitazioni tutto quello che aveva fatto. In famosi processi, come quello di Norimberga del 1947, gli imputati, dichiarandosi non colpevoli, non rinnegavano la loro precedente fede nazista, compresi obiettivi e azioni criminose; erano insomma decisamente coerenti col loro passato. È ovvio che questo rendeva del tutto giustificata la condanna. Solo tre dei 24 imputati si dichiararono pentiti, ma le colpe erano talmente gravi che le sentenze non furono modificate. Comportamenti simili sono riscontrabili nei grandi processi per mafia. Fa parte della coerenza criminale anche quella del terrorista islamico che sacrifica la sua vita e quella di esseri innocenti. Fanatismo ed orgoglio impediscono di solito l’abbandono delle ideologie caratterizzate da intolleranza e violenza; quando questo avviene si verificano difficoltà e critiche di ogni genere, in alcuni casi con conseguenze tragiche come nei pentiti di mafia. Nel secolo scorso esempi di incoerenza sono stati quelli di tanti giovani italiani che abbandonarono l’ideologia fascista alla quale avevano aderito durante il ventennio. Uno di loro Davide Lajolo, noto anche come giornalista e scrittore, nato nel 1912 da una modesta famiglia contadina dell’astigiano, aveva subito in gioventù il fascino della “rivoluzione sociale” propagandata dal fascismo e nel 1936 combattuto in Spagna a fianco dei falangisti di Franco. Nel 1943 si rifiutò di aderire alla repubblica di Salò, divenne comandante di una brigata partigiana fino alla liberazione nel 1945. Successivamente diresse l’Unità per dieci anni e fu deputato per il PCI per tre legislature consecutive. Uno dei suoi libri, edito da Il Saggiatore nel 1963, al quale ironicamente volle dare il titolo Il Voltagabbana, è un’avvincente autobiografia, nella quale l’autore ha analizzato i motivi che lo portarono a schierarsi dalla parte della Resistenza. Un aspetto particolare dell’incoerenza è la conversione ad una fede religiosa di coloro che in precedenza si dichiaravano atei o agnostici o professavano una fede diversa. È stata presente nei grandi mutamenti storici, come nella diffusione della religione cristiana rispetto a quella pagana dell’impero romano. Occorre sottolineare che i convertiti accettarono il martirio per coerenza con la nuova fede. Ci si può convertire anche nelle fasi terminali della vita, ma sarebbe preferibile che la scelta avvenisse in precedenza, nella piena razionalità. Infine, al di là dell’importanza della coerenza nelle scelte ideologiche e/o religiose, è difficile escludere il verificarsi di un certo grado d’incoerenza del pensiero e dei comportamenti nella vita quotidiana. Probabilmente fa parte dell’adattabilità dell’essere umano, ed è forse anche necessaria di fronte alle variabili vicende della vita. Ovviamente deve essere controllata dalla ragione e non oltrepassare i confini della morale. |
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